21 marzo 2018
APPUNTI PER GAZZETTA SU CAMERA E SENATO
ILPOST.IT –
Sono passate più di due settimane dalle elezioni politiche del 4 marzo e tra due giorni la XVIII legislatura avrà ufficialmente inizio con l’insediamento dei nuovi parlamentari. Il primo compito dei nuovi eletti sarà l’elezione dei presidenti delle due camere, che si svolgerà a partire da venerdì 23 marzo. È un momento politicamente molto atteso, perché trovare una maggioranza con cui eleggerli è considerato il primo passo per formarne una che possa poi sostenere un governo. Come vedremo, però, le cose non sono così semplici.
C’è un accordo centrodestra-Movimento 5 Stelle?
La novità degli ultimi giorni è che il centrodestra – quindi Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sembra molto vicino a un accordo con il Movimento 5 Stelle per spartirsi le presidenze delle due camere. Secondo quanto scrivono i giornali, il Movimento esprimerà la presidenza della Camera mentre Forza Italia quella del Senato, grazie al voto o almeno alla benevola astensione del Movimento. Questo risultato – se sarà confermato, ed è tutto da vedere – è il frutto soprattutto delle trattative e degli accordi all’interno del centrodestra, la forza politica che al momento si trova sotto le maggiori pressioni.
Forza Italia, in particolare, è in una situazione difficile. Il suo risultato elettorale è stato molto al di sotto delle aspettative, il partito ha perso la leadership della coalizione ed è diviso tra i principali collaboratori di Berlusconi che hanno elaborato le liste elettorali, come l’avvocato Niccolò Ghedini, e gli altri dirigenti che chiedono un cambiamento profondo all’interno (il presidente della Liguria Giovanni Toti è uno dei più conosciuti ed esposti su questo tema). Il partito è minacciato anche da una potenziale emorragia di dirigenti e parlamentari verso la Lega, vista da molti come la forza che presto o tardi finirà con l’egemonizzare il centrodestra.
Matteo Salvini, segretario della Lega, ha aumentato la pressione su Forza Italia facendo nei giorni scorsi una serie di più o meno velate aperture a un possibile governo con il Movimento 5 Stelle, lo scenario peggiore per il partito di Berlusconi, che si troverebbe tagliato fuori ed esposto a un lento logoramento. È in parte per questa ragione che diversi dirigenti di Forza Italia, come Renato Brunetta e Paolo Romani, hanno ricambiato queste velate minacce ricordando che i voti di Forza Italia tengono in piedi le giunte regionali a guida leghista di Lombardia e Veneto.
Ma dopo aver alzato la pressione nei confronti degli alleati, Salvini ha cercato di essere conciliante e fino a questo momento ha sempre evitato la rottura. Per esempio, Salvini ha accettato la richiesta di Forza Italia di poter scegliere anche il presidente del Senato. Ha invece imposto la candidatura di Massimo Fedriga in Friuli Venezia Giulia, dove si voterà per scegliere il presidente della regione il prossimo 29 aprile (in un primo momento era sembrato che la coalizione scegliesse invece Lorenzo Tondo, vicino a Forza Italia).
Quindi chi formerà il governo?
Nonostante i passi avanti fatti per l’elezione dei presidenti delle camere, trovare una maggioranza di governo appare ancora molto difficile. La notizia principale di oggi è un’indiscrezione che Berlusconi ha fatto arrivare ai giornali, secondo cui sarebbe disposto a lavorare a un governo con il Movimento 5 Stelle. «Noi non abbiamo preclusioni nei confronti del Movimento e pensiamo si possa trovare un’intesa su un governo di programma», scrive per esempio Repubblica, attribuendo la frase a un colloquio tra Berlusconi e i principali dirigenti del partito.
Ma più che una vera offerta di governo, questa sembra una scelta tattica fatta per cercare di tenere unita la coalizione di centrodestra: non sembra possibile infatti che il Movimento possa appoggiare un governo insieme a Berlusconi. E resta sempre il problema di chi questo governo dovrebbe guidarlo. Salvini rivendica la leadership del centrodestra ma non ha i voti da solo, e su questo punto il più intransigente appare proprio il Movimento 5 Stelle, che finora ha mantenuto pubblicamente una posizione molto chiara: l’unico governo che il Movimento è disposto a votare è quello guidato da Luigi Di Maio con i ministri che sono stati proposti nei giorni precedenti alle elezioni. Salvini è invece sembrato più possibilista, dicendo di essere disponibile a sostenere un governo anche non guidato da lui.
