La Lettura, 25 marzo 2018
La musica (da Oscar) è un castello di sabbia. Intervista a Dario Marianelli
SANDRO VERONESI – Allora. Sto parlando con uno dei quattro musicisti italiani viventi ad avere vinto un Oscar: Ennio Morricone, Nicola Piovani, Giorgio Moroder e te. Siete solo in quattro.
DARIO MARIANELLI – Tra i vivi, sì.
SANDRO VERONESI – Partiamo dall’inizio: i tuoi genitori, la tua infanzia, Pisa.
DARIO MARIANELLI – Be’, i miei sono sempre stati molto amanti della musica, fin da giovanissimi, e io posso dire che l’amore per la musica l’ho avuto da loro. Ascoltavano, leggevano, andavano ai concerti, e quindi io e mio fratello siamo stati esposti molto presto alla grande musica. La mia prima opera, L’oro del Reno, l’ho vista a 6 anni. Alla Scala, tutta in tedesco, 3 ore e mezzo o 4. La musica l’ho trovata in casa.
SANDRO VERONESI – E hai cominciato a studiare pianoforte a che età?
DARIO MARIANELLI – A 6 anni, per l’appunto. Privatamente, sempre, anche in seguito, perché a Pisa il Conservatorio non c’è. Mi sono diplomato facendo gli esami da esterno, a Livorno, al «Mascagni».
SANDRO VERONESI – E a quanti anni ti sei diplomato?
DARIO MARIANELLI – Eh, tardi. A 23 anni, anche perché a 15 ho smesso, e per un po’ mi sono interessato ad altre cose, forse troppe, continuando a suonare ma senza studiare duramente. Poi, invece, a 19 anni, ho incontrato un compositore fiorentino, Riccardo Luciani. È anziano, ora. Veniva a Pisa a fare delle lezioni fantastiche alla Normale, aperte a tutti. Io ero militare e nella libera uscita andavo ad assistere a quelle sue lezioni, e successe che un giorno parlò del contrappunto, una tecnica compositiva molto particolare che nasce nell’XI, XII secolo – e io ci presi una vera fittonata. Andai a chiedergli dove potevo studiarlo e lui mi mandò da un suo collega americano che viveva a Firenze, David Kimball, con il quale ho passato 6 anni, tutti a studiare il contrappunto. Il mio studio della composizione sono stati questi 6 anni di contrappunto.
SANDRO VERONESI – Ma i tuoi non ti mettevano pressione? Tipo: va bene, Dario, il contrappunto, come no, ma la vita come te la guadagni?
DARIO MARIANELLI – No. Si sono fidati. Veramente, non mi hanno mai messo pressione per dire: «Ma poi cosa fai?». Più ero confuso più loro si fidavano.
SANDRO VERONESI – Forse loro l’hanno capito subito che avresti fatto il musicista. Tu non lo sapevi ma loro sì.
DARIO MARIANELLI – Sì, forse è così.
SANDRO VERONESI – Stiamo parlando degli anni Ottanta, giusto?
DARIO MARIANELLI – Sì. Dall’83 all’89. Tra i 20 e i 26 anni.
SANDRO VERONESI – E questo tuo procedere così eccentrico, a Pisa, non ti isolava un po’ dai tuoi coetanei?
DARIO MARIANELLI – Be’, in quel momento lì sì, soprattutto perché non andavo all’università come gli altri. La mia era una vita solitaria. Avevo degli amici, certo, che vedevo la sera, ma non è che mi capissero tanto bene. D’altronde nemmeno io mi capivo tanto bene. Poi a un certo punto ho pensato che dovevo cominciare a guadagnare qualche soldo, e con un amico mettemmo su un piccolo studio con una tastiera e un computerino Atari, con cui facevamo un po’ di musica per le radio e le televisioni locali: Radio Pisa, Canale 50, i jingle della pubblicità del macellaio…
SANDRO VERONESI – E da questo a Londra qual è il nesso?
DARIO MARIANELLI – A un certo punto mi è venuta quest’idea che avrei potuto fare l’accordatore di pianoforti. Il contrappunto andava bene ma nessuno mi avrebbe mai dato una lira perché ero un esperto di contrappunto. Almeno se accordo pianoforti ci campo, pensai.
S ANDRO VERONESI – Niente contrappunto, accordare pianoforti: non è facile seguirti.
