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 2018  marzo 25 Domenica calendario

Canale di Suez, e così

Il 17 novembre 1869 è il giorno in cui l’Africa diventa un’isola. Con una cerimonia sfarzosa, dopo dieci anni di lavori e costi raddoppiati rispetto alle stime, il viceré d’Egitto Isma’il Pascià inaugura il canale di Suez. Allora lungo 164 chilometri, largo 53 metri e profondo 8, separa due continenti e unisce due mari, il Mediterraneo e il Mar Rosso (e di qui l’Oceano Indiano), collegando le città di Port Saïd e Suez. Navi e merci non devono più circumnavigare il continente. Protagonista dell’impresa è la francese Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez guidata da Ferdinand de Lesseps, che impiega migliaia di lavoratori e macchinari appositamente concepiti per dare forma al progetto dell’ingegnere trentino Luigi Negrelli. È da subito considerata (e pubblicizzata in tutto il mondo) come una delle più straordinarie realizzazioni nella storia dell’uomo. Attorno a questo episodio, una grande mostra a Parigi racconta «una vicenda di modernità lunga quattromila anni», segnati da ambizioni estreme e personaggi votati alla sfida. Dal faraone Sesostri III a Cleopatra, da Napoleone all’imperatrice Eugenie ai khedivè d’Egitto, fino ai presidenti Nasser e al-Sisi.

L’epopea del canale di Suez. Dai faraoni al XXI secolo, a cura di Claude Mollard e Gilles Gauthier, è l’esposizione che si apre mercoledì 28 marzo e che fino al 5 agosto occuperà l’Institut du Monde Arabe, il centro culturale costruito da Jean Nouvel e presieduto da Jack Lang, ministro della Cultura ai tempi di François Mitterrand. Materiali d’archivio, opere d’arte e focus di approfondimento consentono di far emergere temi complessi e tra loro intrecciati: dallo sviluppo dei traffici globali alla colonizzazione dell’Africa, dalla partecipazione ai flussi del turismo occidentale fino alle influenze, dirette e indirette, nella cultura e nel gusto. 
L’esposizione racconta il canale di Suez, tra sogni e progetti, dall’epoca dei faraoni alla più stretta attualità, prendendo l’avvio da un anno capitale, capace di indicare un prima e un dopo: il 1869, l’anno di inaugurazione del canale come lo conosciamo oggi. In quell’occasione, Isma’il Pascià dà il benvenuto alle famiglie reali d’Europa, agli emissari del sultano ottomano, all’imperatore d’Austria e all’imperatrice Eugenie, ospite d’onore. È in questo scenario grandioso che si apre la mostra, con dipinti, scene animate e le note dell’ Aida in sottofondo (l’opera commissionata dal khedivè a Giuseppe Verdi, che però la rappresenta al Cairo soltanto nel 1871) e le immagini dei grandi alberghi occidentali.
L’ottimismo dell’era di Isma’il Pascià, con l’Egitto ormai rivolto più all’Europa che all’Africa e al mondo ottomano, è seguito da un periodo ben più buio: fallimenti, la morsa dei Paesi stranieri e l’occupazione militare inglese dal 1882. Il canale di Suez, luogo mitico nell’immaginario degli europei attratti dal sogno del viaggio esotico, per gli egiziani è il simbolo di servitù nei confronti degli stranieri (e in particolare del protettorato britannico, che vigila sui traffici tra il Mediterraneo e le Indie). Un momento centrale dell’esposizione è quindi opportunamente dedicato alla Crisi di Suez del 1956, il momento della rivalsa: Nasser annuncia a una folla entusiasta la nazionalizzazione del canale. Segue la storia recente e, sullo sfondo, la tormentata politica mediorientale. Un’enfasi particolare è dedicata ai lavori di modernizzazione che hanno reso il canale quello che conosciamo oggi: un video lo descrive nella sua intera lunghezza. 
Ma la storia del collegamento tra Mediterraneo e Oceano Indiano è ben precedente al canale attuale, e la mostra la racconta con ricchi materiali spesso inediti. Si deve al faraone Sesostri III, nel 1850 a.C., il varco artificiale tra Nilo e Mar Rosso: un’opera mastodontica che per la prima volta apre il Mediterraneo al sud del mondo. Il canale del faraone, però, è frequentemente investito da tempeste di sabbia, tanto da richiedere periodici interventi di riparazione. Già nel 30 a.C., racconta Plutarco, dopo la battaglia di Azio Cleopatra tenta di far transitare nel canale ciò che resta della sua flotta, ma senza successo. Il passaggio è ormai insabbiato. Ricostruito, modificato, ingrandito, dall’VIII secolo è definitivamente inutilizzabile. La storia riprende solo nel 1799: in occasione della spedizione in Egitto, è Napoleone a richiedere ai suoi ingegneri un progetto, ritenuto però irrealizzabile. 
Questo primo confronto con la modernità europea caratterizza il successivo regno di Mehmet Alì e dei suoi discendenti, via via più autonomi dall’Impero Ottomano. Alla soluzione ipotizzata nel 1833 dal francese Prosper Enfantin segue il progetto di Luigi Negrelli, poi realizzato, e la concessione a Ferdinand de Lesseps, nel 1854, da parte del nuovo khedivè Said Pascià. È l’atto finale, che dà il via ai cantieri e porta infine all’inaugurazione del 1869. «Ciò che era impossibile cinquant’anni fa è diventato semplice grazie al vapore, al telegrafo elettrico e a tutti gli strumenti che la scienza ci ha fornito», spiega De Lesseps nel 1870. 