E il PD?
Per il momento il Partito Democratico sembra essersi ritirato dalle trattative in corso. Quasi tutti i suoi principali dirigenti sostengono apertamente che non è possibile appoggiare la formazione di alcun governo, ma non escludono che le cose possano cambiare nelle prossime settimane nel caso in cui tutti i tentativi di formare un governo dovessero fallire e il presidente della Repubblica facesse un appello per sostenere un nuovo governo in grado di occuparsi delle incombenze più importanti. Questa posizione è condivisa da moltissimi dirigenti del partito con l’eccezione dei più vicini all’ex segretario Matteo Renzi, che invece sostengono la necessità di restare all’opposizione in qualunque circostanza. Il PD quindi non avrà probabilmente un ruolo centrale nei prossimi giorni, quando Movimento 5 Stelle e centrodestra cercheranno di concludere gli accordi per la scelta dei presidenti delle camere e poi proveranno a formare una maggioranza di governo.
In questo periodo il PD dovrà invece affrontare una serie di questioni interne. La prima sarà l’elezione dei capigruppo alla Camera e al Senato. La scelta sarà se nominare figure considerate molto vicine a Renzi, oppure se fare una scelta che tenga conto anche delle altre componenti del partito. Poi, a metà aprile, si riunirà l’Assemblea nazionale del partito, che dovrà decidere il successore di Renzi alla segreteria. Il favorito sembra essere l’attuale vicesegretario Maurizio Martina (qui trovate un suo profilo), ma i giornali parlano molto anche dell’attuale ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio. Il segretario scelto dall’Assemblea dovrebbe guidare il partito fino al prossimo congresso, durante il quale il nuovo segretario sarà scelto tramite primarie.
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REPUBBLICA.IT –
Si è concluso il vertice ufficiale fra gli alleati della coalizione di centrodestra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, a Palazzo Grazioli per decidere sulla trattativa con il M5s sulla presidenza delle Camere. "Il centrodestra propone ai capigruppi parlamentari un comune percorso istituzionale che consenta alla coalizione vincente (il centrodestra) di esprimere il presidente del Senato e al primo gruppo parlamentare M5s il presidente della Camera. A tal fine anche per concordare i nomi i leader del centrodestra invitano le altre forze politiche ad un incontro congiunto domani". E’ quanto si legge in una nota diffusa al termine del vertice a Palazzo Grazioli.
Inoltre, si legge ancora nella nota, "il centrodestra riconosce in ciascun ramo del Parlamento un vicepresidente a ogni gruppo parlamentare che non esprima il presidente. Confidiamo - continua il comunicato - che una tale proposta così rispettosa del voto degli italiani possa essere accolta positivamente da tutte le altre forze in campo".
Secondo fonti azzurre è Paolo Romani, attuale capogruppo di Forza Italia al Senato, il candidato su cui punta Berlusconi per la presidenza di Palazzo Madama. Un nome condiviso da tutto lo stato maggiore del partito (presenti, oltre allo stesso Romani anche Renato Brunetta, Gianni Letta e Niccolò Ghedini), che l’ex Cavaliere ha incontrato prima del vertice con Salvini e Meloni. Sullo sfondo resta invece il nome di Anna Maria Bernini, vice presidente dei senatori nella passata legislatura.
E Salvini ha ribadito, rivolgendosi al leader del M5s: "Di Maio può dire quello che vuole, ma la prima coalizione uscita dalle urne è quella di centrodestra e noi ragioniamo da persone concrete su quello che è il governo da dare agli italiani". Ma anche se la trattativa sulle presidenze delle Camere è stata svincolata da quella sul futuro governo, il segretario leghista sarebbe apparso molto sicuro nel voler rivendicare Palazzo Chigi per la Lega e per sè in particolare. Un quadro che va incontro a quello che Giorgia Meloni predica da tempo e cioè che in una logica di coalizione essendo Salvini il candidato premier, gli altri incarichi vanno divisi tra le altre forze del centrodestra.
Mentre salgono le quotazioni di Romani, nel centrodestra si è sbloccato il nome del candidato alla presidenza della regione Friuli Venezia Giulia. La scelta è caduta su un fedelissimo di Salvini, Massimiliano Fedriga. La decisione sul capogruppo della Lega alla Camera nella passata legislatura è stata presa unitariamente da tutti i partiti che fanno parte della coalizione di centrodestra. "Massimiliano Fedriga prossimo presidente del Friuli Venezia Giulia! Buon lavoro", ha annunciato il leader della Lega Matteo Salvini su Twitter.