DARIO MARIANELLI – Ma infatti te l’ho detto che ero confuso. E insomma trovai un negozio di pianoforti qui a Londra che mi offrì di venire d’estate come apprendista. Io venivo d’estate, loro mi insegnavano ad accordare pianoforti, io li aiutavo in negozio. Così, un’estate dopo l’altra venivo qui, e però venendo qui mi accorgevo che intorno a quel negozio c’era Londra, che era bella, grande, e ci succedevano le cose. Tornavo a casa e Pisa iniziava a starmi un po’ stretta, per cui mi è venuta voglia di scappare. E mi sono trasferito qui a Londra – io lo chiamavo il mio corso di sopravvivenza. Sono arrivato a Londra il primo gennaio 1990 – perciò so sempre esattamente da quanto tempo mi trovo qui: oggi per esempio sono 28 anni, 2 mesi e 10 giorni. Però mi stavo scordando di dirti che prima di trasferirmi, proprio in quell’ultimo anno passato a Pisa, mi ero guadagnato qualche soldino anche facendo l’esperto, e lo dico con autoironia, di software musicali. Era uscito il primo programma che trasferiva sullo schermo le note, e una ditta di Pontedera che voleva importarlo in Italia mi prese perché sapevo la musica e masticavo di computer: mi dettero un Macintosh, il software, i manuali, e mi dissero: «Tu imparalo, che poi ti mandiamo in giro per l’Italia a fare le dimostrazioni». Così imparai quel programma che non conosceva ancora nessuno, perché oltretutto era anche abbastanza difficile, e grazie a questo mi sono trovato un lavoro a Londra.
SANDRO VERONESI – Naturalmente per caso.
DARIO MARIANELLI – Diamine. Ero qui da poco, e c’era una fiera di roba musicale a Olympia; io vado, trovo il distributore di questo programma e dico: «Sentite, io sono un esperto di questo software. Mi volete?». «Sì». Sicché – capito? – ero venuto qui senz’arte né parte e ho subito trovato un lavoro. Rispondevo al telefono e spiegavo le cose: chiamavano tutti, perché per i compositori questo programma era molto interessante. Finalmente potevano scrivere al computer. Ho conosciuto un sacco di compositori, con questo scherzetto.
SANDRO VERONESI – Anche Elvis Costello, mi dicevi. Scusa ma Elvis Costello è il mio idolo.
DARIO MARIANELLI – Anche lui, sì. Ho parlato al telefono con lui del programma – non mi ricordo se poi l’ha comprato o no – e con molti altri. Quelli che ora sono miei colleghi li ho conosciuti così. Poi sono diventato free lance, e un paio di questi compositori mi hanno preso come assistente. Uno mi ha presentato al suo editore, e ho cominciato a fare il typesetter.
SANDRO VERONESI – Cioè?
DARIO MARIANELLI – Cioè questo editore mi dava i manoscritti dei propri compositori, perché a quei tempi scrivevano ancora tutti a mano, e io con quel software li trascrivevo sul computer, così loro potevano stamparli molto più facilmente – mentre fin lì dovevano fare le incisioni a mano sulle lastre di rame. Guadagnavo abbastanza bene. È durato relativamente poco ma nel frattempo mi si sono aperte altre strade, perché mi ero messo anche a fare qualcosa di più specifico proprio con la musica: di nuovo per incontri avuti casualmente, mi ero messo a scrivere un po’ di musica per il Fringe Theatre.
SANDRO VERONESI – Che sarebbe il teatro indipendente.
DARIO MARIANELLI – Indipendente, piccolo, povero, underground: tutto ciò che si distaccava dal mainstream. Ce n’era tanto, a Londra, in quegli anni. Si parla del ’91. Improvvisavo al pianoforte mentre gli attori recitavano. E lì, dopo il quarto o il quinto Fringe Theatre show che ho fatto, mi è capitato il colpo di fortuna: un attore è venuto a vedere, e stava per iniziare a lavorare a un film; sapeva che il regista cercava il compositore; gli piacque la musica che sentì in teatro, fece il mio nome a questo regista, Paddy Breathnach, e prima di saperlo stavo facendo la musica per il mio primo film.
SANDRO VERONESI – Finalmente. Ma fare la musica per un film non è un’altra cosa proprio rispetto a tutto quel che avevi fatto fin lì? Come te la sei cavata?
