la Repubblica, 22 marzo 2018
Il matrimonio dei re dei semi
Il “matrimonio infernale” – come lo chiamano agricoltori e ambientalisti – s’ha da fare. Le barricate alzate da verdi e contadini in tutto il mondo (# marriagefromhell l’hashtag virale) non sono servite. La Ue ha dato il via libera alle nozze tra Bayer e Monsanto. Il colosso tedesco dovrà cedere a Basf attività per 6 miliardi. Ma è una formalità. I promessi sposi attendono solo il semaforo verde dagli Usa, poi arriverà il fatidico “sì” da cui nascerà il numero uno mondiale di semi e pesticidi.
L’Olimpo dei padroni dell’agricoltura completa così la drammatica selezione darwiniana che in 24 mesi ha cambiato la mappa del settore. Nel 1981 c’erano al mondo 7mila aziende sementiere. Oggi sono sparite quasi tutte. E il tris di megafusioni degli ultimi due anni – oltre a Bayer-Monsanto, ChemChina-Syngenta e Dow-Dupont – ha concentrato nelle mani di tre gruppi il 70% del mercato.
Un bene o un male? La specializzazione delle colture – accusa la Fao – ha ridotto del 75% la biodiversità nel ventesimo secolo. Il processo però – dice “Big farm” – è irreversibile: le terre coltivate calano, la popolazione aumenta. “Se vogliamo garantire cibo a tutti – recita il bilancio Dupont – dobbiamo aiutare i contadini a rendere più produttivi i campi”. E visto che lanciare un nuovo seme hi- tech costa 150 milioni in ricerca, “è necessario voltar pagina con l’innovazione” sintetizza il numero uno di Bayer Werner Baumann. Come dire, lasciate fare a noi che abbiamo le spalle larghe.
Le ragioni della nuova triade dei campi faticano a sfondare da questa parte dell’Atlantico dove gli Ogm, per dire, sono ancora off- limits. Il 54% degli europei, per Yougov, voleva che Bruxelles bloccasse il marriagefromhell.
“Stiamo regalando a un circolo esclusivo il controllo della produzione alimentare globale” dice il portavoce dei verdi Ue Bart Staes. “Il nostro obiettivo era garantire la competizione e l’abbiamo centrato” risponde ragionieristica la commissaria Margaret Vestager. Manipolazioni genetiche a parte, lo spauracchio degli ambientalisti è il modello industriale dei Big Three: la vendita di semi standardizzati e omologati abbinati ai fitofarmaci necessari per farli rendere bene.
Un pacchetto “tutto compreso” di cui controllano – grazie all’oligopolio – pure i prezzi e che rischia di essere il colpo di grazia alla biodiversità. In un’agricoltura sempre più digitale – aggiungono in molti – c’è il rischio di replicare il caso Facebook, con pochi giganti che raccolgono dati vitali sulle coltivazioni in grado di condizionare le scelte di contadini e consumatori e orientare, grazie al loro potere di lobby, anche quelle della politica.
I padroni dei semi – non è un caso dicono le malelingue – sono riusciti a incassare dalla Ue alcune decisioni favorevoli. L’avvocatura della corte di giustizia ha chiesto di autorizzare l’uso di modifiche genetiche tra varietà dello stesso tipo di pianta (obiettivo renderle resistenti a siccità e malattie) senza passare dai protocolli rigidi previsti per gli Ogm. La Corte si pronuncerà a maggio ma tutti danno per scontato un ok.
Non solo. Bruxelles ha autorizzato per 5 anni l’uso del glifosato – brevetto di Monsanto – la cui “potenziale cancerogenicità” è oggetto di pareri contrastanti. A breve ci sarà il voto sugli erbidici a base di neonicotinoidi ritenuti responsabili della moria di api. I verdi vogliono proibirli. Ma queste decisioni – risponde Baumann – “vanno prese in base a prove scientifiche e non cavalcando una paura diventata modello di business, a volte solo per raccogliere donazioni”. La guerra dei semi è destinata a durare ancora a lungo.