Il Messaggero, 20 marzo 2018
Se l’Isis diventa l’araba fenice
Ora che la bandiera nera non sventola più su Raqqa possiamo cercare di capire cosa è stato l’Isis, anche perché non è affatto detto che sia morto. Il comandante in capo delle forze britanniche in Iraq e Siria, il generale Gedney, per esempio, in una dichiarazione al Sunday Times del 18 marzo ammette che «le forze dell’Isis non sono state ancora sconfitte». Tesi in parte vicina a quella dell’ultimo libro di Alessandro Orsini (L’Isis non è morto. Ha solo cambiato pelle, Rizzoli, 18 euro), ideale seguito di un volume uscito per la medesima casa editrice due anni fa.
LA TESI
Chi lo abbia letto, oppure fosse affezionato alla nostra testata, dove Orsini scrive di terrorismo e politica estera, conosce l’interpretazione dell’autore. L’Isis è nato in seguito ai contrasti interni alla classe politica irachena e alle divisioni tra sunniti e sciiti, i primi minoritari ma al potere fino a Saddam Hussein: rapporto di forze rovesciatosi con l’introduzione di un regime «democratico» dopo la guerra. Con il ritiro delle truppe americane chi si sentiva oppresso dal nuovo regime del premier iracheno al-Maliki, «corrotto» e «settario» scrive Orsini, cominciò a guardare verso l’Isis.
Dire sunniti e sciiti vuol dire anche Turchia da un parte e Iran dall’altra, potenze regionali che hanno esercitato un ruolo di primo piano nel far crescere, organizzare e armare il terrorismo, in un scenario in tensione per via del sempiterno contrasto israelo-palestinese, a cui si è aggiunta la guerra civile siriana. Allargando il cerchio, ulteriori responsabili sono le grandi potenze, Stati Uniti di Obama in testa, incapaci, una volta lanciate le «primavere arabe» di gestirne le conseguenze.
LA RUSSIA
Solo l’ingresso della Russia, i suoi contatti con Turchia e Iran e la politica della nuova presidenza Trump hanno consentito di chiudere in apparenza la vicenda dello Stato islamico (ma non la guerra in Siria). Anche perché nel frattempo l’Isis aveva cominciato a organizzare attentati in Europa, eventualità forse non prevista dai suoi sostenitori nei ministeri delle potenze regionali. È la stagione recente del terrore, culminata nella notte parigina del 13 novembre di tre anni fa. La tesi di Orsini è nota: il potere terroristico militare dell’Isis era modesto e le sue capacità di nuocere dipendevano dalla forza di Raqqa e Mosul; cadute queste, finiti gli attentati terroristici.
Una versione che Orsini qui ribadisce ma sostenuta anche nel pieno della stagione del terrore, tra la perplessità di molti. Dove si misura la distanza tra lo scienziato sociale, qual’è l’autore, abituato a ragionare a mente fredda anche quando tutto attorno brucia, e i non specialisti e i media, giustamente impressionati da atti come quello di Parigi o di Nizza. Ecco perché secondo Orsini quelli dell’Isis sono stati i terroristi «più fortunati del mondo»; i media occidentali li hanno dipinti come in grado di conquistare Roma o Parigi, senza che avessero la minima forza di farlo.
I PERICOLI
Se l’Isis è morto, potrebbe però rinascere. E per le stesse cause che l’hanno fatto crescere pochi anni fa: l’incapacità delle classi politiche del Medio oriente, il cinismo e il disinteresse (ma diremo in certi casi anche la cecità ideologica) dei capi di governo delle potenze occidentali. L’Isis potrebbe persino, secondo Orsini, allearsi con al-Qaida, ancora ben attiva. Anche perché, se gli attentati in Europa (ma non altrove) sono diminuiti e i terroristi sono ridotti a «lupi solitari», le società dell’Europa occidentale restano la base di reclutamento di nuovi potenziali combattenti – senza contare i foreign fighters di ritorno da Raqqa e Mosul. Potenziali terroristi scelti tra gli immigrati di prima generazione, arrivati in Europa pochi anni fa (come l’attentatore di Nizza) oppure tra immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti da noi, cosa persino peggiore.
Il problema è quindi culturale. E non lo si risolverà con le giaculatorie multiculturaliste, a cui non crede neanche l’autore. Un edificio ancora tutto da costruire, di cui libri come questo di Orsini sono mattoni importanti.