DARIO MARIANELLI – Eh, sono stato un incosciente, e infatti mi sono trovato attanagliato dall’ansia, mi dicevo: «Ma come ho fatto a dire sì? Chi lo sa come si fa a fare la musica per un film?». Però alla fine l’ho fatta. Mi sono arrangiato, avevo un amico che componeva per la televisione che mi ha detto: «Vieni a casa mia la sera, io alle sei smetto di lavorare e tu puoi usare la mia attrezzatura» – perché oltretutto non avevo niente, né computer né tastiera né niente. Lui aveva uno studietto in casa, tipo questo che ho ora io, con un computer, una tastiera, un campionatore, un sintetizzatore – e insomma, in due o tre mesi la musica per il mio primo film l’ho fatta lì, dalle sei in poi, non so neanch’io come.
SANDRO VERONESI – Può esserti servito il contrappunto, per dire?
DARIO MARIANELLI – Certo che mi è servito il contrappunto. E mi è servita l’esperienza del Fringe Theatre, e poi naturalmente mi è servito aver sentito tanta musica da piccolo, tante opere. E anche il madrigale, se vuoi: prendi una poesia e quello che leggi lo trasformi in un suono. Forse il modo in cui vedo io la musica da film è proprio così: uno parte con delle idee, anche abbastanza astratte, e cerca di trasformarle in suono.
SANDRO VERONESI – E queste idee da che cosa sono ispirate?
DARIO MARIANELLI – Be’, dalla lettura del copione, per esempio, o del romanzo da cui è tratto. O magari il film è già stato girato e te lo fanno vedere – succede spesso.
SANDRO VERONESI – Tu preferisci farti ispirare dalla lettura o dalla visione?
DARIO MARIANELLI – Se uno, come me, predilige associare la musica a quello che sta sotto alla storia, cioè la sua spina dorsale – che non si vede, perché sopra ci sono i muscoli, la pelle, cioè la parte più superficiale, che la copre – se uno predilige questo, ovviamente trae più ispirazione leggendo la storia che vedendola già girata. Avendo fatto tutte e due le esperienze, ho notato che le idee che vengono quando uno legge solitamente sono più forti, più attaccate a qualcosa di profondo, di non visibile. E siccome anche la musica è invisibile, forse ha questa capacità di agganciarsi alla parte invisibile della storia, quella più profonda, dove risiede la sua ragion d’essere; e però anche di portarla in superficie, poi, darle un corpo fisico, tangibile. La musica sta a cavallo dei due mondi: ha una parte molto intellettuale, ma ha anche una parte molto fisica, corporea addirittura.
SANDRO VERONESI – Andiamo avanti. Fai questo primo film con Breathnach e poi?
DARIO MARIANELLI – Faccio questo primo film e nello stesso tempo, è il ’93, mi prendono come post-graduate a uno dei conservatori di Londra, la Guildhall School of Music and Drama. Lì ho trovato un compositore, di una generazione precedente alla mia, che mi ha preso come studente, e mi ha dato quello che mi serviva in quel momento, vale a dire il proverbiale calcio nel culo: «Scrivi, vai!». Io gli portavo i miei esercizi, lui dava un’occhiata veloce e diceva: «Bene, bravo», e me ne dava subito altri – che era tutto diverso da come il mio maestro americano di contrappunto mi aveva insegnato, stando lì delle ore, per 6 anni, con la lente d’ingrandimento su ogni singola battuta. Era proprio quello di cui avevo bisogno: i compositori che conoscevo, compreso quello che mi ha fatto lavorare nel suo studio, erano veloci, perché c’era un produttore che voleva la loro musica per la settimana dopo. Mi ha fatto pensare alla composizione com’era al tempo di Bach: Bach scriveva una Cantata alla settimana perché alla domenica dovevano suonarla durante la funzione. Doveva scriverla, farla copiare, provarla, e poi la domenica doveva dirigerla, e la sera subito doveva cominciare a scrivere quella per la domenica dopo.
SANDRO VERONESI – È stato così anche per te? Dopo quel primo film ne sono venuti subito altri?
DARIO MARIANELLI – Be’ no, non subito. È venuto prima quell’anno di post-graduate al Guildhall, poi nel frattempo avevo cominciato a scrivere anche musica per balletto perché avevo conosciuto dei coreografi, poi ero riuscito a vincere un premio abbastanza grosso con un pezzo che avevo scritto per la Bbc Symphony Orchestra: insomma, hanno cominciato ad aprirsi molte porte. Nel ’94 ho vinto una borsa di studio alla National Film & Television School, perché dopo aver fatto quel primo film ho pensato che forse era il caso che andassi a imparare che cosa avevo fatto.
SANDRO VERONESI – E certo: imparare quello che si è già fatto.
