la Repubblica, 22 marzo 2018
L’amaca
Nella guerra tra città e campagna che minaccia di segnare, insieme ad altre cose, il futuro politico dell’Italia e forse del pianeta, la spedizione di un gruppetto di migranti da Gallarate a Milano (biglietto pagato dal sindaco di Gallarate) segna un punto apparente in favore della campagna. Cervello fino, il sindaco avrà pensato che quei fighetti dei milanesi, visto che fanno tanto i democratici, si devono cuccare un bel torpedone di africani. Ma rischia di essere un autogol: il milanese Majorino, assessore alle Politiche sociali, ha risposto, piuttosto spiritosamente, che se la si mette su questo piano lui potrebbe anche pagare il biglietto a duemila migranti, e mandarli a Gallarate. Poi sì che si ride.
I migranti sono abituati a essere trattati come pacchi, e la rotta Gallarate-Milano ed eventuale ritorno, dopo quello che hanno passato, non è tra le prove più ardue.
Piuttosto, c’è da domandarsi se quelli di Gallarate hanno valutato bene i rischi di un braccio di ferro con Milano. La città, per quanto debosciata e decadente, è ricca e ingegnosa quanto basta per potersi levare qualche sfizio, per esempio un’accoglienza dignitosa, così da ribadire una vecchia regola che in questo periodo confuso sembra dimenticata.
La regola, ben nota agli storici, è che nelle città, in genere, nascono le rivoluzioni, e nel contado germina la reazione. Il sindaco di Gallarate ha perso l’occasione per invertire la tendenza. Peccato, perché di sorprese c’è un gran bisogno.