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 2018  marzo 20 Martedì calendario

Nella Guerra commerciale decisivo il ruolo dell’Ue

I dazi di Trump su acciaio e alluminio, le risposte minacciate da Europa e Cina, le contro-minacce americane sulle automobili. Siamo impressionati: sta scoppiando una guerra? In realtà sono tanti anni che misure meno vistose interferiscono con la libertà commerciale: sussidi all’export, tasse, burocrazie e regole industriali che ostacolano l’import, come quelle sulla qualità dei prodotti. Lo stesso Trump giustifica le sue pericolose mosse protezionistiche ricordando, fra l’altro, il dumping cinese.
Pare strano che la guerra commerciale si acuisca in una fase di ripresa economica globale. Di solito il protezionismo è minaccioso in fasi cicliche sfavorevoli: ciascun Paese forza la domanda dei suoi prodotti ostacolando le importazioni e sussidiando le esportazioni. Così i Paesi si danneggiano l’un l’altro e la riduzione del commercio contrae la domanda globale e la crescita di tutti. Durante la crisi del 2008-9 il commercio si ridusse ma i leader cooperarono nel Gruppo dei 20 (G20) e si impegnarono a non peggiorare le cose con misure di protezione. L’impegno fu abbastanza rispettato, il commercio riprese, l’economia si disincagliò dalla Grande Recessione. Ma i problemi sottostanti la crisi non sono stati del tutto superati e il pericolo protezionista è vivo e vegeto. La recessione nacque infatti da squilibri prodottisi proprio per la globalizzazione degli scambi. A quest’ultima, ora come allora, molte persone ed imprese, certi settori, regioni, Paesi, fanno fatica ad adattarsi: non riescono a cambiare tempestivamente le produzioni e l’organizzazione della loro economia per rimanere competitivi. Da ciò la ricerca di protezione che i politici, alla ricerca di voti e appoggi corporativi, hanno incentivo a promettere e promuovere.
Per evitare che la guerra commerciale interrompa la ripresa occorre dunque coordinarsi e cooperare. È importante il ruolo del G20, i cui ministri economici si sono riuniti ieri e oggi a Buenos Aires. Non servono affermazioni ideologiche genericamente liberiste. Si può trovare accordo per compensare con misure ben studiate e temporanee alcuni squilibri dovuti alla diversità dei costi di aggiustamento e di produzione. L’essenziale è bloccare la guerra e disegnare un percorso graduale di crescente libertà commerciale, che dia tempo per adeguarsi alla nuova geografia dei vantaggi comparati. La globalizzazione va governata, non interrotta, altrimenti si ferma anche la crescita. La fase positiva del ciclo mondiale dovrebbe aiutare, perché è col commercio che la crescita di ciascun Paese alimenta quella degli altri.
Sarà cruciale il comportamento dell’Ue. I suoi Paesi hanno delegato alla Commissione i poteri relativi alle politiche commerciali: ciò aumenta il potere contrattuale europeo nel difendersi dalla guerra commerciale altrui e, nello stesso tempo, nel frenarla, ottenendo il rispetto di regole di coordinamento multilaterale. Queste deleghe vanno mantenute e rafforzate con apposite deliberazioni del Consiglio e del Parlamento che prendano atto delle tensioni protezionistiche globali e rendano sempre più effettiva e concreta la linea di cooperazione multilaterale che l’Europa proclama da tempo. Ciò non significa rinunciare a trattare e reagire alle mosse statunitensi o alle distorsioni cinesi: significa farlo con la diplomazia, i modi e gli strumenti che portano a governare e non a soffocare la crescita dei commerci globali.
A questo fine non va indebolita la delega alla Commissione e rotta l’unità europea: non dobbiamo agire divisi sullo scacchiere globale. Si sente dire, ad esempio, che nel G20 la Germania cerca di allearsi con la Cina per combattere le misure di Trump. La dipendenza (eccessiva) della Germania da certe esportazioni ne fa un convinto (anche se imperfetto) avvocato del libero commercio: ma guai se la sua diplomazia mette in ombra la compattezza di quella europea.
Twitter@francobruni7