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 2018  marzo 20 Martedì calendario

L’onda dei populisti pone rischi ai grandi banchieri centrali

L’onda del populismo sta per sommergere le banche centrali. Dalle loro torri d’avorio, Mario Draghi e compagnia temono di essere risucchiati nel vortice della demagogia che ha rivoluzionato il panorama politico dell’Occidente. Hanno ragione ad avere paura. L’ascesa inaspettata di Trump, Brexit e fenomeni come i 5Stelle in Italia o Syriza in Grecia hanno la capacità di ribaltare il modo in cui le economie occidentali sono state governate negli ultimi decenni.
Il risultato più eclatante sarà, a mio avviso, la fine dell’indipendenza politica di istituzioni potentissime quali la Federal Reserve americana, la Banca Centrale Europea e la Banca d’Inghilterra.
I banchieri centrali passeranno da venerati signori (e signore) delle monete a vassalli della politica, sottoposti a un sistema senz’altro più «democratico» ma che renderà loro la vita molto difficile.

Come hanno scritto Charles Goodhart, un veterano della Banca d’Inghilterra, e la professoressa Rosa Lastra in un recente intervento: «L’indipendenza delle banche centrali è stata bella finché è durata... Riposi in pace».
Ne varrà la pena? Per capire le conseguenze di questo cambiamento storico, dobbiamo fare un passo indietro di circa trent’anni. L’idea di una banca centrale svincolata dalla politica fu messa in pratica per la prima volta nell’era moderna da Roger Douglas, ministro delle Finanze neozelandese nel 1989. La lezione della «Rogernomics» era semplice: per debellare l’inflazione, i tecnocrati della Banca andavano protetti dai capricci di politici che non gli avrebbero mai permesso di prendere misure dolorose tipo alzare i tassi d’interesse.
Fu una strategia che funzionò e, otto anni dopo, l’Inghilterra seguì la sua vecchia colonia sulla strada dell’indipendenza. «È giusto, negli Anni 90, governare l’economia in maniera moderna» disse all’epoca Gordon Brown, ministro delle Finanze nel governo di Tony Blair. Un anno dopo, la Banca del Giappone ricevette un simile «regalo» dal proprio governo e, nel 1999, la Bce nacque già indipendente, con tanto di menzione nei Trattati Europei e nel suo Statuto. Aggiungiamo la Fed, che è più o meno indipendente dal 1913, e all’alba del nuovo millennio, tutte le grandi istituzioni monetarie del Pianeta avevano la libertà di scegliere i tassi d’interesse senza conflitti d’interesse.
Ma il meglio doveva ancora arrivare. Nonostante la loro complicità, o nullafacenza, durante la bolla del debito che causò la Grande Crisi Finanziaria, la Fed, la Bce e la Banca d’Inghilterra uscirono dal crac del 2008 con ancora più poteri.
Come ha scritto il mio amico Mohamed El-Erian, consigliere economico del gigante assicurativo Allianz, le banche centrali divennero «the only game in town» – «gli unici giocatori al tavolo». Con i politici defilati e le banche private in gravissima difficoltà, spettò ai tecnocrati salvare l’economia mondiale abbassando i tassi e pompando miliardi e miliardi di dollari, euro e yen nelle arterie di mercati e commercio internazionale.
Da grigi guardiani dell’inflazione, Ben Bernanke, Jean-Claude Trichet e Mervyn King e i loro successori furono trasformati in titani dell’economia. Chi l’avrebbe detto che un giorno la frase «Super Mario Draghi» sarebbe comparsa in 568.000 risultati su Google?
Ma grandi poteri portano con sé enormi responsabilità. Una volta debellato lo spettro della Grande Depressione stile Anni 30, le banche centrali sono entrate nel mirino di critici che le accusano di aver fatto troppo. Troppo nell’abbassare i tassi sotto zero, mettendo in difficoltà le banche commerciali che fanno soldi quando gli interessi salgono. Troppo poco per prevenire un’altra bolla inflazionistica, come dicono sempre i detrattori tedeschi di Draghi. E troppo nel fare i Robin Hood al contrario, favorendo i ricchi e le aziende, che possono investire grazie al denaro a poco prezzo, a scapito della gente comune, che riceve interessi minuscoli sul conto in banca.
Ed è su quest’ultimo punto che i populisti hanno buon gioco. L’idea che l’élite non eletta, benestante e arrogante dei banchieri centrali abbia messo in difficoltà la gente comune che fa fatica a sbarcare il lunario è un ottimo argomento nei comizi elettorali. Non è proprio vero, visto che le banche centrali hanno poche armi per fare la guerra alla recessione, ma in quest’era di fake news, la verità conta sempre meno.
La realtà è che le banche centrali stanno perdendo prestigio perché il loro nemico storico, l’inflazione, non fa più paura, e il loro nemico più recente, la contrazione economica, è stato sconfitto. Chi guarda alle istituzioni monetarie dai pulpiti populisti vede un bersaglio facile, che può essere tranquillamente soggiogato nel nome della «democrazia» e della «giustizia sociale». È una soluzione falsa, che creerà problemi in futuro, quando, per esempio, l’inflazione risalirà o ci troveremo nella prossima crisi finanziaria. Ma, come tutti i super-eroi, le banche centrali non sono granché senza un antagonista serio.
francesco.guerrera
@dowjones.com
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