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 2018  marzo 19 Lunedì calendario

A 18 anni è il miglior traduttore. Ma non è mai andato all’estero

Bonjour, puis-je parler avec Gianlucà Brusà? Sarei stato tentato di iniziare la conversazione così, di millantare conoscenze francesi (che non ho), per non sentirmi troppo inferiore a lui pur avendo molti più anni. 
Questo ragazzetto di 18 anni, Gianlucà Brusà, in realtà l’italianissimo Gianluca Brusa di Cormano, provincia di Milano, e studente dell’istituto superiore “Carlo Emilio Gadda” di Paderno Dugnano, è un enfant prodige (l’uso del francese non è casuale) delle lingue, al punto da aver vinto, unico italiano su circa 350 partecipanti del nostro Paese senza contare le migliaia che avevano fatto domanda di iscrizione -, il prestigiosissimo premio Iuvenes Translatores indetto dalla Commissione Europea, che riconosce il miglior giovane traduttore per ogni Paese membro. 
In attesa di andare a ritirare il premio a Bruxelles il prossimo 10 aprile, Gianluca ci spiega in tutti gli idiomi di cui è padrone quanto è cool (inglese), canon (francese), guay (spagnolo), geil (tedesco), insomma strafigo essere un giovane poliglotta; quali vantaggi concreti, dalle parolacce alle donne, dà il parlare più lingue; e ci offre anche una bella lezione, a noi nati nel Novecento, sui talenti nascosti dei Millennials, che rischiamo di lasciare scappare all’estero con troppa facilità. 
Caro Gianluca, spiegaci innanzitutto com’è nata la vittoria di questo premio. 
«Ho partecipato sportivamente al concorso, venendo candidato dalla mia scuola, molto attiva sui progetti di internazionalizzazione, anche grazie alla prof. Lida Balloni, che si spende alla grande in questo senso. Il brano da tradurre, dal francese all’italiano, riguardava la storia di un ragazzo che affrontava il problema pratico di spostarsi da un Paese all’altro dell’Ue: il punto non era tradurre solo il senso delle sue parole, ma cercare di renderne il pensiero, provare a ragionare in francese, mettersi nella sua testa. Una traduzione del genere non può mai essere letterale, ma prevede un adattamento sintattico e semantico da una lingua all’altra, quasi un dialogo con la persona di cui stai rendendo il discorso. E infatti la soddisfazione più grande è stato sentirmi dire che la mia traduzione era fedele ma pure bella». 
Da dove nasce questo tuo amore per le lingue? Viaggi all’estero, un sacco di amici stranieri? 
«Macché, non sono mai uscito dall’Italia e non ho amici madrelingua francesi. È tutto frutto di una dedizione piena alla causa. Lo studio matto e divertentissimo è iniziato quattro anni fa: da allora, con metodo, ogni giorno dedico due ore ad approfondire le lingue. Se moltiplichi, fanno 3.000 ore di studio. Qualcosa di buono viene fuori...». 
Non mi dire che ti trastulli tutto il tempo con in mano ponderosi manuali di grammatica francese. 
«Non proprio. Ci sono anche forme di studio extra. Leggo ad esempio i grandi classici dell’Illuminismo direttamente in lingua: Voltaire, Rousseau, Diderot, D’Alembert, dei fighi pazzeschi. E poi ascolto musica rap in francese: il mio preferito è Maître Gims». 
Chi? 
«Vabbè, è roba per noi giovani...». 
Touché. Senti, ma studiare così tanto francese ti serve anche nella vita quotidiana? Dimmi la verità... 
«Sai, ogni tanto, posso pronunciare qualche parolaccia in lingua senza farmi capire. Piazzo un mince al posto di un “minchia” nella conversazione e, anziché dire una brutta parola, sembra che mi dia un tono in francese. E poi, lo ammetto: parlare altre lingue fa figo. Credo che alla lunga dia qualche vantaggio anche nel corteggiare una ragazza. Dalla lingua francese al bacio alla francese il passo è breve (sorride)». 
Parlando seriamente, che ne farai da grande di questa padronanza delle lingue? 
«Con il doppio diploma italo-francese, l’EsaBac, previsto dalla mia scuola, avrò l’opportunità di studiare direttamente in un’università francese, forse Parigi, forse Avignone. Avrò gli stessi diritti di uno studente nato e cresciuto in Francia». 
Ma quindi te ne vai? Un altro cervello in fuga... 
«Sai, penso che l’Italia non sia un Paese per giovani. La popolazione è sempre più anziana, trovi poche attività iniziative per noi ragazzi e c’è una specie di pregiudizio nei confronti dei Millennials. Ci credono indolenti, con poche risorse, privi di interessi, e invece ci sono tantissimi di noi che si impegnano, hanno passione e voglia di far emergere il proprio talento. Ma poi ci deve essere qualcuno che te lo fa mettere a frutto, realtà come la mia scuola, ad esempio». 
Dopo la laurea come ti vedi? A fare il traduttore per Gallimard o l’interprete nei colloqui tra capi di Stato? 
«Sogno la carriera diplomatica nell’Unione europea. Mi piace la lingua viva, parlata, anche se mi hanno detto che me la cavo benino nella traduzione scritta...». 
E questa Unione europea ti piace? 
«Mi sento profondamente europeo ma sarebbe un’Europa molto migliore se fosse basata sullo scambio di lingue, di culture, e non tanto su numeri e regole». 
Ma perché il francese? Non sarebbe stato meglio puntare sull’inglese? 
«Guarda, credo che, dopo Brexit, il francese tornerà a essere la lingua della diplomazia internazionale, insieme al tedesco. E considera che molti immigrati dall’Africa parlano come prima lingua il francese. E poi mica mi fermo qua: voglio imparare anche cinese e arabo, essere padrone assoluto di almeno cinque-sei lingue». 
Quest’anno voterai per la prima volta. Che effetto ti fa vedere leader politici incapaci di parlare lingue straniere, e addirittura in difficoltà con l’italiano? 
«È una delusione totale. Penso che i veri politici impresentabili siano quelli che non riescono a comunicare in un’altra lingua. Posso capire un amministratore locale o regionale, che deve parlare con la gente del suo territorio. Ma un premier, un capo di Stato? Io sarei drastico. Ti vuoi candidare a un incarico importante? Se non sai le lingue, sei fuori dalle liste». 
Interessante, anche se temo che i partiti verrebbero decimati. Ma, dovendo scegliere un partito, su chi punteresti? 
«Proprio per la ragione che ti ho detto prima, sono nell’incertezza più totale». 
C’è un piccolo partito, “Dieci volte meglio”, che propone di introdurre il bilinguismo sin dalla scuola materna. Potrebbe essere il partito giusto per te? 
«No, secondo me è troppo presto insegnare due lingue a bimbi così piccoli. A quell’età fai confusione, mescoli le parole, lo so per esperienza. Il bilinguismo lo introdurrei dai 7-8 anni, quando il cervello è in grado di immagazzinare tantissimo ma anche di distinguere». 
Sembra una promessa elettorale per quando diventerai ministro dell’Istruzione. 
«Macché, non scenderei mai in campo, la politica come professione non mi appassiona. Mi piace piuttosto capire cosa c’è dietro la comunicazione politica, ad esempio i guai diplomatici tra Paesi che possono insorgere per un’espressione sbagliata o una traduzione impropria. Da questo punto di vista, penso che tradurre bene sia l’attività politica per eccellenza, la miglior garanzia dell’equilibrio internazionale». 
(Ad maiora, omonimo. E che i tuoi futuri studi all’’estero siano solo un au revoir, con possibilità di ritorno).