Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 21 Mercoledì calendario

L’amaca

Rimuginando sul passato, sono due le date più spietatamente simboliche della crisi del Pd e della leadership di Renzi.
La prima è il 23 novembre del 2014, quando alle elezioni in Emilia Romagna si dimezza il numero dei votanti: 37 per cento. Inimmaginabile tracollo della rappresentanza politica nella regione simbolo della sinistra italiana.
L’azzeramento di una storia.
Reazione ai vertici del partito: zero. Tra le macerie, la poltrona di presidente della Regione comunque era rimasta in piedi: tanto bastò.
La seconda data è il primo giugno del 2017, dimissioni di Campo Dall’Orto da direttore generale della Rai, impallinato dai cacicchi dei partiti (Pd compreso): fine del sogno di autonomia del servizio pubblico, fine di uno dei cardini del renzismo. Commenti ai vertici del partito: zero.
Nel novembre del 2014 il Pd ha perduto il suo passato, nel giugno del 2017 il suo futuro.
La domanda che mi farei, se fossi in quelle stanze, è come sia stato possibile che colpi di quel genere siano passati come acqua fresca senza che i lividi apparissero sulla pelle. Come se agisse un anestetico così potente da impedire che il corpo del partito si accorgesse di essere gravemente leso.
Il Pd dovrebbe capire come si chiama quell’anestetico (vanità? superficialità?
fretta?) ed eliminarlo dalla circolazione.
P.s. Ci sarebbe anche una terza data: 19 giugno 2015, rapporto di Fabrizio Barca sullo stato del Pd romano.
Come ha potuto il Pd perdere, senza un lamento, un dirigente di quel calibro?