la Repubblica, 25 marzo 2018
«Cambiate le leggi o nessuno vorrà più fare il sindaco». Intervista a Marta Vincenzi
GENOVA «Sono l’unica sindaca d’Italia condannata per un’alluvione – ripete Marta Vincenzi, prima cittadina di Genova dal 2007 al 2012, iscritta al Pd fino al “tradimento dei 101” – Non riesco a darmene pace. Tutti gli altri sono stati assolti, come a Messina e a Olbia; o non sono stati portati a processo, come nelle Cinque Terre dove, una settimana prima di Genova, vi furono dodici morti.
Per i terremoti ci sono stati processi, condanne e assoluzioni, ma per le alluvioni sono rimasta solo io. Sul piano umano non riesco a reggere questa situazione».
Non si aspettava che la corte d’Appello confermasse la condanna a 5 anni di carcere?
«Bisogna aspettare le motivazioni della sentenza. Non intendo commentarla prima di averla letta.
Sono garantista fino in fondo, ma questa vicenda, dopo sette anni, si allunga ancora. È penoso».
I due pronunciamenti di primo e secondo grado mettono un’ipoteca sul concetto di responsabilità per i sindaci di tutta Italia?
«Serve un ragionamento sulle lacune normative, in cui si infila la discrezionalità delle scelte della magistratura, assolutamente legittime. Su alcuni aspetti la legislazione è ambigua. La Protezione civile nazionale solo da poco, e dopo la vicenda di Genova (che ha segnato uno spartiacque rispetto alla chiusura delle scuole in caso di allerta, ndr), ha approvato un proprio codice, che però non è una legge, e dà mandato al governo di modificare alcuni aspetti della normativa che io ritengo lacunosi».
Quali?
«Il concetto di responsabilità e di autorità civile. Il sindaco può emanare ordinanze in caso di calamità naturali, ma riconoscere la sua autorità in materia di protezione civile non può voler dire attribuirgli la responsabilità tout court. A prendere le decisioni è una pluralità di figure, sia politiche che tecniche, riunite nel Comitato operativo comunale, cui fanno capo una quarantina di soggetti. Negli ultimi anni, invece, i processi per eventi calamitosi hanno riguardato solo i sindaci. È una riflessione importante: l’onere della prevenzione va individuato come elemento che riguarda più soggetti, perché entri nel dibattito di tutti.
Questa vicenda, al di là della mia condanna, sia occasione di riflessione. O nessuno vorrà più fare il sindaco».
Dice che ai sindaci non va attribuita tutta la responsabilità. Tuttavia è innegabile che a Genova il 4 novembre 2011 la macchina di protezione civile non abbia funzionato.
«Il sindaco ha sempre la sua responsabilità. Ma se si vuole far coincidere la sua autorità in materia di protezione civile con tutto l’insieme delle responsabilità tecniche, bisogna dargli il potere di fare ordinanze urgenti e contingibili senza chiedere al prefetto. Questo nelle regole sulla conduzione della macchina amministrativa non è esplicitato».
La sentenza non ne ha tenuto conto?
«L’ambiguità della legge, se non è chiarita alla fonte, diventa un problema per la magistratura e, inevitabilmente, l’interpretazione è discrezionale. È un tema su cui la politica deve riflettere».
Riflettere dunque sulle responsabilità dei sindaci, sulle condanne per disastro e omicidio colposo. Lei, però, è stata condannata anche per falso, per aver firmato un verbale fasullo.
«È uno degli aspetti più dolorosi, anche se meno significativo dal punto di vista penale. È l’accusa più infamante, e sulla quale ho proclamato e proclamo la mia innocenza: non ho mai fatto, né coperto, alcun falso. Sul resto, sulle responsabilità appunto, possiamo ragionare».
Allora sul disastro non si ritiene del tutto innocente?
«Chiunque abbia partecipato a quel tavolo non può dire di non essere responsabile. Anche se non credo che avrei potuto agire diversamente. Bisogna però capire se quella responsabilità sia una colpa».