Già nelle ultime ore era circolata con insistenza la voce di un possibile ’scambio’ tra la presidenza del Senato per Forza Italia e la guida della regione friulana a un esponente del Carroccio. La candidatura di Fedriga è stata decisa dopo lunghi negoziati tra i partiti della coalizione di centrodestra nel corso dei quali sono stati "bruciati" molti nomi sui quali inizialmente si riteneva fosse stato trovato un accordo. L’ultimo di questi è stato Renzo Tondo, dato pochi giorni fa per candidato ufficiale definitivo e, contro il quale, è insorta la base leghista. La lega in Friuli Venezia Giulia è stata per numero di consensi, il partito più votato. Nel caso in cui dovesse spuntarla Fedriga, Salvini avrebbe in mano tre regioni nel ’suo’ Nord, dopo Lombardia e Veneto.
Quanto all’ipotesi di un governo centrodestra-M5S, con il via libera di Berlusconi, prima del vertice anche Giovanni Toti ha aperto a un accordo con i cinquestelle, a patto però che sia finalizzato a una nuova legge elettorale: "Un governo con i 5 stelle? È una soluzione - ha affermato il presidente della Liguria a Rai Radio 1 - La prima ipotesi per me sarebbe un governo di centrodestra ma se non è possibile allora certamente non si può lasciare il paese allo sbando. Ma le ipotesi subordinate sono più corte nel tempo e devono portare a un nuovo confronto elettorale. Questo Parlamento farebbe bene a mettere mano alla legge elettorale perchè questa legge ha evidenziato dei limiti di governabilità e anche per quanto riguarda le costrizioni alle scelte degli elettori".
Tornando, invece, alle questioni legate alla formazione di un prossimo governo, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, intervistato a Circo Massimo su Radio Capital, ha ipotizzato un governo di centrodestra sostenuto da maggioranze variabili: "Mi auguro ci sia un governo di centrodestra sostenuto di volta in volta da chi condivide alcuni punti programmatici. Può accadere con il Pd o con il Movimento 5 Stelle, non mi pare ci sia nulla di cui scandalizzarsi".
Quanto alla partita della presidenza delle Camere, che si gioca in Parlamento a partire da venerdì 23 marzo, Tajani ha aggiunto: "A me sembra giusto che Forza Italia possa avere la presidenza del Senato, perché è un partito di garanzia, stabilità e responsabilità".
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LASTAMPA.IT –
I leader del centro-destra che si sono riuniti oggi a Roma si fanno promotori di un percorso istituzionale nella definizione degli assetti parlamentari a partire dalle Presidenze di Camera e Senato, che coinvolga tutte le forze politiche. Lo si legge in una nota congiunta di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni dopo il vertice a Palazzo Grazioli.
Il centro-destra propone quindi ai Gruppi Parlamentari un comune percorso istituzionale che consenta alla coalizione vincente (il centro-destra) di esprimere il Presidente del Senato e al primo Gruppo Parlamentare (il Cinquestelle) il Presidente della Camera, riconoscendo nel contempo in ciascun ramo del Parlamento un Vicepresidente a ogni Gruppo Parlamentare che non esprima il Presidente. Confidiamo che una tale proposta così rispettosa del voto degli italiani - dichiarano i leader - possa essere accolta positivamente da tutte le forze in campo.
A tal fine anche per concordare i nomi i leader del centrodestra invitano le altre forze politiche ad un incontro congiunto domani.
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IL SOLE 24 ORE.COM –
L’accordo sui nomi dei presidenti e vicepresidenti delle Camere potrebbe arrivare domani, durante l’incontro congiunto al quale i leader del centrodestra hanno invitato anche i rappresentanti delle altre forze politiche. L’invito è contenuto nel comunicato diffuso al termine del vertice di oggi a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi, il leader della Lega Matteo Salvini e la presidente di Fdi Giorgia Meloni, convocato in vista del voto e durato due ore e mezzo.
Su una cosa i tre leader si sono trovati d’accordo: un «percorso istituzionale» che affidi al centrodestra la presidenza del Senato e a M5S quella della Camera. Terminato il vertice con Salvini e Meloni, Berlusconi ha riunito a Palazzo Grazioli i vertici di Fi. Al centro dell’incontro - al quale partecipano anche i due capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta - il nodo della scelta dei presidenti.