DARIO MARIANELLI – Sì. E durante i 3 anni di quella borsa Paddy Breathnach ha fatto il suo secondo film, e mi ha richiamato; poi ha fatto un altro paio di cose per la televisione, e mi ha richiamato; un documentario, e mi ha richiamato. I miei primi 4 o 5 lavori li ho fatti tutti con lui.
SANDRO VERONESI – Perciò ti era piaciuto, fare le colonne sonore. Hai studiato tante cose, ma quando sei cascato sulla musica da film ci sei rimasto.
DARIO MARIANELLI – Certo che mi era piaciuto. Cioè, l’idea stessa che qualcuno volesse la mia musica, la pretendesse addirittura, mi sembrava straordinaria. Chi mai ci aveva pensato, prima? Io volevo fare l’accordatore di pianoforti proprio perché mai mi sarei immaginato che qualcuno mi dicesse che voleva la mia musica. E all’improvviso qualcuno la voleva. Più bello di così…
SANDRO VERONESI – E hanno continuato a volerla, a quanto pare. Ecco, quando è stato il momento in cui hai pensato: «Ce l’ho fatta»?
DARIO MARIANELLI – Direi che è stato nel 2006. Però prima ho quasi mollato. Avevo avuto un periodo abbastanza asciutto, nel quale era nata la mia prima figlia e io non facevo abbastanza soldi per mantenerla. Perciò mi ero scoraggiato, e mi ero iscritto all’università, a Biologia.
SANDRO VERONESI – Pure!
DARIO MARIANELLI – Pensavo: vabbe’, cambio strada, biologia è una materia che mi è sempre piaciuta, faccio il biologo. Nel 2002. Venivo da 4 progetti andati storti tutti e 4. Poi però è arrivato un lavoro con Michael Winterbottom, per Cose di questo mondo, e quello andò in fondo, e il film vinse addirittura l’Orso d’oro a Berlino, nel 2003. Attraverso Winterbottom ho conosciuto Terry Gilliam, e lì mi sono ritrovato a fare la musica per questo film enorme che in italiano si intitolava I fratelli Grimm e l’incantevole strega. Con Matt Damon, Heath Ledger, Monica Bellucci. A quel punto ho pensato che ce l’avevo fatta.
SANDRO VERONESI – E Biologia l’abbiamo data al gatto.
DARIO MARIANELLI – Sì, anche perché appena finito quel film lì ho conosciuto Joe Wright e ho fatto Orgoglio e pregiudizio, ho conosciuto i fratelli Wachowski e ho fatto V per Vendetta, e ho fatto altri 3 film nello spazio di 8 mesi. L’anno dopo mi hanno nominato per l’Oscar per Orgoglio e pregiudizio, e siamo al 2006: ecco, quello è l’anno in cui ho detto che forse non c’era bisogno di finire Biologia.
SANDRO VERONESI – Espiazione quando arriva? L’anno dopo?
DARIO MARIANELLI – Esatto. Sempre con Joe Wright, sì, nel 2007. Un film che tra l’altro ho fatto mentre lavoravo ad altri 3, perciò avevo 4 film uno addosso all’altro. Però con Joe Wright si comincia sempre molto presto, e addirittura con Espiazione ho cominciato a scrivere musica dopo avere letto il romanzo, senza nemmeno la sceneggiatura.
SANDRO VERONESI – Quindi partendo molto dal profondo: quella roba invisibile di cui parlavi poco fa. E oltretutto quel romanzo è già una specie di sinfonia, con delle parti proprio distinte, staccate l’una dall’altra, dei movimenti…
DARIO MARIANELLI – E infatti anche musicalmente è un po’ così perché la colonna sonora è divisa in tre parti, e la musica che si sente nella seconda non si sente assolutamente nella prima, mentre la terza parte ricapitola tutto.
SANDRO VERONESI – E lì arriva l’Oscar. Secondo te, è andato alla tua opera migliore? Migliore per esempio della musica di Orgoglio e pregiudizio che aveva avuto la nomination?
DARIO MARIANELLI – Direi di sì, era migliore. Però ci sono anche state due cose eccezionali che si sono congiunte molto felicemente: una è stata l’idea dei battiti della macchina da scrivere, che però è venuta a Joe, e l’altra è proprio la storia, che si prestava a fare delle cose con la musica che non è possibile fare quasi mai. Cioè, c’è uno slittamento del punto di osservazione, e perciò si poteva combinare musicalmente questa doppiezza, fare proprio due strati narrativi. Perché non puoi mettere la macchina da scrivere in tutti i film, o fare sempre quel giochino per cui la musica diventa quella che viene cantata dai soldati sulla spiaggia: ma se tutta la storia si rivela una narrazione soggettiva e alla fine devi rivisitare all’indietro tutto ciò che hai visto, allora slittare anche con la musica non è più un giochino, e ti si aprono delle possibilità che normalmente non hai.
