Libero, 18 marzo 2018
Per far ripartire il Mezzogiorno Tito Boeri propone salari più bassi
Altro che reddito di cittadinanza e regalie del genere: per rilanciare il Sud bisogna pagare stipendi più bassi nelle regioni meridionali e più alti in quelle del Nord. Sembra un controsenso e va in direzione opposta alla ricetta dei Cinque Stelle, i quali devono il loro risultato proprio alla valanga di voti con cui li hanno premiati gli elettori del Mezzogiorno, in cambio della promessa di far piovere altri soldi pubblici su di loro. Ma le gabbie salariali, qualunque sia il modo in cui vogliamo chiamarle, sono l’unica idea sensata per fare ripartire le regioni economicamente più arretrate del Paese. A riproporle all’indomani del voto provvede l’economista Tito Boeri, presidente dell’Inps (sì, ogni tanto ne azzecca una pure lui).
Lo stesso Boeri ne parla da qualche anno, assieme ai colleghi Andrea Ichino ed Enrico Moretti. Nel 2014 uno studio pubblicato dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti, e firmato proprio da questo terzetto, fece scandalo nel Mezzogiorno, dipinto come la regione ricca del Paese. Non era una provocazione, bensì una constatazione. «Le province del Sud», si leggeva nel loro lavoro, sono caratterizzate da «salari nominali lievemente più bassi» e da «salari reali considerevolmente più alti», a causa innanzitutto della differenza nei prezzi delle abitazioni. E questo nonostante la minore produttività del lavoro nel Meridione. Il succo del discorso era che, «per chi ha un’occupazione, vivere e lavorare al Sud è molto meglio che vivere e lavorare al Nord».
LA PRODUTTIVITÀ
Adesso l’idea è rilanciata e arricchita in uno studio che Boeri pubblica sul sito lavoce.info e sulla testata di affari europei politico.eu. «Il profondo divario tra le regioni italiane ha una semplice spiegazione: i salari sono troppo bassi al Nord e troppo alti al Sud», scrive il bocconiano. La colpa è dei sindacati e dei governi che negli ultimi decenni hanno «concertato» con le tre confederazioni. «A partire dagli anni Settanta, i salari italiani sono fissati attraverso un sistema di contrattazione salariale centralizzata, tra sindacati e associazioni datoriali nazionali. I compensi per lavori simili sono dunque quasi gli stessi al Nord e al Sud, nonostante ci siano crescenti differenze nella produttività». Differenze ampie: in media, «i differenziali di produttività tra un’azienda in Lombardia e una in Sicilia sono intorno al 30%, mentre le differenze nei salari nominali a parità di qualifiche e nello stesso settore sono nell’ordine del 5%. Di conseguenza, per le aziende meridionali è difficile competere». Così si creano «disoccupazione al Sud, emigrazione al Nord con prezzi delle case e costo della vita più alti e, dunque, salari reali più bassi al Nord che al Sud».
L’unica terapia possibile consiste in «un percorso controllato verso la decentralizzazione dei salari, del tipo di quello avviato in Germania dopo l’unificazione». Un simile cambiamento di sistema «ridurrebbe gli squilibri e la povertà dovuta alla disoccupazione al Sud, portando i salari in linea con i livelli di produttività locali. Permetterebbe anche ai lavoratori del Nord di avere redditi reali più vicini a quelli che spererebbero di avere con una flat tax».
CONTRATTI AZIENDALI
In questo disegno, l’unico salario stabilito a livello nazionale dovrebbe essere quello minimo: tutto ciò che sta al di sopra di esso andrebbe contrattato sul territorio e in azienda. Cosa che non intendono fare né «i partiti populisti» tipo M5S e Lega, avverte Boeri, poiché essi rifiutano di riconoscere un ruolo ai corpi intermedi come i sindacati e le associazioni d’impresa, né le stesse organizzazioni di lavoratori e imprenditori, giacché «il sistema attuale dà a entrambi grande potere», al quale non intendono rinunciare. Persino l’accordo siglato una settimana fa da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil «è motivato principalmente dal desiderio di evitare l’introduzione di un salario orario minimo».
Richiesta simile a quella di Boeri è stata fatta all’indomani delle elezioni da Carlo Cottarelli, ex commissario straordinario alla revisione della spesa pubblica. «Se il salario è uguale per tutti», ha detto costui, «l’imprenditore non investirà dove la produttività è più bassa. Non chiedo il ritorno alle gabbie salariali, ma più spazio alla contrattazione aziendale che ai contratti nazionali».