Dopo due importanti ampliamenti (il primo a partire dal 1975, l’ultimo avviato con grande enfasi dal presidente al-Sisi tra 2014 e 2015 per il raddoppio a sud del Grande Mare Amaro), oggi il canale è molto diverso da quello inaugurato da Isma’il Pascià. Lungo 193 chilometri, largo fino a 225 metri e profondo 24, consente il transito di grandi navi che sostengono un imponente business globale. Nel 2015, il canale ha portato 5,3 miliardi di dollari nelle casse dell’Egitto. A partire dal 2023 dovrebbero essere 13,2 miliardi ogni anno. Sono queste dimensioni e la nuova e crescente centralità a giustificare le ambizioni non soltanto dell’Egitto di oggi, ma anche quelle della Cina di Xi Jinping: il porto greco del Pireo è stato recentemente acquistato dalla cinese Cosco e il canale di Suez è destinato a diventare sempre più il corridoio dei traffici tra Europa ed Estremo Oriente. Rotte internazionali, via terra e mare, e ambizioni globali (l’Impero britannico prima, la Cina poi) si incontrano e confliggono oggi come ieri con la libertà di navigazione. Le grandi infrastrutture sono da sempre obiettivi politici e strumenti potenti nella geopolitica di ogni epoca, dai tempi dei faraoni alle campagne napoleoniche, dagli interessi francesi (così ben rappresentati dall’imperatrice Eugenia ospite d’eccezione di Isma’il Pascià) fino alle ripetute crisi che hanno interessato il Vicino Oriente nel secondo Novecento. 
Il 26 luglio 1956, il canale di Suez torna improvvisamente al centro dell’attenzione mondiale. Ad Alessandria d’Egitto è il presidente Nasser ad annunciarne la nazionalizzazione contro lo sfruttamento delle potenze europee, britannici e francesi in testa. Se Isma’il Pascià annunciava: «Nessuno è più canalista di me, ma voglio che il canale appartenga all’Egitto»; un secolo più tardi è Nasser a dichiarare: «Il mondo arabo è forte, assai forte». L’Occidente denuncia la nazionalizzazione esigendo un immediato intervento militare. Sono le diplomazie internazionali a chiudere la crisi e a definire il nuovo ordine mediorientale e quindi mondiale. Almeno fino a quando, durante la Guerra dei sei giorni del 1967, le forze israeliane occupano la penisola del Sinai e l’intera sponda orientale del canale di Suez. Allora, per non consentire a Israele l’utilizzo del canale, l’Egitto lo chiude fino al 1975. Per 8 anni, 15 navi da carico (la cosiddetta yellow fleet, la «flotta gialla») rimangono intrappolate. 
Oggi, tra nuove ambizioni nazionaliste e partecipazione a più vasti circuiti globali, il canale detiene lo status di icona romantica delle lotte e delle glorie nazionali, addirittura topos letterario per molti scrittori egiziani a partire da Nagib Mahfuz, premio Nobel. Dopo la tappa all’Institut du Monde Arabe e quella al Musée d’Histoire di Marsiglia (17 ottobre-31 marzo 2019), la mostra andrà al Cairo, nel nuovo Museo Nazionale della Civiltà egiziana, in occasione del 150° anniversario. Ma l’obiettivo è di conservare almeno in parte i materiali della mostra e di esporli nel futuro Museo del Canale di Suez, in costruzione dal 2013 nella città di Isma’ilia.