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 2018  marzo 25 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO L’ELEZIONE DEI PRESIDENTI DELLE CAMEREROMA - Matteo Salvini non lascia passare neppure 24 ore dall’elezione dei presidenti di Camera e Senato

APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO L’ELEZIONE DEI PRESIDENTI DELLE CAMERE

ROMA - Matteo Salvini non lascia passare neppure 24 ore dall’elezione dei presidenti di Camera e Senato. E sui social, a metà giornata, lancia il suo messaggio: "Nel rispetto di tutti, il prossimo premier non potrà che essere indicato dal centrodestra, la coalizione che ha preso più voti e che anche ieri ha dimostrato compattezza, intelligenza e rispetto degli elettori". Dopo il difficile armistizio con Forza Italia, mentre dilagano i malumori degli azzurri nei suoi confronti, il destinario del post su Fb e Twitter è innanzitutto il possibile nuovo alleato: Luigi Di Maio.

Il leader e candidato premier del M5s usa Instagram per smontare il teorema che vorrebbe l’accordo con il centrodestra sulle presidenze delle Camere rivelatore di una prossima saldatura delle stesse forze per la formazione del nuovo governo. "Abbiamo sempre detto - ripete Di Maio - che la partita sulle presidenze delle Camere è slegata da quella del governo". Piuttosto, è il concetto su cui spinge, "da oggi chi vuole lavorare per i cittadini, sa che esiste una forza affidabile e seria che dialoga con tutti e si muove compatta per il bene del Paese".

All’invito di Di Maio a quanti intendano davvero "lavorare per i cittadini", Salvini implicitamente risponde ricordando punto per punto il suo programma: "Via legge Fornero e spesometro, giù tasse e accise, taglio degli sprechi e spese inutili, riforma della scuola e della giustizia, legittima difesa, revisione dei trattati europei, rilancio dell’agricoltura e della pesca italiane, ministero per i disabili, pace fiscale fra cittadini ed Equitalia, autonomia e federalismo, espulsione dei clandestini e controllo dei confini. Noi siamo pronti, voi ci siete".

Nel rispetto di tutto e di tutti, il prossimo Premier non potrà che essere indicato dal centrodestra, la coalizione che ha preso più voti e che anche ieri ha dimostrato compattezza, intelligenza e rispetto degli elettori.
Noi siamo pronti, voi ci siete??? pic.twitter.com/vWYakNLz7W

— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) March 25, 2018 Messaggio recapitato? Se qualcuno avesse ancora bisogno di chiarimenti, ecco arrivare la dichiarazione di Giancarlo Giorgetti, fedelissimo di Salvini. "In Parlamento c’è tanta gente eletta nei collegi uninominali che magari ha messo qualche cosa di suo, degli amministratori locali, persone che possono condividere quello che sarà il programma che Salvini proporrà per il governo. Immagino sarà incaricato". Insomma, Palazzo Chigi spetta a Salvini. E ai Cinquestelle arriva un messaggio anche sul punto del loro programma che più di altri potrebbe ostacolare il raggiugimento della famosa quadra. "Il reddito di cittadinanza - mette nero su bianco Giorgetti - vediamo se possiamo declinarlo in un altro modo". Certo, se si trattasse di "una misura universalistica" per "sostituire la pensione o una reversibilità", aggiunge, allora "non ha assolutamente senso". Invece, "se è un qualche cosa che orienti o incentivi la ricerca del lavoro", dice il deputato della Lega, allora "può essere valutato".

Il percorso non è affatto semplice, Salvini e Di Maio sono due leader e, programma a parte, nessuno dei due è disposto a venir fuori con una soluzione che lo faccia apparire subalterno all’altro. Ma la trattativa è percorribile e a certificarlo arriva una frase di Grillo, in partenza da Roma dove si è trattenuto un paio di giorni per il suo spettacolo. "Salvini è uno che quando dice una cosa la mantiene, il che è una cosa rara".

Di sicuro le tensioni nel centrodestra non sono sopite. Renato Brunetta, che ieri ha fatto sapere di voler rinunciare all’incarico di capogruppo forzista, paventa esattamente il rischio di subalternità di Salvini nei confronti di Di Maio: "Io continuo a dire che il centrodestra ha leadership plurali. O queste leadership riescono a fare sintesi e allora il centrodestra è forte. Se non riescono a fare sintesi il centrodestra non esiste più. Esiste solo Salvini, ma Salvini ha solo il 17%, e cioè è totalmente subalterno al Movimento Cinquestelle". La strada per Palazzo Chigi, insomma, è ancora tutta in salita.

