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 2018  marzo 20 Martedì calendario

Turismo, economia e minoranze. Così Mosca accorcia le distanze dall’Asia

Quando hanno ristrutturato l’aeroporto moscovita di Sheremetevo, nella cartellonistica è stata aggiunta una lingua: dopo il cirillico e l’inglese, le indicazioni sono scritte tutte in cinese. Se chi scende dall’aereo, indipendentemente da provenienza e destinazione, si chiedesse in tutta onestà: «Dove siamo? In Europa o in Asia?», la risposta che verrebbe più istintiva è la seconda. E qualsiasi dubbio residuo sarebbe comunque spazzato via alla vista del controllo passaporti, dove le file lunghissime sono file lunghissime di cinesi. Le agenzie turistiche di Mosca hanno risposto così alla crisi del turismo iniziata nel 2015 con i primi effetti delle sanzioni economiche da parte di Usa e Ue: pacchetti speciali di 3 giorni Mosca-San Pietroburgo che per i cinesi non richiedono il visto. «Lo spirito dell’iniziativa è facilitare le procedure di transito – spiega una funzionaria dell’agenzia russa del turismo Mondo senza Frontiere – e favorire gli scambi con i cittadini della Repubblica Popolare».
I russi in realtà non amano i cinesi, nelle loro barzellette li dipingono infidi e enigmatici, ma soprattutto invadenti come cavallette. «Ci hanno occupato e non ce ne siamo accorti», ripetono spesso. I magazzini Gum, sulla Piazza Rossa, sono presi d’assalto dai gruppi dei 3 giorni, e le assunzioni per commesse richiedono come condizione la conoscenza del cinese. Si parla di 900 mila turisti cinesi entrati in Russia nel 2017, il 18 per cento in più dell’anno precedente, e per i mondiali di calcio ne sono attesi altri 100 mila, tanto che le autorità russe hanno fatto accordi con il sistema di carte di credito cinesi Unionpay e Alipay per poterne emettere nelle banche russe già dai prossimi mesi.
Ma non è solo turismo: l’iniziativa promossa nel 2013 dal presidente Xi Jinping si chiama «Via della Seta», ha una prospettiva spalmata su trent’anni che coinvolge l’intera zona euroasiatica, e ha un solo partner privilegiato, la Russia. Nel lungo termine prevede il rafforzamento dell’integrazione economica regionale, la liquidazione delle barriere economiche di investimento, e l’aumento del ruolo delle valute nazionali. Nel medio e nel brevissimo, invece, gli scambi sono continui, a tutti i livelli, ed è qui che si misura la maggiore distanza con i Paesi occidentali.
L’ambasciatore americano vive a Mosca in una sorta di silenzio stampa che durerà almeno fino alle prossime elezioni di medio termine negli Stati Uniti; quello inglese è circondato dal sospetto in seguito alla recente guerra delle spie, e comunque i russi non hanno gradito che Francia e Germania si siano espresse a favore della Gran Bretagna in questa circostanza. Gli altri, al netto di singole iniziative, sono comunque condizionati dalla posizione ufficiale della Ue, che certo non promuove la cooperazione.
La lenta ma progressiva «asiatizzazione» della Russia si incontra anche per le strade di Mosca, dove fioriscono ristoranti uzbeki, tagiki e kazaki, e dove è facile ritrovarsi in manifestazioni culturali dedicate all’importanza della «rivoluzione culturale di Kazan». Nessuno fino a qualche anno fa avrebbe scommesso che la capitale del Tatarstan, lontana da Mosca quasi 800 km, sarebbe stata raggiungibile in tre ore e mezza, ma è esattamente così che sarà, grazie al treno superveloce che sarà realizzato entro il 2023, a cui hanno dato un importante sostegno economico proprio finanziatori cinesi. Così come molto attivo è il Centro studi delle scuole russe e asiatiche, che promuove scambi e campus estivi tra gli studenti dell’Eurasia: «Ma offriamo anche supporto logistico per i visti, per il trasferimento di crediti, e cerchiamo di creare opportunità di lavoro per i giovani», dicono allo Sras.
A questo si aggiunge la strategia del Cremlino finalizzata a rafforzare il cosiddetto «fattore Crimea», ovvero al coinvolgimento della minoranza tatara. Costretti da Stalin a lasciare le loro case per decenni, e vittime di discriminazione anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i tatari di Crimea sono adesso oggetto di una politica mirante a renderli solidali con la linea russa, in modo tale che l’annessione non possa incontrare nessuna resistenza interna. Con una serie di decreti, il Cremlino si è prefissato di realizzare, entro il 2020, un programma di sviluppo economico, di promozione e rinascita culturale e spirituale per i tatari, che cominciano a vedere i primi segnali di un futuro migliore, e di conseguenza a prendere le distanze dall’Ucraina.
A Mosca, da che i tatari erano considerati carne da cantiere, cominciano a fiorire ristoranti e locali. Al Cafe Idel, accanto al centro culturale tataro preparano specialità halal e organizzano banchetti per uomini d’affari: «Nel Medioevo – dice uno dei proprietari – i tatari dell’Orda d’oro si erano installati in un quartiere sulla riva sinistra della Miscova, a due passi dal Cremlino, e li facevano i mercanti e vendevano pietre e spezie. Chissà, se continua così magari torneremo a Zamoskvorechye». Se la tolleranza nei confronti dei cittadini dell’Asia centrale, a Mosca, sembra aumentare, quella nei confronti dei caucasici resta molto bassa: «Per i russi – dice Ivan, georgiano, professione autista – tutti sono meglio dei ceceni o dei daghestani, pure i tatari».