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 2018  marzo 20 Martedì calendario

Spunta un Salgari splatter dallo stagno dei caimani

Ignorato dalle storie letterarie come scrittore di genere che «scriveva male», Emilio Salgari ha avuto, in vita come in morte, il risarcimento dello sconfinato amore di generazioni di italiani, di cui è stato un autentico facitore, assieme a Collodi e a De Amicis.

Oggi continua a godere della appassionata dedizione di una pattuglia di studiosi e di ricercatori, che si sono costruiti una competenza di detective letterari, e continuano a scavare nella miniera dei testi, spesso dispersi in periodici per la gioventù e occultati da vari pseudonimi. Con quelli l’Emilio cercava di aggirare le clausole di esclusiva previste dai contratti dei suoi editori più avveduti, Donath e Bemporad, che ben conoscevano la sua bulimia scrittoria.

A questi tigrotti filologici appartiene anche il veneto Maurizio Sartor, che si è messo in caccia di un racconto perduto, l’irreperibile Lo stagno dei caimani, a firma «cap. Guido Altieri», che le bibliografie davano per pubblicato nel giugno 1901 nel periodico Letture moderne illustrate per le famiglie dell’editore palermitano Salvatore Biondo. Con quello pseudonimo Salgari aveva pubblicato per lui due romanzi e una settantina di racconti di buona fattura. Con l’aiuto di un collezionista che era riuscito a recuperare l’introvabile fascicolo nel deposito-discarica di un libraio romano, ora Sartor e Claudio Gallo ce lo restituiscono con altri storie del «capitano Altieri» e abbondanza di note informative nel volume Lo stagno dei caimani e altri racconti perduti (Bompiani, pp. 191, € 12).
Nel selvaggio Arkansas, la fiera Wallalka della tribù dei Crech si innamora di un guerriero degli Shoshoni rivali, ma non esita a consegnarlo ai caimani quando scopre che, sempre per vendetta, il suo Romeo le ha ucciso il padre. Non è il solo caso in cui Salgari vagheggia eroine ancora più determinate e spietate dai maschi, ma neanche la sanguinaria Uma Thurman di Tarantino è arrivata a tanto, e ci possiamo immaginare lo sconcerto (ma anche l’ammirato stupore) dei lettori (e delle non rare lettrici) d’inizio Novecento. Le donne di Salgari il potere se lo prendono e lo gestiscono senza tanti giri di parole, senza perder tempo con proclami femministi.
Nei fascicoli ritrovati Sartor ha fatto un’altra scoperta, accostando ingegnosamente indizi e prove documentarie. Salgari si era inventato un altro pseudonimo, sin qui sfuggito anche ai fedelissimi: Giulio Retadi, che poi è l’anagramma di Guido Altieri, con il quale ha firmato altri tre «pezzi» per Biondo. Tra questi Un principe al Polo Nord, dedicato alla drammatica spedizione del Duca degli Abruzzi nel 1900. L’ardimentoso aristocratico non era riuscito ad arrivare al Polo, ma si era spinto più in là di tutti, per mare e sui ghiacci, sino a 86° di latitudine Nord. Su invito dell’editore Donath, Salgari aveva allestito un instant book di 300 pagine, La «Stella Polare» e il suo viaggio avventuroso, che era uscito per il Natale di quello stesso anno, ma non era piaciuto all’entourage del duca, anche se grondava entusiasmo filo-sabaudo, tanto che autore e editore dovettero cambiargli titolo. Una vera amarezza per lo scrittore, che sin da quando era stato insignito del titolo di Cavaliere dalla regina Margherita non perdeva occasione per dichiarare la sua fervente ammirazione per casa Savoia, «mai degenere delle avite vittorie».

Si può forse spiegare con questo incidente l’espediente di uno pseudonimo al quadrato: per non farsi bacchettare un’altra volta da Casa reale e per riutilizzare materiali già disponibili (era insuperabile nella cucina degli avanzi). Anche senza arrivare ai virtuosismi degli eteronomi di Pessoa, Salgari amava giocare pirandellianamente con le proprie identità, arrivando a presentarsi come zio di Altieri.
Quali che siano le firme, il sedicente capitano si conferma anche in questi racconti maestro nel combinare gli ingredienti che rendono così sapidi i suoi polpettoni: il conflitto tra l’amore e il codice d’onore della vendetta; le passioni puntualmente infuocate; il coraggio che vince ogni tradimento; l’accurata ricostruzione degli ambienti naturali, in cui anche il portentoso finisce col diventare famigliare; gli effetti splatter, misto di horror e di esotismo; un uso provocatorio del politicamente scorretto. Senza nemmeno saperlo, l’Emilio era anche un mago del marketing: vendeva sogni forti in offerta speciale, inventandosi delle sottomarche, quando era il caso. A km zero, la distanza che correva tra le povere case in cui viveva e le biblioteche in cui costruiva i suoi sogni eccessivi.