Il Senato a Forza Italia
A quanto si apprende, nel corso del vertice a Palazzo Grazioli i tre leader avrebbero stabilito che la presidenza di Palazzo Madama deve andare a un esponente di Forza Italia. In pole position c’è l’attuale capogruppo Paolo Romani, ma sul tavolo ci sarebbe anche il nome di Anna Maria Bernini, vice presidente dei senatori nella passata legislatura. Secondo quanto riferiscono fonti di Fi l’indicazione di Romani è stata condivisa da tutto lo stato maggiore del partito, che il Cavaliere ha incontrato prima del vertice con gli altri capi del centrodestra. «Sulla rosa di nomi per la presidenza del Senato ho visto degli ottimi nomi: Romani, Bernini e Gasparri, persone di grande equilibrio che farebbero egregiamente il lavoro conoscendolo fino in fondo, credo che la Lega puntando alla premiership possa trovare ragionevole un equilibrio in tal senso», ha detto stamattina il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti stamani intervistato ai microfoni di Radio anch’io confermando così che la presidenza del Senato possa andare effettivamente a Forza Italia.
«A noi guida Senato con Camera al M5S»
I leader che si sono riuniti oggi a Roma «si fanno promotori di un percorso istituzionale nella definizione degli assetti parlamentari a partire dalle Presidenze di Camera e Senato, che coinvolga tutte le forze politiche», recita una nota diffusa al termine del vertice. Si delinea ai gruppi parlamentari un «comune percorso istituzionale» per consentire alla coalizione vincente (il centrodestra) di esprimere il presidente del Senato e al primo gruppo parlamentare (M5S) il presidente della Camera, riconoscendo nel contempo in ciascun ramo del Parlamento un vicepresidente a ogni gruppo parlamentare che non esprima il presidente. «Confidiamo che una tale proposta così rispettosa del voto degli italiani – dichiarano i leader - possa essere accolta positivamente da tutte le forze in campo. A tal fine, anche per concordare i nomi dei presidenti e dei vicepresidenti di Camera e Senato, i leader del centrodestra invitano i rappresentanti delle altre forze politiche ad un incontro congiunto nella giornata di domani».
Domani assemblea gruppi parlamentari M5S Camera-Senato
Sempre domani, a quanto si apprende da fonti parlamentari, il Movimento 5 Stelle riunirà i gruppi parlamentari di Camera e Senato. L’assemblea si terrà alle 13 e dovrebbe avere, tra i punti all’ordine del giorno, la questione delle presidenze delle Camere.
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AMEDEO LA MATTINA, LA STAMPA –
Quando si vota?
Le votazioni inizieranno venerdì, dopo che entrambe le Camere avranno provveduto alla costituzione dell’ufficio provvisorio di presidenza, alla costituzione della giunta delle elezioni provvisoria e alla proclamazione dei nuovi parlamentari eletti.
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Si potrà sapere come vota ciascun parlamentare?
No, il voto è segreto, come avviene sempre quando si tratta di eleggere delle cariche.
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Il meccanismo è lo stesso nelle due Camere?
No, le regole sono diverse.
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Come funziona al Senato?
Al Senato non si andrà oltre la terza votazione. Il regolamento prevede che al primo scrutinio per essere eletti serva « la maggioranza assoluta dei voti dei componenti del Senato». Poi, «qualora non si raggiunga questa maggioranza neanche con un secondo scrutinio, si procede, nel giorno successivo, ad una terza votazione nella quale è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei presenti, computando tra i voti anche le schede bianche». E per evitare il rischio di votazioni all’infinito, «qualora nella terza votazione nessuno abbia riportato detta maggioranza, il Senato procede nello stesso giorno al ballottaggio fra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che consegue la maggioranza, anche se relativa. A parità di voti è eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
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Alla Camera c’è il rischio di andare per le lunghe?
Sì, perché a differenza del Senato non c’è la scappatoia del ballottaggio dopo il terzo scrutinio. Il regolamento prevede che alla prima votazione serva la «maggioranza dei due terzi dei componenti la Camera. Dal secondo scrutinio è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti computando tra i voti anche le schede bianche. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti.
