Libero, 18 marzo 2018
Via i banchi: gli studenti si siedono sul sofà
C’è un preside rivoluzionario, visionario, al liceo scientifico Duca D’Aosta di Pistoia. Un preside che «ispirato dalle Città invisibili di Calvino», ha sgomberato un’aula dai tradizionali banchi e seggiole, segni di una scuola arcaica, militaresca, illiberale, e ha creato un’aula divani. L’obiettivo, spiega il preside, Paolo Biagioli, è di dare «un’alternativa alla classica lezione frontale che spesso annoia». Altroché se annoia, ci siamo fatti certi sonni anche noi, al nostro tempo, quasi quanto davanti ai film di Antonioni.
L’aula divani, che si chiama così per modestia, ma ci sono pure i cuscini, che gli studenti stravaccati possono usare come poggiatesta, poggiaglutei, oppure abbracciare in caso di carenze affettive, può essere prenotata da qualunque docente lo ritenga, uno alla volta, per carità. Ad esempio di recente i ragazzi si sono accomodati sui divani «imbottiti», come precisa il preside per assistere alla lezione d’italiano, e ne sono rimasti pienamente soddisfatti. Dicono che si studia meglio, che si riesce a seguire di più. Il professore siede di fronte a loro, ovviamente non in cattedra, ma in poltrona. Per leggere e scrivere, gli studenti tengono sulle ginocchia una tavoletta sulla quale posano libri e quaderni.
COME AL CINEMA
Una cosa a metà tra una scuola Zen e una d’ispirazione steineriana. L’aula ha una capienza ancora abbastanza limitata: solo quindici persone, ma nessun timore, vista la comodità dei divani ce ne possono entrare anche di più, tutti belli stipati uno accanto all’altro come quando c’è la partita di Champions. E del resto può essere pure che la partita la vedranno, dato che è prevista a breve anche l’introduzione della lavagna multimediale «molto simile a uno schermo piatto in modo che la classe possa diventare facilmente una sala cinema». Oppure gli studenti in sovrappiù possono sdraiarsi per terra sui tappeti, facendo felice Michele Serra, l’autore di un libro di successo sulle nuove generazioni, intitolato appunto Gli sdraiati. L’ambiente è ulteriormente rallegrato da una pianta da salotto gentilmente fornita dalla ditta Vannucci Piante. Questa genialata non è che la seconda iniziativa del vulcanico preside, che in precedenza aveva riattato l’attico dell’edificio scolastico in aula en plein air, ovviamente quando il tempo lo consente. Adesso minaccia anche di rinnovare i fasti della filosofia peripatetica, quando, nell’Atene del IV secolo avanti Cristo, si discettava di massimi sistemi in un giardino. «Creeremo una sorta di tavola rotonda con dei tronchi di albero nell’area verde adiacente alla scuola per fare lezione immersi nella natura», ha dichiarato il preside alla Nazione. Cosa pensiamo di tutto ciò? Pensiamo che, pur essendo gli ultimi sulla Terra a voler difendere l’inevitabilità della lezione frontale, la scuola nei suoi riti e obblighi più noiosi e paludati, qui ci sia qualcosa di ridicolo. Pensiamo che la scuola, l’istruzione statale, l’obbligo di apprendere determinate nozioni, di essere interrogati su tali nozioni, e soprattutto l’imparare che in un luogo pubblico non si sta come nel salotto di casa propria, siano tutte pillole amare, ma indispensabili per la maturazione e la stabilità di un futuro cittadino normale. Ogni tentativo di rendere la scuola “avvincente”, “divertente”, “intrigante”, o, come in questo caso, “alternativa”, si è sempre dimostrato fallimentare. Da che esiste la scuola, non abbiamo mai visto scolaro alcuno che vi si recasse felice, “avvinto”, “divertito”, “intrigato”.
INVERSIONE DI RUOLI
La faccia dello scolaro che va a scuola è la faccia stessa della Malinconia e dell’Obbedienza rassegnata. Dopodiché, se gli studenti e i professori sono d’accordo a fare lezione sui divani imbottiti, stesi sui tappeti, e con le piante da salotto, o magari passeggiando in giardino tra lo stormire di fronde e il cinguettio degli uccelli, noi non abbiamo nulla da ridire. Siamo solo molto, molto scettici che questa sia la strada da intraprendere per appassionare allo studio, o per insegnare che ci suono luoghi che, proprio come le Chiese o le aule di un tribunale, hanno loro regole e richiedono una specifica dignità. Siamo molto, molto scettici che il volenteroso preside calviniano abbia capito che la scuola, un po’, dev’essere un’accademia militare, un po’ dev’essere costrittiva. Ma la tendenza, vediamo, è ben altra: leggiamo che una professoressa di matematica bolognese, appassionata di Harry Potter (ha cinquant’anni suonati), fa lo «smistamento» degli alunni delle superiori giocando con il “cappello parlante” della saga di J.K. Rowling. I veri bamboccioni, a volte, sono i prof.