La Stampa, 21 marzo 2018
Dall’amicizia alla dichiarazione di guerra. Quel voltafaccia che cambiò le sorti della Libia
Lo spettro inquieto di Muammar Gheddafi, unico leader arabo ammazzato nella feroce stagione delle «primavere», da parecchi anni agita i sonni di Nicolas Sarkozy. Ieri si è materializzato nel giudice che lo ha interrogato a lungo in stato di fermo. L’ex presidente è sospettato di aver percepito un cospicuo finanziamento nella campagna presidenziale 2007. In gioco c’è il prestigio della République, non solo il suo personale onore. Un capo di Stato, eletto con i soldi di un leader straniero, per di più del calibro di Gheddafi, sarebbe il più grande scandalo della Quinta repubblica. Non è una banale storia di finanziamento illecito.
Se l’accusa fosse provata, anche la sequenza di relazioni internazionali che ha portato alla guerra con la Libia andrebbe riscritta. È stato Sarkozy allora all’Eliseo, a decidere l’attacco, assecondato in un primo tempo solo dal premier britannico David Cameron. Gli Stati Uniti, con Barack Obama erano molto riluttanti; l’Italia, un alleato con relazioni storiche particolari con la Libia dovette adattarsi, nonostante il dissenso di Berlusconi, allora presidente del Consiglio.
Ovviamente Sarkozy respinge ogni accusa. Ma l’inchiesta del polo giudiziario per i reati finanziari e anticorruzione è in piedi da cinque anni, ed è nata sulle rivelazioni del quotidiano online Mediapart.fr. La voce di un finanziamento per alcuni milioni (si dice addirittura 50) si era diffusa subito dopo la morte di Gheddafi e la caduta del regime. Tutto sarebbe cominciato nel 2005 su iniziativa di un intermediario, Ziad Takieddine, che ha introdotto a Tripoli Claude Guéant, all’epoca capo di gabinetto del futuro presidente francese e successivamente lui stesso ministro dell’Interno.
Dopo le trionfali elezioni del maggio 2007, il primo gesto in politica estera dell’Eliseo è stata una straordinaria operazione diplomatica: la moglie di Sarkozy Cecilia viene inviata a Tripoli dove sblocca l’«affare delle infermiere bulgare» da anni in carcere accusate di aver diffuso malattie. Un successo, un regalo del colonnello a Sarkozy in cambio di legittimazione internazionale, dopo anni di accuse di terrorismo.
A fine 2007 Gheddafi è a Parigi, la sua tenda beduina resta per cinque giorni nel parco dell’hotel de Marigny. Si firmano contratti, si stringono mani, sorrisi di qua e di là. La Francia si impegna per installare in Libia il suo prestigioso nucleare civile.
E questo ancora pochi mesi prima della guerra.
Poi il voltafaccia improvviso, l’attacco, nella Libia percorsa dall’onda delle rivolte arabe in Egitto e Tunisia, la guerra con tutto quel che ne è seguito. Anche la morte di Gheddafi, ucciso per strada, ha qualcosa di misterioso. Braccato, avrebbe potuto essere arrestato e condotto a Tripoli. Invece è stato ammazzato come un cane. C’erano agenti francesi tra gli assassini? Vladimir Putin lo ha chiesto con una di quelle domande tendenziose all’ex primo ministro (di Sarkozy) François Fillon che lo ha rivelato in un’intervista nel 2015.
Rivelazioni avvelenate, certo. Dietro il caso Sarkozy c’è una guerra non meno feroce di quella libica all’interno della destra francese. Molte delle informazioni sono state raccolte in una arrembante inchiesta di Mediapart, un sito di informazione specialista in clamorosi scoop politici e giudiziari. Tra gli amici del suo direttore Edwy Plenel c’è Dominique de Villepin, ex primo ministro in quota Chirac e grande nemico di Sarko. È un grande intrigo dove tutto si tiene: guerra, sangue, soldi, diplomazia, potere. La Francia, con il suo ex presidente, si gioca la faccia.