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 2018  marzo 26 Lunedì calendario

La rivoluzione calma di Tite, il Brasile è tornato se stesso

Domani, dopo tre anni e otto mesi, il Brasile dovrà tornare per forza a preoccuparsi di una strana cosa chiamata Germania. Brasile inteso come squadra, come nazione, come sentimento. L’ultima volta fu una ferita multipla, fu una partita impari, fu un disastro collettivo. Quella ferita tagliò in due il corpo verde e oro, lo rese un corpo morto e lo lasciò lì a galleggiare sui ricordi di una grandezza estinta. Da Pelè a David Luiz. Cosa può fare un 7- 1? Come minimo invita a riflettere sull’opportunità di organizzare un mondiale. Due volte ci ha provato il Brasile. E due volte è stato lutto nazionale, istigazione al dolore. E domani sarà di nuovo Germania- Brasile. Ma stavolta è una sfida cercata. Perché nel frattempo il Brasile è rinato grazie a un signore di origini mantovane che cammina con le ginocchia piegate per i troppi danni alle rotule provocati dalla sua breve e poco brillante carriera di giocatore: Adenor Leonardo Bacchi, per gli amici e per i nemici semplicemente Tite, da pronunciare “tici” altrimenti quello nemmeno si volta: «Volevo queste partite, voglio che i miei capiscano sempre meglio cosa significhi giocare contro Germania o Spagna che ti nascondono la palla: sono queste le prove che verificheranno la tenuta dei nostri centrali difensivi ( l’unico cruccio del ct, ndr)». La rivoluzione di Tite è stata una rivoluzione di forma e contenuto, atteggiamento e sostanza: «La sua vera svolta», spiega Carlos Alberto Parreira, che è stato il tecnico del trionfo mondiale del ’ 94, «è che per la prima volta in tanti anni il ct del Brasile aggiunge fra i suoi strumenti di lavoro quello che potremmo definire “human touch”». Non è come i suoi predecessori, che sentivano il bisogno di elevarsi a stregoni o, come dice qualcuno, a dittatori. Ha ricreato l’ambiente lavorando sui singoli “casi”, a cominciare dagli epurati senza un vero perché, sempre che un WhatsApp avventato si possa considerare un perché (Marcelo, Silva). Ha trovato terreno fertile proprio lì dove era convinto di dover percorrere campi minati e affrontare solo umori guasti, irrecuperabili: «È stato un cambiamento dalle cadenze quotidiane, il mio Brasile è una squadra di club, lo spirito che anima i miei ragazzi è quello di un gruppo che si vede tutti i giorni e ogni cosa condivide». Il nuovo Brasile di Tite è stata la prima nazionale a qualificarsi per Russia 2018. Ha devastato il girone sudamericano. Gioca con il 4- 1- 4- 1 o il 4- 3- 3, passa 60 minuti nella metà campo avversaria, può avvalersi di campioni ritrovati (Marcelo, Miranda, Paulinho, Danilo, il Fernandinho di Guardiola), colti al momento della loro massima fioritura ( Coutinho, Firmino, Costa, Willian), oppure appena sbocciati ( Gabriel Jesus, Alisson). Ammesso che non ci siamo problemi di recupero, Neymar è stato degradato per il suo bene: non è più il sub-comandante in campo. Insomma se non c’è pazienza tanto siamo forti lo stesso. Ed è vero. Nel 2013 Tite si prese un anno sabbatico per conoscere da vicino i metodi dei suoi colleghi: «Dovrebbero farlo tutti». Unico rammarico: «Pep era fermo». La popolarità di Tite si misura con un recente sondaggio: il 20% dell’elettorato lo voterebbe ad occhi chiusi qualora si presentasse alle elezioni presidenziali. L’unico rischio è l’euforia anticipata, comprensibile ma pericolosa: «Nel calcio», dice, «non esiste conflitto fra essere e avere perché prima bisogna essere e poi si può pensare di avere». Il sesto titolo mondiale, tanto per dire.