la Repubblica, 25 marzo 2018
L’amaca
Nel pacchetto dei suoi rimpianti, dei suoi ripensamenti, dei suoi buoni propositi in questi giorni di sconfitta, la sinistra italiana aggiunga le nude cifre che la Cgil ha appena fornito a proposito della scuola: quattro punti di spesa pubblica in meno rispetto alla media Ocse, bassi stipendi per maestri e professori (siamo diciannovesimi in Europa), tagli continui del personale, una lenta inesorabile emorragia di risorse e di attenzione politica che la legge detta Buona Scuola ha arginato solo in piccola parte. Non esiste investimento più significativo e più decisivo di quello per l’istruzione.
Non c’entrano la retorica, l’ideologia, la morale di Stato, c’entra la pratica quotidiana di accudimento e di crescita delle persone fisiche che fisicamente daranno forma, pensiero e linguaggio a questo Paese. Non curare la scuola è come dimenticare di annaffiare l’orto o di rifare il letto, è una forma di sciatteria depressiva, un torto che si fa al presente e un sabotaggio in piena regola del futuro. Essendo poi la scuola pubblica il più capillare e significativo presidio, sul territorio, di quel principio di uguaglianza che lo Stato così raramente riesce a incarnare, si capisce che qualunque sinistra, in qualsiasi maniera composta e orientata, non può che avere la scuola in cima ai suoi pensieri.
La parola scuola, insieme alla parola ambiente, è stata forse la meno nominata in campagna elettorale.