Ospite di In mezz’ora in più, il segretario reggente del Pd Maurizio Martina non crede a Di Maio e sottolinea invece come l’intesa tra Centrodestra e M5s sulle presidenze delle Camere rappresenti "un fatto politico nuovo", indicativo di quanto potrebbe succedere anche a livello di esecutivo. "Non mi si dica - dice Martina - che la partita delle scelte dei presidenti di Camera e Senato è distinta dal governo. Lo dicano ai loro elettori, Lega e M5s: c’è un disegno complessivo".

Quanto al Pd, in questa partita "noi ascolteremo le indicazioni del presidente Mattarella - chiarisce ancora il segretario reggente -, ma non voglio anticipare scenari che non mi competono. Non voglio neanche lontanamente strattonare il Capo dello Stato; e saremo con lui nella valutazione dello scenario. Calma". "Non spetta a noi ora - ribadisce - indicare una via. Saremo rispettosi di quello che il presidente della Repubblica dirà, ma l’onere di indicare una prospettiva al Paese uscendo dalla propaganda spetta a chi ha vinto. Da parte nostra è un atto di responsabilità. Se non saranno in grado di garantire una prospettiva, dovremo lavorare sodo e mettere a disposizione la nostra forza per il Paese. Ma oggi si deve rendere evidente che c’è chi sposta l’asse programmatico rispetto alle promesse fatte prima del 4 marzo".

GRILLO SU SALVINI
«Fico è una persona straordinaria, lo sapete. Lo conosciamo tutti», dice Beppe Grillo, fondatore di M5S. I rapporti tra M5s e Lega? «Salvini è uno che quando dice una cosa la mantiene (stesso giudizio dato da Di Maio, ndr), il che è una cosa rara», è il giudizio che il garante dei Cinque Stelle affida ai cronisti che ne attendono l’uscita dall’hotel Forum per la partenza dalla Capitale dove si è trattenuto un paio di giorni per il suo spettacolo teatrale. La giornata di domenica ha ripreso da dove aveva terminato la precedente. Grillo esce dall’hotel Forum e davanti ai giornalisti che ne attendono la partenza dalla Capitale tesse le lodi di Luigi Di Maio e di Roberto Fico, proprio come aveva fatto con chi ne aveva atteso il ritorno nella tardissima serata di ieri, dopo il suo spettacolo teatrale. Solo che stavolta Grillo aggiunge anche il viatico per il capo politico M5S a Palazzo Chigi.

«Lasciate lavorare Di Maio in pace»

E ora, dopo Fico scelto guidare la Camera, Di Maio al governo? «Ma certo», risponde il garante M5s che poi si divincola dalla ressa di telecamere precisando che «io non porto niente». La scena si sposta con Grillo, ormai in auto, precisare con la prudenza del politico di lungo corso che «non lo so quanto al governo, sarà il presidente della Repubblica che darà l’incarico». «Basta, non mi fate parlare di queste cose», aggiunge. Tutto il resto, nomi, formule, alleanze, «sono illazioni che fate voi. Qui dobbiamo cambiare il Paese, e lo stiamo cambiando». Di Maio? «Ma lasciatelo lavorare bene, in pace, tranquillo». Perché, fatte salve le prerogative del Colle, «certo che decide Di Maio. Scherzate? È uno statista», certifica il cofondatore M5S.

VERDERAMI

Per tutta la stagione della Seconda Repubblica, durata oltre un ventennio, centrodestra e centrosinistra non si sono mai voluti reciprocamente riconoscere. E c’è un motivo se nel giro di poche settimane Salvini e Di Maio hanno avvertito l’esigenza di legittimarsi a vicenda, fino ad elevare il patto ad accordo istituzionale: mirano a essere i soci fondatori della Terza Repubblica, basata su un altro modello di bipolarismo. Ecco come nascono le nuove larghe intese tra il leader del centrodestra e il capo di M5S, attesi ora alla prova più delicata. E non c’è dubbio che al momento di essere consultati al Colle, Mattarella porrà ad entrambi la stessa domanda: dopo aver votato insieme i presidenti delle Camere, siete disposti a formare insieme anche una maggioranza di governo? Dalla loro risposta dipenderà il percorso che intraprenderà il capo dello Stato, posto al momento davanti a una serie di scenari. Il primo prevede proprio la nascita di un gabinetto di larghe intese, a condizione però che M5s si acconci a una coabitazione con Forza Italia. Perché su questo punto ieri Salvini, evitata la rottura dell’alleanza e sancita la sua leadership, ha offerto garanzie a Berlusconi: «Non farò nulla su cui non ti troverai d’accordo».


