Il Sole 24 Ore, 20 marzo 2018
La vita degli utenti a portata di «click»
A prescindere da come andrà a finire, quello di Cambridge Analytica passerà alla storia come il caso che ha fatto scoprire un po’ a tutti l’importanza di Facebook in una campagna elettorale. L’agenzia londinese finita nell’occhio del ciclone negli ultimi tre giorni ha lavorato a due dei successi più clamorosi degli ultimi mesi: la vittoria del fronte Brexit e quella di Donald Trump alle presidenziali statunitensi. E si parlerebbe solo di lavoro eccellente (visti i risultati) se non fosse che oggi è accusata di aver utilizzato impropriamente i dati di circa 50milioni di utenti.
Dati arrivati attraverso un’applicazione molto discussa chiamata «thisisyourdigitallife», ideata dal ricercatore britannico di psicologia Aleksandr Kogan. Il suo intento era quello di sfruttarli per effettuare ricerche proprio in ambito psicologico, invece finì per condividerli con Cambridge Analytica.
Quanto emerso in questi giorni pone però un interrogativo abbastanza pesante circa la sicurezza dei dati degli utenti su piattaforme come Facebook. Non è un caso che il deputato britannico Damian Collins, in queste ore abbia chiesto a Mark Zuckerberg, ceo di Facebook, di testimoniare personalmente in un’indagine sull’uso dei social network anche nelle campagne politiche, tra cui il referendum Brexit. Collins ha dichiarato che è giunto il momento che Zuckerberg «smetta di nascondersi dietro la sua pagina Facebook». Parole pesantissime che lasciano poco spazio alle interpretazioni.
Da Menlo Park hanno sospeso gli account di Cambridge Analytica ma è evidente che non può bastare. Il problema è più ampio e va analizzato alla radice. Molto spesso, proprio su piattaforme come Facebook ci si imbatte in applicazioni banalissime, utilizzate milioni di volte. Strumenti che in un click ci consentono, magari, di trasformare la nostra foto profilo per farci vedere come saremo da vecchi, o a quale celebrità di Hollywood somigliamo. Processi apparentemente innocenti che astutamente possono nascondere insidie pesanti, come la raccolta dei nostri dati: le nostre preferenze, le nostre abitudini, il luogo in cui viviamo, ciò che facciamo. Parti delle nostre vite, dunque. Benzina autentica per chi si occupa di data mining e lavora a influenzare le nostre decisioni. Anche quelle elettorali.
È giusto ricordare che l’ormai famigerata applicazione «thisisyourdigitallife» è riuscita a raccogliere i dati di milioni di utenti con un semplicissimo social login, pratica assai diffusa sul web. Molto spesso, infatti, per abbreviare le procedure di autenticazione ad un servizio o a un sito, viene proposta la poss ibilità di loggarsi attraverso i propri account social. Metodi veloci, aggressivi, molto utilizzati proprio per la rapidità di esecuzione, in un mondo – quello del web – che va sempre di fretta. Ed è difficile anche solo fermarsi a pensare cosa può nascondersi dietro l’ennesimo click.