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 2018  marzo 25 Domenica calendario

Elisabetta Alberti Casellati, avvocata paladina delle leggi ad personam che sfilò per Berlusconi

ROMA Due foto a confronto. La stessa protagonista, Elisabetta Alberti Casellati. Ieri, al Senato, sulla poltrona di presidente, per la prima volta una donna, 71 anni assai ben portati.
L’11 marzo del 2013, a Milano, davanti al palazzo di giustizia, lei ben visibile, con un paio di inconfondibili orecchini sfoggiati in tv in molte trasmissioni sulla giustizia, nell’ultima fila di un assembramento di deputati e senatori di Forza Italia, arrivati qui da tutta Italia per difendere Berlusconi da quello che definiscono «l’attacco sistematico dei giudici». Con l’obiettivo, alla fine fallito, di entrare nell’aula dove si sta celebrando il processo Ruby.
Questa è stata dal 1994, quando diventa parlamentare di Forza Italia – e continua a esserlo per sei legislature – la foto autentica di Elisabetta Casellati. «Una pasdaran di Berlusconi» la definisce un’autorevole fonte del Csm, dove l’abile avvocato matrimonialista di Padova, legata a Nicolò Ghedini da uno storico sodalizio, ha stretto un asse di ferro con la corrente di destra delle toghe, quella di Magistratura indipendente, tant’è che il primo a farle i complimenti per l’elezione è Claudio Galoppi, che la definisce «seria, competente, con un alto senso delle istituzioni». Spaccata la magistratura, stabilita un’alleanza a destra, Casellati per quattro anni gestisce abilmente, e nella riservatezza, le nomine di dozzine di capi ufficio.
Sfugge le polemiche, dirada le sue performance televisive, quando capita parla bene di Mattarella, quasi a costruire un profilo istituzionale che faccia dimenticare la dichiarata militanza berlusconiana.
Da paladina delle leggi ad personam, fosse semplice parlamentare o sottosegretario alla Giustizia come nel 2008-2011, Elisabetta non ha mai avuto un dubbio. Come nell’ottobre 2002, quando in ballo c’è la legge Cirami, quella che avrebbe dovuto spostare i processi di Berlusconi a Brescia perché a Milano erano prevenuti contro di lui. Si scopre un errore (se ne accorge Donatella Stasio del Sole 24 Ore), dev’essere corretto, ma lei fulmina tutti: «La legge va bene così com’è, e non sarà cambiata. Andiamo avanti».
Cinque anni dopo, da sottosegretario alla Giustizia, non ha dubbi neppure sul Lodo Alfano, poi bocciato dalla Consulta.
Casellati vuole andare avanti il più in fretta possibile. Nel 2009 è la volta del processo breve, un’invenzione di Ghedini per mandare in prescrizione i processi, a cominciare da quelli di Silvio, che sforano i due anni.
Casellati è entusiasta: «Le toghe tengono un comportamento grave che snobba l’invito di Napolitano.
Il processo breve ha come unico scopo la necessità reale di dare tempi definiti a procedimenti che tengono in sospeso le vite, gli affetti, le carriere di tanti cittadini, magari per risolversi in una bolla di sapone».
Nuova legge ad personam nel 2011, è il legittimo impedimento, e Casellati lo appoggia in pieno: «Sarà dichiarato costituzionale.
Un presidente del Consiglio che peregrina tra un ufficio giudiziario e l’altro, credo sia un macigno che grava sul nostro Paese da 16 anni e va rimosso». La Consulta boccia anche questa legge, ma Casellati resta ferma nella difesa del suo leader. Come ha sempre fatto. È il 2003, Berlusconi viene condannato per Imi-Sir. Lei bolla la sentenza come «politica». E si accalora: «Le reazioni dimostrano ancora una volta in maniera chiara e inoppugnabile che si è trattato di un processo politico e di una sentenza politica, nella quale non c’è alcuna prova contro gli imputati. Si è voluto attaccare in maniera premeditata Berlusconi, Previti e Forza Italia».
Quando Berlusconi viene condannato per frode fiscale nel 2013, Casellati è contro la legge Severino. Dice subito il 7 agosto, a sei giorni dalla sentenza: «Serve un approfondimento in punto di diritto. Illustri penalisti hanno già parlato di irretroattività della legge». Quando, il 27 novembre, il Senato vota la decadenza dell’ex premier, Casellati parla di «voto politico» e di «ghigliottina».
È fatta così Elisabetta. Durissima sulle intercettazioni, contro cui nel 2017 invocava una legge che ne limitasse «drasticamente l’abuso» perché «il malcostume è intollerabile». Ma quando di mezzo c’è la famiglia, l’amata figlia Ludovica cui ieri ha dedicato la prima telefonata, la musica cambia. È sottosegretaria alla Salute nel 2005 quando piglia come capo della sua segreteria, a 60mila euro l’anno, giusto la figlia, nel cui curriculum c’è l’esperienza da manager di Publitalia. Lei, Ludovica, parla di «assunzione guadagnata sul campo», ma la madre deve cedere alle accuse di nepotismo. E sempre per la figlia, anzi per suo marito Marco Serpilli, s’infila in una causa contro una giornalista veneta “colpevole” di aver pubblicato la notizia che Serpilli, finito sotto inchiesta, aveva ottenuto una consulenza da 250mila euro dalla Venice University su un piano informatico da 715mila. Alla fine vince il diritto di cronaca.
Appena eletta, Casellati ha fatto appello alle donne che «con il loro coraggio e le loro storie hanno costruito l’Italia di oggi». Ma sulle donne scoppia la prima polemica, visto che Elisabetta era favorevole alla riapertura delle case chiuse, tanto da firmare una proposta di legge, voleva cancellare la legge sull’aborto, e quanto alle unioni civili il suo pensiero è inequivocabile: «Lo Stato non può equipararle al matrimonio».
Punto.