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 2018  marzo 26 Lunedì calendario

50 anni fa, Luther King. Il sogno é ancora in marcia

La sera del 4 aprile 1968, il trentanovenne Martin Luther King Jr, guida carismatica e decisiva per l’affermazione del Movimento per i diritti civili in America, era a Memphis per sostenere uno sciopero dei lavoratori neri della nettezza urbana e vi trovò la morte, ucciso a colpi d’arma da fuoco da James Earl Ray sul balcone del Lorraine Motel.
Cinquant’anni fa scompariva così non solo l’uomo che condusse molte campagne di disobbedienza civile, ma il principale stratega, teorico, interprete e icona della lotta al razzismo e alla disuguaglianza negli Stati Uniti. La vedova Coretta Scott King ci ricorda che il marito, divenuto quello che voleva, un predicatore battista in una grande congregazione urbana nel Sud degli Stati Uniti, trasmise agli afroamericani soprattutto una nuova e più alta considerazione della propria dignità e la coscienza di un potere politico fino ad allora sconosciuto ai neri. E King Jr sapeva parlare anche ai bianchi come il 28 agosto del 1963, quando animò duecentomila persone nella Marcia su Washington per la libertà e per il lavoro, che come auspicava è passata alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nel proprio paese che sognava unito.
Martin Luther King Jr aveva maturato in tenerissima età consapevolezze politiche e sociali grazie all’esempio dei genitori, che aborrivano la segregazione nel solco di una resistenza radicata già nel contrasto al razzismo delle leggi Jim Crow. Il padre, Martin Luther King Sr, anch’egli pastore battista, di cui il figlio ammirava l’autentico spirito cristiano, fu presidente della National Association for the Advancement of Colored People di Atlanta.
IL DOCUMENTO
«Sappiamo per dolorosa esperienza che la libertà non viene mai accordata spontaneamente dagli oppressori, ma che deve essere reclamata dagli oppressi», scrisse il pastore Martin Luther King Jr nel documento fondamentale che è la Lettera dal carcere di Birmingham. Nell’aprile del 1963 King Jr, incarcerato per aver violato l’ordinanza che vietava manifestazioni di protesta a Birmingham, la più grande città industriale del Sud e simbolo di lotte durissime, disse al proprio Paese e al mondo che il tempo dell’attesa era finito: «Abbiamo aspettato per più di trecentoquaranta anni i nostri diritti naturali garantiti dalla Costituzione». Usò questa lettera per rispondere a chi lo rimproverò per l’azione: «La giustizia troppo ritardata è giustizia negata». 
Lui nella natia Atlanta, in cui vigeva un severo regime di segregazione, appena quattordicenne se non fosse stato per la preoccupazione dell’insegnante Bradley con cui viaggiava di ritorno da Dublin, ben prima di Rosa Parks non avrebbe ceduto il posto sul bus a un bianco. Era furibondo per quel torto: il conducente li costrinse a restare in piedi nel corridoio del pullman per centoquaranta chilometri.
Nel cinquantesimo anniversario dell’omicidio di King Jr, assassinato quattro anni dopo il conferimento del premio Nobel per la pace, le ragioni della lotta per il sogno di piena eguaglianza politica, economica e sociale che animarono il Movimento per i diritti civili non sono esaurite. Il razzismo è vivo. Il 4 aprile si terranno moltissime celebrazioni con l’evento commemorativo principale proprio al Lorraine Motel, che oggi è il National Civil Rights Museum. Questa rievocazione è particolarmente attesa nell’attuale clima sociale turbolento, segnato dal risveglio del suprematismo bianco e da forme di discriminazione e tensioni razziali mai del tutto scomparse.
Come accaduto a Birmingham, il primo febbraio 1965 King Jr, appena insignito del Nobel e dopo l’approvazione nel 1964 della legge sui diritti civili, finì in carcere insieme ad altre duecento persone a Selma, nell’Alabama, dove la protesta verteva sul diritto di voto negato. Scrive a ragione Teju Cole: «Selma è uno specchio spaventoso dell’America bianca che fu. Ma diciamolo: che è. Selma oggi è povera, segregata e depressa». A Baltimora nascere in due quartieri che distano tre miglia equivale a una differenza di diciannove anni nell’aspettativa di vita: 84 a Roland Park, 65 a Downtown/Seton Hill. Il medesimo abisso che divide il Giappone dallo Yemen.
IL PREGIUDIZIO
Malcolm X sosteneva che la causa principale del pregiudizio razziale fosse in larga parte dipendente dal sistema scolastico americano. Durante l’infanzia il principale compagno di giochi di King Jr era un coetaneo bianco. E nell’autobiografia, curata dallo studioso Clayborne Carson, ritroviamo proprio nella scuola il momento di rottura: «Ci eravamo sempre sentiti liberi di condividere tutti i nostri svaghi infantili. All’età di sei anni tutti e due cominciammo la scuola: s’intende, in due scuole separate. Ricordo che la nostra amicizia cominciò a guastarsi proprio da allora. Il momento culminante giunse il giorno in cui mi disse che il padre gli aveva ordinato di non giocare più con me. Non dimenticherò mai il trauma violento». 
Come poter amare qualcuno che l’odiava e segregava fin da bambino per il colore differente della pelle? In questa domanda c’è il lascito del Reverendo che, usando le sue parole, negli anni della formazione trovò nella filosofia della resistenza non violenta propugnata da Gandhi quell’appagamento intellettuale e morale che non era riuscito a trarre altrove. È ineludibile la dimensione religiosa, spirituale della figura di King Jr, che l’8 maggio 1951 si laureò in teologia presso il seminario di Crozer.
Sapeva riconoscere i limiti dell’azione dinnanzi a sfide complesse, sapeva elaborare la sconfitta, ma un sogno che si infrangeva o una battaglia persa non equivalevano mai alla resa.