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UMBERTO ROSSO, LA REPUBBLICA –In nome e per conto di Mattarella, nel Pd c’è un correntone che lavora per raccogliere i suoi input per il “ governo di tutti”, 5Stelle compresi? Ricostruzioni «che suscitano ilarità» al Quirinale. Filtra dunque un inconsueto, sarcastico commento davanti alle ipotesi che danno il capo dello Stato alla testa, dietro le quinte, di un pattuglione di big del Pd, da Gentiloni a Franceschini fino allo stesso Martina, passando per Veltroni, che sull’onda dei messaggi del Quirinale “ scava” nel partito: un’operazione- talpa per chiudere, di fronte all’impasse, su un’intesa di governo “ istituzionale” con i grillini in posizione chiave. Ma dall’alto del suo ruolo istituzionale al presidente della Repubblica non avrebbe necessità di arruolare truppe, mettersi alla testa di un esercito trasversale che taglia e attraversa varie forze politiche, «non esiste alcun partito di Mattarella » . Che tanto meno promuove e manovra « correnti all’interno di un singolo partito » , leggi Pd. « Forse – ironizzano nel Palazzo, evocando il caso Scajola – si tratta di mattarelliani all’insaputa di Mattarella... ». Parole nette, che interpretate in controluce farebbero immaginare un bersaglio: l’offensiva lanciata dai renziani per “delegittimare” in qualche modo il ruolo superpartes del capo dello Stato, attribuendogli (dopo i suoi ripetuti richiami alla « responsabilità » ) il ruolo di grande sponsor “ dell’inciucio” con M5S nel governo di tutti. Operazione pilotata dal Colle che, sempre secondo l’ala renziana, punterebbe di fatto a svuotare il loro peso nel partito, dove in tanti stanno per salutare l’ex segretario sposando proprio la linea del no all’Aventino.Il count down delle consultazione al Colle del resto è in fase avanzata. L’agenda delle convocazioni, messa a punto fra gli uffici del Quirinale e la segreteria generale della Camera, è quasi incardinata. In attesa della elezione dei due presidenti delle Camere. Che segneranno anche le dimissioni di Paolo Gentiloni, il quale entro la fine di marzo (se non si incarta clamorosamente la nomina del nuovo capo di Montecitorio) salirà al Colle a rassegnare le dimissioni (subito dopo aver compiuto una visita di cortesia ai nuovi presidenti delle Camera). Per le consultazioni, si sperava in una versione light, tre giorni per chiudere il valzer degli incontri nello Studio alla vetrata, ma davanti allo stallo Mattarella quasi certamente si prenderà più tempo per approfondire e ascoltare con calma tutte le delegazioni. Anche se il numero dei gruppi presenti alle Camere è più basso rispetto alla passata legislatura. Il timing quindi è tarato piuttosto su una full immersione spalmata in cinque giornate. Insomma, cominciando subito dopo Pasqua, il 3 aprile, e conteggiando anche le tradizionali 24 ore di riflessione che il capo dello Stato potrebbe prendersi nella giornata di domenica 8 aprile, Mattarella dovrebbe annunciare la soluzione del rebus governo per il giorno successivo, lunedì 9 aprile. Naturalmente tutto da vedere in che modo.La porta del suo Studio al Quirinale dovrebbe aprirsi martedì 3 aprile, ricevendo il presidente emerito Napolitano e i nuovi presidenti di Camera e Senato, e richiudersi cinque dopo alle spalle dell’ultima delegazione convocata: Di Maio e i capigruppo dei 5Stelle. Il calendario delle convocazioni procederàinfatti in ordine decrescente rispetto al peso elettorale dei singoli partiti. Si comincia con i piccoli, si chiuderà con i grillini attestati al 32 per certo. Perché il centrodestra, molto probabilmente si presenterà al Quirinale non in un’unica squadra ma in colloqui separati con Mattarella: nell’ordine Fratelli d’Italia, Forza Italia e la Lega. Spetta ai partiti decidere se salire al Colle in un’unica delegazione o meno, non è infatti una scelta che viene decisa dalla presidenza della Repubblica. Tutto lascia pensare che il centrodestra, alle prese con complicati equilibri interni, chieda di andare all’appuntamento con le tre delegazioni distinte. Un modo del resto, anche per il capo dello Stato, di poter raccogliere liberamente e riservatamente le valutazioni delle tre anime della coalizione. Per poter valutare soprattutto quanto sia solida in effetti la candidatura a premier di Salvini. Toccherà poi al Pd, il secondo partito per numero di voti. E anche qui potrebbero non mancare problemi nella composizione della delegazione. A chiudere, i 5Stelle. Liberi, tutti i partiti, di presentarsi al Quirinale con i segretari, oltre che con capigruppo parlamentari.
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