Il Sole 24 Ore, 26 marzo 2018
Un Parlamento di decreti orfani
Si apre la partita sulle commissioni parlamentari. Dopo la nomina dei presidenti dei Camera e Senato sarà proprio questa un’altra tappa fondamentale nel cammino, non proprio in discesa, della neonata diciottesima legislatura. Questa settimana i Gruppi parlamentari di Camera e Senato, subito dopo la loro formale costituzione, dovrebbero designare i proprio componenti nei singoli “Parlamentini” di Montecitorio e Palazzo Madama con un tempistica che differisce di poco tra i due rami del Parlamento. Anche se c’è il rischio che la formazione delle nuove commissioni possa restare in naftalina per diverse settimane.
In assenza di una maggioranza parlamentare e di una minoranza visibili, sarebbe difficile assegnare le presidenze delle commissioni permanenti (dalla Affari costituzionali alla Bilancio), che spetterebbero appunto a esponenti della maggioranza, così come quella delle cosiddette commissioni di controllo (ad esempio Vigilanza Rai e Servizi di sicurezza), che dovrebbero essere attribuite alla minoranza.
Si ripeterebbe la situazione che ha caratterizzato l’avvio dell’ultima legislatura quando, prima di arrivare alla nascita del Governo Letta sostenuto da Pd e Forza Italia, trascorsero diverse settimane con il Parlamento non del tutto operativo e l’Esecutivo uscente (Monti) ancora in carica chiamato a varare alcuni provvedimenti urgenti: dalla salvaguardia degli esodati ai pagamenti dei debiti Pa fino alla presentazione del Def. Per consentire alle Camere di esaminare queste misure prima del necessario voto in Aula furono formate a Montecitorio e a Palazzo Madama due commissioni speciali, organismi contemplati dai regolamenti delle Camere.
Decreti in eredità
La fase iniziale della diciottesima legislatura sembra destinata a ripercorrere quella strada, anche perché incombe la scadenza del 10 aprile per la presentazione del Def sempreché, naturalmente, venga rispettata (l’ipotesi slittamento è concreta). Questo appuntamento non è però l’unico. Già ora nell’agenda delle (vecchie) commissioni ci sono una serie di impegni da portare a termine che vengono lasciati in eredità alla nuova legislatura. E, dunque, alle nuove commissioni.
Si tratta, in particolare, degli atti di Governo su cui il Parlamento deve esprimere il parere. Provvedimenti sui quali non si può tergiversare più di tanto. È il caso, per esempio, di tutti i decreti legislativi attuativi di direttive Ue, atti legati a una delega. Sia alla Camera sia al Senato è in attesa di parere il decreto sull’acquisizione, in chiave antiterrorismo, dei dati dei passeggeri degli aerei che entrano in Europa (la delega che l’ha originato scade il 25 maggio), oppure quello che rivede le condizioni di ingresso e soggiorno nella Ue per motivi di studio di cittadini di Paesi terzi (la delega scade il 23 maggio) o ancora il provvedimento che recepisce la direttiva sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi dell’Unione (scadenza della delega il 9 maggio). L’elenco non è esaustivo.
Ci sono, poi, in arrivo in Parlamento i decreti approvati di recente dal Consiglio dei ministri: da quelli sul terzo settore al codice antimafia, alle pensioni, al coordinamento del regolamento europeo sulla privacy con le norme nazionali. È pur vero che i provvedimenti possono comunque proseguire il loro iter una volta scaduti i termini per i pareri delle commissioni. Pareri che non hanno natura vincolante. Si tratterebbe, però, di far venire meno un contributo importante nella dialettica tra Governo e Parlamento. Rapporti che nelle passate legislature sono stati contraddistinti da un fitto “carteggio”.
Governo e Parlamento
Infatti, secondo uno studio dell’Ufficio valutazione impatto (Uvi) del Senato, tra il 1996 e l’inizio del 2017 i vari Governi hanno trasmesso alle Camere ben 2.786 atti tra decreti legge, decreti legislativi, decreti ministeriali, schemi di decreti del Presidente della Repubblica, decreti del Presidente del consiglio e via dicendo. A fare la parte del leone sono stati i decreti legislativi (1.101, pari al 39,5% del totale) a conferma dell’impiego massiccio dello strumento della “delega” che ha caratterizzato le ultime cinque legislature. Cospicua anche la mole di decreti ministeriali (764).
Di tutti questi atti più dell’80% (2.331) è stato esaminato dalle commissioni di Palazzo Madama ed è stato formulato il parere. Che non sempre è stato però recepito dall’Esecutivo. Nella sedicesima legislatura, ad esempio, il Governo ha accolto più del 50% dei rilievi avanzati dal Parlamento, migliorando la performance delle legislature precedenti. Nei primi tre anni dell’ultima legislatura (la diciassettesima) l’asticella è, invece, scesa a una quota di poco superiore al 40 per cento.
L’Esecutivo si mostra particolarmente attento alle condizioni poste dalle commissioni parlamentari: nel caso del Senato, sono state recepite nel 54,99% dei casi nella sedicesima legislatura e il 64,3% nel periodo monitorato dallo studio (fino al 31 dicembre 2016). Minore attenzione viene invece mostrata dal Governo alle osservazioni formulate (accolte nelle ultime due legislature nel 46,8% e nel 35,8%). Complessivamente le commissioni del Senato hanno espresso voto contrario ai provvedimenti del Governo in meno dell’1% dei casi (10 volte in 20 anni).