la Repubblica, 25 marzo 2018
Gli animali ci guardano (e ora leggono Adelphi)
Lo storico del futuro intenzionato a indicare i cambiamenti più significativi della mentalità collettiva di questo inizio millennio, non potrà esimersi dal mettere ai primi posti di tale classifica il mutato rapporto tra uomini e animali. È come se almeno una parte della popolazione, in una certa parte di mondo, stesse prendendo coscienza dell’assoluta necessità di guardare con occhi diversi i nostri “fratelli minori”. Ho detto una parte della popolazione in una certa parte di mondo, perché, come sempre di fronte a cambiamenti epocali, nel frattempo forze altrettanto agguerrite continuano (anzi, incrementano) il massacro sistematico degli animali. Ma ripeto: qualcosa è accaduto. Una crepa si è aperta nella scellerata superbia del cosìddetto homo sapiens.
Non si spiegherebbe altrimenti che una casa editrice dalle antenne sensibili come Adelphi inauguri la collana Animalia. Si comincia con un monumentale libro di Carl Safina, Al di là delle parole, e si proseguirà con Other minds. The octopus, the sea and the deep origins of counsciousness, un libro di Peter Godfrey Smith sui polpi che in Inghilterra ha suscitato grande interesse. Ma fermiamoci al libro di Safina – davvero magnifico, capace di combinare gli esiti delle più recenti ricerche scientifiche sul campo con le domande ultime sul mondo animale. Cosa provano quelle creature? Cosa pensano? Come comunicano?
Per secoli si è imposta la convinzione che l’uomo e solo l’uomo fosse il signore di questo universo. E tutto andasse ricondotto al suo volere sovrano. Cartesio docet: gli animali sono semplici “macchine” senza sensibilità e tantomeno intelligenza. Dunque possiamo farne ciò che crediamo. Ed escludere altre forme di coscienza, neanche a dirlo, è il modo migliore “per giustificare la nostra crudeltà”. Col passare del tempo le cose sono in parte cambiate. Ma ancora prevale l’idea secondo cui ogni indagine sugli animali vada ricondotta a un’unica misura: quella umana. I rischi dell’antropocentrismo però si manifestano in due modi opposti, ricorda opportunamente Safina: sia “antropoformizzando” gli animali con le nostre proiezioni sentimentali; sia negando le loro motivazioni, solo perché non corrispondono alle nostre. Per questo il ricercatore e scrittore americano polemizza con i biologi comportamentisti che si fermano alla pura “descrizione”. Lui vuole provare a “tradurre” quelle diverse motivazioni. Lo vediamo così muoversi direttamente sul campo: in Kenya, nel parco di Yellowstone, sulle acque del Pacifico nordoccidentale – per osservare da vicino, per convivere con elefanti, lupi e orche marine. L’obiettivo di tale, ininterrotta peregrinazione, è evidente: acquisiti da tempo i legami di ordine genetico tra l’uomo e altre specie animali, ora si tratta di compiere un salto ulteriore. Di provare a penetrare nel loro mondo emotivo e cognitivo. Nella loro “vita interiore”. Ma per arrivare a tanto bisogna essere disposti a sovvertire alcuni radicati pregiudizi e a rimettersi radicalmente in discussione: ammettendo che anche gli “esseri umani sono animali” e che ciascuna delle creature con cui entreremo in contatto è un “individuo”. A pieno titolo. E come tale va trattato. Riconoscendogli dunque uno specifico temperamento, una precisa trama di relazioni familiari e sociali, una sua propria “biografia”.
