la Repubblica, 24 marzo 2018
Federico, 18 anni: «Che bella la vita con due mamme»
MILANO Arriva puntualissimo, per mano alla fidanzata, zaino di scuola sulle spalle, sguardo ironico e battuta veloce.
Diciott’anni e primo testimonial (suo malgrado) di un’Italia che piano piano cambia. «I gay pride?
Credo di non averne saltato nemmeno uno da quando sono nato, ero bravissimo a vendere gadget Lgbt, per non parlare di tutti quei trenini arcobaleno», scherza Federico Giuseppe Beppato, maturità scientifica tra pochi mesi e il progetto di entrare al Politecnico e iscriversi a Ingegneria. «Se mi ha reso diverso essere figlio di due madri? No, francamente non sono più “strano” dei miei coetanei. Alle medie ero in una classe così disastrata che la mia famiglia era la più normale, così dicevano i prof. E sarà forse per il lavoro che hanno sempre fatto Elena e Giuliana con le maestre, con gli altri genitori, sarà perché Milano è una città aperta, ma non mi sono mai sentito discriminato».
Seduto al caffè-libreria “Feltrinelli” di corso Buenos Aires a Milano, Federico, uno dei primi giovani-adulti in Italia venuto al mondo dal progetto d’amore tra due donne e da una fecondazione eterologa all’estero, prova a disegnare se stesso. Pur con l’avarizia delle parole di un post adolescente della “Generazione Z”, che preferirebbe forse affidare la sua testimonianza a un video su YouTube. Appassionato di tecnologia e dei film della Marvel, «non me ne perdo uno, il sabato pomeriggio con gli amici siamo fissi al cinema», un fratello e una sorella gemelli sedicenni, Sara e Joshua, Federico, che porta soltanto il cognome della mamma biologica (Giuliana), oggi rappresenta l’avanguardia di quei “figli di gay” che possono raccontare, finalmente in prima persona, chi sono e come vivono.
(Fino a ora tutte le testimonianze adulte arrivavano dagli Stati Uniti).
«Sono stato molto protetto, da questo deriva il mio equilibrio, chiamatela normalità se volete, ma per le mie madri, Giuliana Beppato e Maria Elena Mantovani, diciotto anni fa non deve essere stato facile. Soprattutto per la burocrazia, visto che per lo Stato noi abbiamo una sola madre e non due. E poi spiegare, spiegare, la nostra casa sempre aperta, pane e nutella per tutti gli amici. Per i quali, dopo averci conosciuti, noi eravamo noi e basta».
Ma Giuliana, psicologa, ed Elena, vigile urbano, vanno più in là.
Fondano nel 2005, insieme ad altre famiglie omogenitoriali, l’associazione delle Famiglie Arcobaleno. «Credo che le mie madri l’abbiano fondata proprio per farci crescere tra nuclei simili al nostro. Un mondo a parte? No, ma ci ha aiutato a non sentirci diversi, ad avere più amici».
Giuliana ed Elena si sono sposate nel 2008 negli Stati Uniti, «abbiamo fatto un viaggio clamoroso coast-to-coast con tutti i figli – racconta Elena – del resto quasi ogni estate partiamo per una nuova meta». Thailandia, Tanzania, Norvegia, Spagna. «La stepchild adoption? Non l’abbiamo chiesta. È vero, io sono la mamma non biologica, sui documenti per loro non esisto, però mi sembra assurdo dover adottare i miei figli. Del resto i ragazzi sono ormai grandi, non me li porterà via nessuno, e la mia piccola eredità è già destinata a loro. Le unioni civili? Una legge fondamentale, ma adesso temo un passo indietro della politica».
Federico beve un succo di frutta e prova a mettere insieme il mosaico della vita. «Sì, è vero, tra i ragazzi la parola “gay” è spesso un insulto. La dicono a caso. E con questo ho dovuto fare i conti.
Ogni tanto glielo faccio notare, più spesso lascio perdere. Forse la cosa più difficile per me è stato spiegare come sono nato. Per noi era chiarissimo fin da piccoli: vi abbiamo così tanto voluti, così tanto desiderati, dicevano le mamme, che abbiamo preso il semino di un uomo gentile, lo abbiamo messo nell’uovo di Giuliana e siete nati voi. Prima io, poi Sara e Joshua. Alle medie però i miei compagni, del tutto ignari di conoscenze sull’apparato riproduttivo e ancora peggio di cosa volesse dire fecondazione assistita, non ci capivano niente. E così sono diventanto un eccellente divulgatore scientifico».
Gioca con le battute Federico, ma si capisce che su se stesso ha riflettuto. «Se mi manca un padre? No, non mi manca. Perché io ho già due genitori. È quello che molti non capiscono. Alcuni miei amici, che hanno padri difficili, mi dicono: “Sei fortunato ad avere due mamme”. Senza capire che anche io ho due genitori e faccio i conti con entrambi i ruoli. L’unica differenza è che sono dello stesso sesso. Infatti non ho alcun desiderio di conoscere il donatore grazie al quale sono nato. A cosa mi servirebbe? Giusto per scoprire se ho qualche malattia genetica...».
«Non sono gay, sono eterosessuale, adesso ho una bella storia con una mia coetanea. Ma capisci che è una domanda assurda?». Ci vuole coraggio a raccontarsi con sincerità. «In quanto figlio di due lesbiche secondo la società dovrei avere traumi profondi. Che devo dire?
Ho tante difficoltà, come tutti i miei coetanei, L’università, il futuro, l’amore. Ma in questo ci sono due colonne, che sono Elena e Giuliana. Infatti ho appena preso anch’io la tessera delle Famiglie Arcobaleno. Il resto ve lo dirò tra qualche anno».