SANDRO VERONESI – E com’è stato, dopo? Un Oscar te la cambia la vita?
DARIO MARIANELLI – Be’, sì – ma non è detto che la cambi in meglio, però. In un certo senso – e l’ho visto anche in altri miei colleghi, se uno non sta attento – l’Oscar ti fa identificare con quella cosa per cui hai vinto l’Oscar. Quindi: Marianelli, ah, romantic-British-historical-costume-drama. Ti etichettano immediatamente. Ho fatto un po’ di fatica a estricarmi da questo, ma alla fine credo di essermi estricato – con Paddington e altri film molto diversi. Però ho dovuto dire no a una quantità di film in costume, vittoriani.
SANDRO VERONESI – L’ora più buia però è un British-historical-costume eccetera.
DARIO MARIANELLI – Sì, ma è un film di Joe Wright – e a lui, per ovvie ragioni, non dirò mai di no.
SANDRO VERONESI – E poi, se posso permettermi, non è nemmeno così in costume, almeno la musica. È molto moderna, molto contemporanea.
DARIO MARIANELLI – In effetti sì, almeno nelle mie intenzioni. D’altronde con Joe l’aspirazione è sempre questa – la sua, e di conseguenza anche quella di tutto il film: elaborare qualsiasi storia, qualsiasi argomento, in maniera moderna. Cioè, nei suoi film ti riconosci sempre, nei personaggi, anche se la vicenda è ambientata in un altro secolo.
SANDRO VERONESI – E invece in Italia non hai mai lavorato, a parte questo film di Marco Tullio Giordana, Nome di donna, che è nelle sale adesso. È esatto?
DARIO MARIANELLI – Sì.
SANDRO VERONESI – E perché?
DARIO MARIANELLI – Non me l’hanno mai chiesto, più che altro.
SANDRO VERONESI – Ma ti piacerebbe? Insomma, non è normale che non lavori in Italia.
DARIO MARIANELLI – Guarda, a me più che altro interessa lavorare con i registi intelligenti, dai quali imparo a ragionare sul cinema. Marco Tullio è uno di questi, perciò quando mi ha chiamato sono andato di corsa. Me lo vado a cercare, quel cinema lì. E quindi per me non è stato tanto lavorare in Italia, cosa che pure m’incuriosiva dato che non l’avevo mai fatto, quanto lavorare con lui.
SANDRO VERONESI – Ma tu continui a venire regolarmente in Italia, giusto? E anche la tua compagna, che è fiorentina. Venite in vacanza, a trovare la famiglia, avete ancora legami.
DARIO MARIANELLI – Sì. Certo.
SANDRO VERONESI – Apposta ti dico che è strano che non ti chiamino. Ma a proposito della tua compagna, prima di salire qui da te, mentre guardavo con ammirazione un’assurda costruzione di Lego giù in tinello, mi ha detto che il tuo vero grande talento non è nemmeno la musica, ma proprio il Lego, e le costruzioni in genere, che tu realizzi per tua figlia ma in realtà per te stesso. E infatti anch’io, quando ti ho conosciuto, anni fa, sono rimasto sbalordito da una costruzione di sabbia che avevi fatto in riva al mare, e l’ho fotografata, tanto era bella. Alla fine quello è talento manuale.
DARIO MARIANELLI – Sì, ma io questo lavoro che faccio con la musica lo considero innanzitutto un lavoro manuale, perché alla fine sono le mie mani che fanno la musica, sulla tastiera del pianoforte, sul mouse del computer, per mettere insieme dei pezzi che ho costruito e costruire qualcosa di più grande: è molto simile al Lego, e ai castelli di sabbia. Ma è simile anche da un altro punto di vista, che forse è più importante: che non sai mai cosa stai costruendo finché non l’hai costruito. Io posso dire che la lezione più importante che ho ricevuto da quando ho cominciato a fare questo lavoro è che quello che stai facendo lo capisci solo dopo che l’hai fatto. Mentre lo fai devi solo avere fede. Come quando sei sulla spiaggia e metti giù il tuo primo secchiellino di sabbia, e fai la tua prima torretta, e sai che dopo mezza giornata di lavoro avrai qualcosa di molto più grosso. Con la musica è uguale: un pezzettino, due note, tre note, poi ne metti altre tre, e vai avanti, fidandoti, finché alla fine hai una sinfonia.