Safina ce lo dimostra inanellando storie buffe e toccanti, drammatiche e comiche – volte da subito a smontare il più classico dei cliché, che tutto vorrebbe risolvere a partire dall’oggettivo deficit linguistico degli altri animali. Certo che a elefanti, lupi e orche marine “manca la parola”. In compenso, conoscono mille altre modalità di comunicazione. E se non possono raccontarci verbalmente cosa stanno pensando, a soccorrerci saranno i loro gesti, le loro azioni, la loro “vita mentale”. Ci aiuterà la mappa dei loro sentimenti, vasta come la nostra e fatta di paura, gioia, tristezza, piacere, delusione, odio, sorpresa, affetto, aggressività. Ci aiuterà osservare la loro capacità di utilizzare strumenti, prendere decisioni, valutare rischi, risolvere problemi, concepire strategie. Per restare agli elefanti: “il loro cervello è simile al nostro, il loro organismo produce gli stessi ormoni implicati nelle emozioni umane”. Sono curiosi gli elefanti, quindi si interrogano. Conoscono addirittura la dimensione del lutto e soffrono per le perdite patite tanto che “possono morire di dolore”.
Sono dunque identici a noi? Certo che no, ci mancherebbe. Lo disse bene Valery: “L’animale, enigma inevitabile – opposto a noi dalla similitudine”. Comuni però sono le origini “in un mondo condiviso”, dove oltretutto, cosa che troppo spesso dimentichiamo, gli altri animali sono arrivati prima di noi. Insomma, “sono le nostra fondamenta”. Anche per questo dovremmo loro maggiore rispetto: il rispetto che si deve agli antenati, capaci sempre di insegnarci qualcosa. Il libro di Safina ce ne offre mille esempi sbalorditivi. Come nel caso di Twenty- one, un superlupo “che non perse mai un combattimento e non uccise mai un avversario sconfitto”. Come vogliamo chiamarla? “Magnanimità”? E che dire ancora di quelle orche marine che “guidano naviganti persi nella nebbia” o “riportano a riva cani perduti”? Non sarà un classico esempio della fin troppo citata “empatia”?
Ma in un libro tutto incentrato sulla comunicazione tra uomini e altri animali, non meno sorprendente è la comunicazione tra animali di specie diverse. Ascoltate questa storia, tra le più toccanti qui raccontate. Tutto si svolge sulle scogliere della costa del Sud Africa, come riferisce a Safina un altro ricercatore, Lyall Watson. In acqua c’è una balena; sulla sponda una vecchia femmina di elefante, l’ultima superstite del branco, fissa il mare. Sulle prime, la scena appare di “una tristezza imponente”. Ma ecco che la balena si avvicina ulteriormente alla riva. Ormai dista meno di cento metri dalla vecchia elefantessa: “il più grande animale dell’oceano e la più grande creatura terrestre”, commenta esterrefatto Watson, stanno comunicando attraverso gli infrasuoni. È “una cosa tra femmine, tra matriarche, quasi le ultime della loro razza”, continua. Per concludere poi: “Mi voltai, strizzando gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, e le lasciai ai loro scambi. Non era un luogo per un semplice uomo”.
In questa storia così commovente e misteriosa, è racchiusa la filosofia di tutto il libro. Safina, da vero naturalista, è sufficientemente scettico per non trasformarsi in credulone. Ma è anche sufficientemente curioso per non rimanere intrappolato in uno scientismo presentuosamente asfittico. Lui va, vede, conosce, ama. E accetta quanto ancora è inesplicabile in una ricerca che è solo ai primi passi. Di una cosa, però, è convinto: “Comprendere gli altri animali non è una piccola impresa alla moda. Il suo fallimento accelererà la loro scomparsa e la fine del nostro mondo”. Comprendere, sì, e prima ancora essere compresi, visto che mentre cani, pappagalli e delfini padroneggiano una parte per quanto minuscola e irrisoria del nostro vocobalorio, noi non abbiamo ancora svelato il loro “codice”. Chissà, forse ha ragione il visionario J.M.Coetzee quando scrive: “Agli animali è rimasto soltanto il silenzio con cui contrapporsi a noi. Generazione dopo generazione, eroicamente, i nostri prigionieri si rifiutano di rivolgerci la parola”.