Il Sole 24 Ore, 26 marzo 2018
Salvaguardie, tanti padri dietro sette anni di rinvii
Circa 31,5 miliardi da reperire nei prossimi due anni, pena l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti.
L’eredità delle “clausole di salvaguardia”, che passerà in mano al nuovo esecutivo, ha una storia con tanti padri. E un prologo che risale all’estate del 2011, quando la crisi dei conti pubblici spinge il governo Berlusconi a varare la manovra correttiva di luglio (Dl 98) e poi il “decreto di Ferragosto” (Dl 138). Che menziona per la prima volta la possibile «rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa», quale alternativa «anche parziale» al taglio lineare delle tax expenditures (l’obiettivo è recuperare 4 miliardi nel 2012 e 20 miliardi a regime dal 2013). Intanto, però, si sancisce già un primo rincaro ufficiale dell’Iva: il 17 settembre 2011 l’aliquota ordinaria passa dal 20 al 21 per cento.
Il governo dei “tecnici” di Mario Monti, subentrato a novembre, riesce via via a disinnescare le clausole di Berlusconi, ma non a evitare la (parziale) modifica dell’imposta. Dopo gli interventi Salva Italia e Spending review-bis (Dl 201/2011 e Dl 95/2012), la legge di Stabilità 2013 dispone che dal 1° luglio l’aliquota Iva del 21% «è rimodulata nella misura del 22 per cento», se non arrivano risparmi per almeno 6,5 miliardi con il riordino della spesa e la sforbiciata ai bonus fiscali. Il salto dal 21 al 22% è segnato: viene solo posticipato di qualche mese dal successivo governo Letta (Dl 76/2013) e scatta il 1° ottobre.
Ma si apre un secondo capitolo. Perché Enrico Letta, perso l’appoggio dell’ex Cavaliere, si trova a dover innescare un’altra “copertura” con la legge di Stabilità 2014: senza maggiori entrate o risparmi, dal 2015 taglio delle tax expenditures e «variazioni delle aliquote di imposta» per garantire 3 miliardi per il 2015, 7 per il 2016 e 10 a partire dal 2017.
Passaggio della campanella: sotto la spada di Damocle va a sedersi Matteo Renzi, che in due anni – anche grazie alla flessibilità europea – sterilizza le clausole per il 2015 e 2016 e le riduce per gli anni seguenti. Comprese quelle (aggiuntive) che lui stesso ha piazzato nella legge di Stabilità 2015, a copertura dei suoi provvedimenti (cioè 12,8 miliardi sul 2016, 19,2 sul 2017 e 22 miliardi dal 2018).
Le clausole cominciano a sommarsi. E aleggia il pericolo che l’Iva possa salire ancora, non solo nell’aliquota più alta. Dopo l’ultima manovra di Renzi (legge di Bilancio 2017), che azzera il peso dei 15,3 miliardi per l’anno in corso, il nuovo premier Paolo Gentiloni eredita un fardello da 19,5 miliardi per il 2018, con la stessa insidiosa alternativa: aumento dell’imposta indiretta e delle accise. Gentiloni avvia una prima ripulitura con la “manovra” di primavera (Dl 50/2017), che neutralizza 3,8 miliardi e porta il conto a 15,7 miliardi.
Il resto è cronaca recente. Decreto fiscale (Dl 148/2017) e legge di Bilancio 2018 sterilizzano gli eventuali rincari Iva di quest’anno, ricorrendo all’aumento del deficit per il 70% dei 15,7 miliardi necessari. E riducono anche di 6,4 miliardi l’ipoteca del 2019, ora a 12,4 miliardi. Sono questi i soldi che il nuovo governo dovrà reperire; senza contare quel che aspetta nel 2020, quando la clausola peserà 19,1 miliardi.
La salvaguardia? Sull’Iva per ora recita così: l’aliquota del 10% salirà all’11,5% nel 2019 e al 13% nel 2020; quella del 22%, invece, passerà al 24,2% nel 2019 e al 24,9% nel 2020. Per assestarsi al 25% nel 2021.
.@darioqq