Corriere della Sera, 22 marzo 2018
Il falso amico
L’ondata d’indignazione sollevata in tutto il mondo dallo scandalo di Facebook rivela che i «social» vengono ancora percepiti da chi li frequenta come degli amici veri, non come aziende che lucrano su una pulsione irresistibile dell’uomo: mettersi in mostra, condividere, coinvolgere il maggior numero di persone nella propria vita. Tanti, forse troppi, sono rimasti sinceramente sorpresi alla scoperta che il gestore del loro trastullo preferito potrebbe avere concesso i dati di milioni di utenti a certi loschi figuri intenzionati a influenzare l’esito delle elezioni un po’ ovunque. Il fondatore di Facebook ha chiesto scusa per la mancata protezione, e meno male. Ma tra di noi ce lo possiamo dire: davvero pensavamo che Facebook fosse nostro «amico»?
Se confido un segreto a un amico e lui va a spifferarlo in giro, è naturale che mi senta tradito. Ma le parole e le immagini che affidiamo ai «social» non sono paragonabili a un segreto. Nel momento stesso in cui le pubblichiamo, sappiamo di togliere loro ogni riservatezza per metterle dentro un calderone sul quale non esercitiamo alcun controllo. Chi affida i suoi pensieri e le sue passioni a Facebook non può fare finta di non conoscere i rischi a cui va incontro. Oltre a prendersela con il falso «amico» Zuckerberg, forse dovrebbe avercela anche con se stesso. Riflettere sulla sua ingenuità. Quando un mercante ci lascia fare gratis qualcosa che ci piace, la merce in vendita siamo noi.