Il rischio dello stallo

Una simile maggioranza — guidata da Salvini — avrebbe numeri tali da poter persino riformare la Costituzione senza dover passare per un referendum popolare. Ma il Movimento, per sua natura, non si concilia con la formazione di un governo politico insieme al Cavaliere. L’idea del «Grillusconi» già sta mettendo in tensione i vertici e la base di M5S, ed è solo un’ipotesi. L’altra opzione con Salvini premier prefigura un esecutivo che si regge sull’astensione del Pd. Il percorso però finirebbe subito in un vicolo cieco, vista l’opposizione di Renzi che per ora è la linea dell’intero partito: «Tocca a loro». E dunque il veto varrebbe anche per il M5S, se toccasse a loro l’incarico. Perciò le possibilità che Salvini e Di Maio arrivino a Palazzo Chigi in questa legislatura sono poche. A meno che il segretario leghista rompesse l’alleanza di centrodestra e si disponesse a fare lo junior partner del capo di M5S. Cosa ormai improbabile. Se questo fosse l’esito delle prime consultazioni, il Palazzo si troverebbe dentro lo stallo perfetto, con il rischio di tornare al voto. Solo allora Mattarella — dopo una fase lunga e tormentata — potrebbe optare per un mandato esplorativo, così da verificare la possibilità di dar vita a un governo.


La carta-Casellati

Come in una partita a scacchi, a quel punto si entrerebbe nel medio gioco, dove le mosse di scuola lasciano spazio all’abilità e all’interpretazione. Certo, a seguire la «volontà popolare», cioè il risultato elettorale, il compito potrebbe spettare alla neo eletta presidente del Senato. Ecco su cosa confida Berlusconi. Il Cavaliere — subito dopo l’elezione della Casellati a Palazzo Madama — in un colloquio riservato ha detto che «il passaggio vero sarà quello, perché non credo si farà un governo con M5S». È vero che — al termine di un durissimo braccio di ferro nel centrodestra — il costo d’immagine per Berlusconi e per Forza Italia è stato elevatissimo, che un intero blocco di classe dirigente azzurra è stato di fatto rottamato ed è con un piede fuori dal partito, «ma intanto — ha proseguito il Cavaliere nella sua conversazione — abbiamo costretto i grillini a votare per la Casellati». E la Casellati, come prima dichiarazione da presidente del Senato, ha sottolineato che «il voto è un incoraggiamento per il domani, quasi una premessa. Mi auguro che questa convergenza fra forze diverse incoraggi anche la formazione del governo».




Durata garantita

È impossibile analizzare oltre lo sviluppo del medio gioco. Ma a parte le difficoltà di gestione del Paese e le risposte da offrire ai partner europei, c’è un punto su cui Salvini e Di Maio devono aver già raggiunto un’intesa: la durata della legislatura. Garantita l’unione sui conti pubblici, affidato al Parlamento l’impegno di tagliare i costi della politica e soprattutto di varare una legge elettorale di stampo maggioritario, non è pensabile che i due proseguano insieme: l’anno prossimo ci sono le Europee e va in scadenza il 60% delle amministrazioni locali. Perciò devono tornare avversari. A meno che l’istinto di sopravvivenza del Palazzo non finisca per sopraffarli. A questo punteranno gli sconfitti del 4 marzo.

STAMPA

«Abbiamo sostenuto un accordo istituzionale con Salvini, evitando l’elezione al Senato del condannato Paolo Romani, e alla Camera abbiamo riportato una grande vittoria». Nelle prime parole di Danilo Toninelli, capogruppo dei senatori M5S, scompare qualunque riferimento a Silvio Berlusconi e alla nuova presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, fondatrice di Forza Italia e corifea del Lodo Alfano, votata in massa da tutti i senatori grillini. L’imbarazzo è evidente. La verginità politica, persa per sempre. 

 


 

Sembra quasi che sia intervenuto un meccanismo di rimozione tra i senatori pentastellati. Gli attacchi di un tempo contro l’«inciucio» tra Pd e Fi si sono trasformati in una difesa accorata dell’«accordo istituzionale». Mentre il disagio per aver sostenuto la berlusconiana Casellati viene nascosto, guardando insistentemente in direzione di Montecitorio, ripetendo come un mantra quale «grande vittoria» sia stata l’elezione a presidente dell’aula di Roberto Fico. Tanto che l’unico modo per Toninelli di citare la nuova presidente del Senato diventa: «Per noi, votare Casellati significava votare Fico». «Ma non è stato un patto con il diavolo», puntualizza il collega Andrea Cioffi che ha raggiunto il suo capogruppo e si aggiunge alla conversazione con i cronisti. «La prima qualità che mi viene in mente della Casellati?»: Toninelli e Cioffi ci pensano un po’ ma niente da fare, cala il silenzio. I due decidono quindi di allontanarsi. Cioffi, però, poco dopo torna sui suoi passi: «Sono entusiasta dell’elezione della Casellati». Eppure, una buona ragione per preferirla a Romani, il senatore M5S ancora non la trova. 

