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 2018  marzo 21 Mercoledì calendario

La trincea dei centri antiviolenza. «In un anno protette 22mila donne»

«L’anno scorso ventiduemila donne si sono salvate grazie ai centri antiviolenza. Salvate, sopravvissute, rinate. Con i loro figli. Dobbiamo dirlo forte. Per aiutare le altre ancora prigioniere della violenza maschile ad agire prima che sia troppo tardi». È un vero e proprio appello quello che lancia Lella Palladino, presidente della rete “Dire”, che riunisce 80 dei 160 centri antiviolenza presenti oggi in Italia. Un appello per raccontare, almeno una volta, una storia al contrario, perché dietro la scia di femminicidi che solcano la cronaca, Antonietta, Imma, Lauretta, ci sono per fortuna le storie al contrario di quelle che ce l’hanno fatta. Grazie a due azioni fondamentali: la denuncia, ma soprattutto la possibilità di essere protette dopo la denuncia. E in Italia le uniche strutture dove le donne in fuga con i loro figli possono trovare rifugio, sono i centri antiviolenza. Una rete di luoghi, rigorosamente non istituzionali, sempre a corto di fondi, a volte segreti, basati sul volontariato, dove le donne aiutate da altre donne ritrovano la forza di camminare nella vita, la stima di sé, proprio quella stima che i maschi maltrattanti fanno a pezzi nelle loro vittime.

La prima casa delle donne nasce a Bologna nel 1989, ma in realtà i centri si diffondono in tutta Europa già alla fine degli anni Settanta, uno degli approdi concreti del pensiero femminista. Luoghi “spontanei” che svolgono però un ruolo che nessuna altra istituzione garantisce. È infatti il “metodo” a essere efficace, anzi forse l’unico in grado di salvare le donne. Spiega Lella Palladino, una lunga esperienza nei centri- trincea del Sud: «Quando arrivano da noi, di notte, soltanto con i vestiti che hanno addosso, con i bambini in braccio, il primo beneficio che hanno è quello di sapere che qui, lui, non le troverà. Ma soprattutto che noi a loro crediamo, a differenza di quanto ancora accade, purtroppo, nei commissariati o nelle caserme. E che la loro storia è uguale a quella di molte altre, anzi proprio dal confronto può iniziare il percorso di ricostruzione di sé».
Il principio insomma è quello dell’autoaiuto. Nei centri, che sono polivalenti e hanno all’interno le case segrete, le operatrici sono tutte donne: le avvocate, le ginecologhe, le psicologhe. Dice Palladino: «Le ascoltiamo ripercorrere gli anni di oppressione, quasi tutte si sentono sbagliate all’inizio, credono di essere state vittime di quegli orrori perché hanno qualcosa che non va. Un delicatissimo lavoro psicologico, a cui si affianca il sostegno legale perché chi le perseguita venga punito, per la tutela dei figli, per arrivare alla separazione e al divorzio. Quindi agiamo nella concreta ricerca di un lavoro. Perché l’obiettivo è che le donne escano da qui camminando con le proprie gambe. Ogni volta con immensa fatica ce la facciamo. È quasi un miracolo. Non solo sono sopravvissute ma hanno la vita nelle loro mani. Se siete in pericolo chiamateci. Siamo su Internet, cercateci con il numero 1522. Noi ci siamo sempre».