la Repubblica, 20 marzo 2018
Ora Putin affida ai giovani «cloni» l’economia russa
MOSCA Vladimir Putin si appresta a restare all’apice della cosiddetta “verticale del potere” almeno fino al 2024. Un trono ancora più alto dopo aver incassato quasi il 77 percento di voti domenica alle urne: il miglior risultato di sempre che lo rende più forte sia davanti all’Occidente che lo assedia da mesi, sia davanti all’élite dirigenziale con cui ora dovrà avviare i prossimi passi per mantenere fede alle promesse fatte in campagna elettorale.
Dedicando un’ora alle politiche domestiche e un’ora alle nuove armi strategiche durante il suo discorso alla nazione del 1° marzo scorso, Putin aveva chiaramente delineato le due sfide dei prossimi sei anni al potere: migliorare la vita degli elettori e vendicarli dall’Occidente che “non li prende sul serio”. Priorità che ha ribadito anche ieri.
La cosa più importante su cui lavorare, ha detto Putin incontrando i responsabili della sua campagna elettorale, è l’agenda interna e, dunque, «garantire la crescita dell’economia e renderla innovativa» e «sviluppare sanità, istruzione, produzione industriale, infrastrutture e altri settori cruciali per far progredire il nostro Paese e aumentare gli standard di vita dei nostri cittadini». L’economia continua a dipendere dagli idrocarburi e cresce a ritmi dell’ordine dell’un percento. Dal 2014, anno delle sanzioni e contro-sanzioni, il rublo si è deprezzato più del 50% nei confronti dell’euro e l’inflazione è cresciuta. Per modernizzare e diversificare l’economia, Putin dovrà investire su piccole e medie imprese che, soffocate da burocrazia e organi di controllo, al momento faticano a decollare. Restano poi i nodi di due riforme procrastinate: quella previdenziale, che non verrà dibattuta prima del 2018, e quella tributaria, che dovrebbe essere messa in discussione già quest’anno. Il rischio, secondo una relazione diffusa ieri dagli economisti di Alfa Bank, è che l’ampio sostegno alle urne, da un lato, dia a Putin ampi margini di manovra, dall’altro lo porti a «trascurare le riforme strutturali» e a concentrarsi solo sulla seconda parte del suo discorso alla nazione: la minaccia nucleare all’Occidente.
Incontrando i sette sfidanti sconfitti alle presidenziali, Putin ha però usato toni meno muscolari rispetto al primo marzo. Non vuole una nuova corsa agli armamenti, ha detto, e farà tutto il possibile per risolvere le differenze con gli altri Paesi, mentre difende gli interessi nazionali. Se la crisi con le potenze straniere ha giovato alle urne, Putin ora spera di rilanciare le relazioni con i leader occidentali che ieri hanno centellinato le loro congratulazioni. Non vuole un mondo in guerra. Vuole solo più rispetto. Che l’Occidente ammetta che la Russia ha conquistato un ruolo di primo piano in un mondo oramai multipolare. Putin vuole diventare un mediatore. In Siria, innanzitutto, dove però si muove con i piedi di argilla nel tentativo di bilanciare le rivendicazioni di alleati su fronti opposti. E in Est Ucraina che, secondo indiscrezioni, sarebbe pronto a trasformare in un’area controllata da un’amministrazione internazionale ad interim.
L’unico punto su cui non negozierà è lo status della Crimea. Oltre il 90% della popolazione della penisola che ha preso parte alle presidenziali russe per la prima volta ha votato per lui. E tanto gli basta a sancire l’annessione.
Una delle prime mosse sarà creare la nuova compagine di governo. L’annuncio non avverrà prima dell’inaugurazione in maggio del nuovo mandato. Il fatto che domenica Putin, dopo aver rivendicato la vittoria, non si sia presentato al quartier elettorale con al fianco il primo ministro, ha fatto pensare a molti analisti che l’era di Dmitrij Medvedev sia finita. Il toto-nomi per la sua successione è già iniziato. In lizza ci sarebbe il 46enne Anton Vajno, direttore dell’amministrazione presidenziale dal 2016. Uno degli esponenti della classe di giovani tecnocrati che Putin ha insediato nei posti di chiave negli ultimi mesi. Fedelissimi “tecnocrati” di basso profilo, ma alto livello di rendimento. Giovani: trentenni o tutt’al più quarantenni. “Cloni”, hanno scherzato i media, perché molti – come il governatore di Samara e Nizhnij Novgorod – si assomigliano pure fisicamente.