 


 

D’altronde, la nascita del Movimento 5 stelle è dovuta in parte alla lotta contro quel berlusconismo di cui Casellati può definirsi paladina. Beppe Grillo, nel 2009, aveva anche condotto una battaglia contro il Lodo Alfano, nato quando il sottosegretario alla Giustizia era proprio la nuova presidente del Senato. Il comico genovese aveva persino inviato cinque domande all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo, in sostanza, il motivo della sua firma del Lodo Alfano, «che consente l’impunità a Silvio Berlusconi nel processo Mills». E in coda, l’invito rivolto a tutti gli italiani a inoltrare quelle domande al sito del Quirinale. 

 


 

Oggi, invece, ad essere intasate sono le caselle di posta dei parlamentari grillini. Inondati dalle mail degli attivisti e dei meet up che li pregano, li interrogano, li insultano per l’accordo raggiunto con il centrodestra. «Da Lecce gli attivisti ci hanno inondato di mail chiedendoci di non fare questo accordo», racconta Veronica Giannone, giovane deputata pugliese del Movimento 5 stelle, che con una scrollata di spalle ammette le contraddizioni del voto al Senato. Ma al sentire la parola «inciucio» urla un «no» terrorizzato. «Patto del Nazareno in salsa grillina», le dicono, e Giannone sembra sul punto di svenire. È un macigno sulle spalle dei grillini meno navigati, l’accordo raggiunto tra Luigi Di Maio e il centrodestra. E sono i meet up del Sud Italia quelli più inferociti. Quegli stessi elettori che hanno trascinato il Movimento alla vittoria nelle urne, e che ora chiedono sulle pagine social dei parlamentari M5S eletti di tornare indietro, di non andare oltre, di non prenderli in giro. Daniele Pesco, deputato del M5S alla sua seconda legislatura, senza volerlo taglia però la testa ad ogni preoccupazione della base: «Capisco l’imbarazzo, ma questa è la politica».

mal di pancia

ROMA - La strategia portata avanti sulle presidenze delle Camere sta scuotendo Forza Italia. In un documento che, riferiscono alcune fonti parlamentari, ha raccolto la firma di una parte dei deputati ’azzurri’, si chiede il rinnovo dei vertici. Mentre, al Senato, Paolo Romani questa mattina ha spiegato apertamente di non aver condiviso la scelta operata su Palazzo Madama: "Sono preoccupato - ha spiegato - per quello che ci aspetta".

"Vorrei tranquillizzare i tanti o pochi malpancisti del mio gruppo, che puntano a prendere il mio posto di presidente FI Camera: non ho alcuna intenzione di fare per altri 5 anni un mestiere così difficile, logorante e, per certi versi, pericoloso". Lo scrive su twitter il capogruppo uscente di Fi Renato Brunetta.

Vorrei tranquillizzare i tanti o pochi malpancisti del mio gruppo, che puntano a prendere il mio posto di presidente FI Camera: non ho alcuna intenzione di fare per altri 5 anni un mestiere così difficile, logorante e, per certi versi, pericoloso #nonservonolefirme #statesereni

— Renato Brunetta (@renatobrunetta) 24 marzo 2018 Il timore in FI è che sia partita l’Opa di Salvini sul partito. Ovvero che il segretario del Carroccio possa ora portare avanti l’operazione del partito unico, orientando tutte le decisioni della coalizione del centrodestra. "Siamo usciti da questa situazione con le ossa rotte", confida un ’big’ di FI.

Berlusconi ha sottolineato di avere fiducia in Matteo Salvini, lo ha ricevuto anche dopo la consacrazione di Fico e Casellati ai vertici istituzionali. Ma ora la preoccupazione è che il Carroccio possa alzare la posta. Anche rispetto alle prossime amministrative. "Sui territori - sottolinea un altro esponente azzurro - hanno cominciato a chiedere di esprimere i propri candidati". Romani (Fi): "Abbiamo permesso a Salvini di fare le nostre veci, ma non è leader centrodestra"