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 2018  marzo 21 Mercoledì calendario

Così il burbero De Filippo si trasfigurava nel “caro Eduardo”

Eduardo De Filippo e Lucio Ridenti: che coppia. E che storia. A partire dagli Anni ’30 Eduardo è impegnato a scalare l’Italia per imporre il proprio Teatro, mentre Ridenti con la rivista Il Dramma si fa in quattro per esaltarlo, questo Teatro, documentandone snodi e sviluppi, facendosene agente per l’estero a titolo di pura amicizia e pubblicando per primo un bel mucchietto di testi, da Natale in casa Cupiello a Filumena Marturano a Questi fantasmi. Lo farà fino a quando non arriverà il pigliatutto Einaudi e a quel punto la storia editoriale prenderà un’altra strada.
Su Eduardo è inutile perder tempo. Invece qualche parola su Ridenti sarà bene spenderla. Era un tarantino naturalizzato torinese, aveva il gusto della fotografia e della moda, per un po’ fece l’attore in compagnie primarie (Benassi, Borelli, Pavlova), ma un improvviso difetto d’udito lo costrinse ad abbandonare la scena. Nel frattempo era diventato notista del Dramma, «quindicinale di commedie di grande interesse» fondato nel ’25 da Pitigrilli. Ridenti ne assunse presto la direzione unica e la conservò fino al ’68, ossia fino a pochi anni prima della morte avvenuta nel ’73.
Il peso di Ridenti e del Dramma dentro la civiltà teatrale del Novecento è fuori discussione. Ridenti si occupava di tutto ed era in relazione con tutti. Nella sua attività forsennata seguiva infiniti percorsi (fu anche giurato a Miss Italia), ma il filo con Eduardo era speciale e poco avremmo saputo di un legame fatto di affettuosità, di ammirazione, di puntiglioso e reciproco orgoglio professionale, se l’editore Guida non avesse pubblicato il carteggio Caro Eduardo (pp. 215, e. 15) che dal 1935 arriva al 1964. Il volume è curato dalla specialista Maria Procino e offre un’ampia introduzione di Pietro Crivellaro, per anni responsabile del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino depositario dell’eredità Ridenti e custode delle lettere spedite da Eduardo. Le altre, quelle di Ridenti, si trovano invece nel fondo De Filippo al «Vieusseux» di Firenze, alla Biblioteca Nazionale di Napoli e nel fondo privato di Roma.
Pur con le lacune dovute ai disastri dell’ultima guerra, il carteggio offre un bellissimo spaccato di vita con tre personaggi, dove il terzo è Guido Argeri, storico organizzatore della Compagnia De Filippo e anche qualcosa di più: confidente, portavoce e persino alter ego del capo. È Argeri l’uomo che, quando Eduardo comincerà ad essere troppo occupato, prenderà in mano l’attività editoriale e diventerà l’interlocutore obbligato di Ardenzi.
Tuttavia è di Eduardo la voce centrale. È lui che racconta i successi di Roma, di Torino, di Milano («Qui Filumena si rappresenta da 3 settimane a teatri esauriti… Tutta la città ne parla, sia alla Costituente che in chiesa»). È lui che, rivedendo personalmente le bozze dei propri lavori («ma solo di notte e quando non sono troppo stanco»), vuole avere l’ultima parola prima del «visto si stampi». È lui che si dimostra attentissimo ai problemi economici, discute di diritti e di cifre. È lui che va sulle furie quando gli agenti e i traduttori stranieri tacciono da troppo tempo o non lavorano come dovrebbero. È il caso della traduzione inglese di Filumena, piena zeppa di libertà inaccettabili che, oltre tutto, hanno pregiudicato il buon esito delle recite a Londra.
Ed è sempre lui che a volte si lascia andare: «Scrivimi: adoro sentirti parlare»; «Che succede, mio Dio? Tutti i giorni, da tutte le più belle parti del mondo, viene chiesto il mio repertorio». E insieme confessa le stanchezze, i malanni che lo tengono a letto, la necessità di andare a Chianciano per passare le acque, il bisogno di riposo. È palpabile il senso di felicità quando nell’agosto del ’46 scrive: «Sono stato un poco al mare… trenta giorni di ‘pancia al sole’ mi hanno rimesso in piedi. Perciò non ho scritto prima. Adesso mi sento meglio (sono diventato nero nero), e prima di riprendere contatto con me stesso e con il teatro; penso a te, mio fraterno Lucio».
Vedete? Il capocomico terrore dei suoi attori, il burbero che sta in solitudine, sa sorridere, è capace di affetto, partecipa alla vita altrui e dimostra di saper piangere tutte le volte che la vita va sul pesante. È così che il primo dei De Filippo riesce a trasfigurarsi nel «mio caro Eduardo».