Il Messaggero, 18 marzo 2018
Egan: «Com’è difficile essere una donna forte»
Può un gesto semplice, figlio di quella spavalderia mista a incoscienza che pervade quasi ogni bambino, preconizzare la vita che verrà o addirittura condizionarla?
Anna Kerrigan è la protagonista di Manhattan Beach (Mondadori), il nuovo romanzo di Jennifer Egan, e all’inizio della storia la incontriamo mentre accompagna il padre Eddie nella villa sulla spiaggia di Brooklyn del gangster Dexter Styles. È l’inverno del 1934, Anna ha poco meno di 12 anni ed è lì che compie quel gesto: si sfila le scarpe di vernice e immerge i piedi nudi nell’acqua dell’oceano fino a dimenticare il dolore che quella morsa gelata le manda fino al cervello.
Quando, dopo qualche capitolo, ritroviamo Anna, molto è cambiato nella sua vita: ha 19 anni, l’America è entrata in guerra, suo padre Eddie è scomparso da un giorno all’altro. Ma non è per nulla diminuita la sua attrazione per l’acqua: lavora come saldatrice nel più importante cantiere navale del porto di New York e da lì a poco rimarrà talmente affascinata dalle operazioni dei sommozzatori che incontra ogni giorno da porsi come obiettivo quello di diventare la prima donna palombaro della Marina statunitense.
CHIAVI
Come sempre, le chiavi di lettura dei libri di Jennifer Egan possono essere molte. A sei anni dall’uscita di Il tempo è un bastardo (minimum fax), che le è valso il Pulitzer, la scrittrice americana che sarà protagonista oggi alle 18 nella Sala Sinopoli dell’Auditorium per Libri Come e di due altri incontri con i lettori domani a Venezia e lunedì a Torino pubblica un romanzo che di storico ha solo l’ambientazione e che in realtà è più che mai attuale.
Il tema principale, quello che permea tutta la storia, è quello appunto dell’acqua: «Quando pensiamo a New York – dice la Egan – la prima cosa che ci viene in mente è la terraferma: succede anche a me, che ci abito e non faccio caso al mare nemmeno quando lo costeggio facendo jogging. Invece la città è immersa nell’acqua e tutto, soprattutto in passato, dipendeva da quello, che si trattasse di commercio o di vita quotidiana. Per Anna l’esplorazione dell’acqua e delle sue profondità è l’esplorazione della vita».
Anna è una donna che si mette in testa di fare un mestiere da uomo in un ambiente più maschile che mai. Quelli della guerra sono anni in cui l’aiuto femminile nell’industria bellica e dintorni era stato non solo apprezzato ma addirittura sollecitato, tanto da far pensare che l’emancipazione fosse vicina. Anche se, come si sa, non è andata così.
«Negli anni Cinquanta – continua la scrittrice – le donne sono state rispedite nel luogo da cui erano venute, ovvero in cucina a cucinare biscotti. Nelle ricerche per scrivere Manhattan Beach ho incontrato una signora che a detta di tutti era la miglior saldatrice del cantiere navale dove lavorava e aveva fatto carriera in questo incarico. Ma alla fine della guerra nessuno le ha voluto dare quel lavoro nel quale si era distinta ed è stata retrocessa a operaia semplice. Mi piacerebbe molto scrivere un libro completamente dedicato al tema di quanto sia difficile essere una donna forte in questo mondo. Guardo con stupore a quello che succede alle donne oggi e mi viene da sorridere quando penso che negli anni Quaranta era loro proibito salire a bordo di una nave militare per il timore che venissero aggredite dagli uomini mentre oggi capita loro di subire quella violenza in un ufficio chiuso a chiave di uno studio televisivo».
METAFORA
Anche il conflitto mondiale di sottofondo è una metafora di altri traumi ben più vicini nel tempo. A un Paese, e a una città in particolare, che aveva perso la memoria collettiva della guerra e di tutto quello che porta con sé, è stato ricordato con violenza inaudita il significato di queste parole: «Nessuno di noi potrà dimenticare che cosa è stato l’11 settembre. Io ho sentito lo schianto dell’aereo nella prima torre, mio marito l’ha addirittura visto in diretta dalla metropolitana. È stato scioccante vedere improvvisamente New York trasformata in un campo di battaglia e le nostre vite non sono state più le stesse da quel giorno. E a me, ambientando la storia negli anni Quaranta, premeva soprattutto far capire come gli Stati Uniti siano diventati la superpotenza mondiale di oggi. Con i rischi che questa situazione ha comportato ed evidentemente ancora comporta».
Di quegli anni Jennifer Egan racconta naturalmente molto altro. Dalla vita agiata dei gangster Dexter ha sposato la bellissima figlia di un banchiere tanto potente quanto spietato alle lotte sindacali e per i diritti civili. «Sono le due facce dell’America o se volete due modi diversi di interpretare la stessa frase. Il mio Paese è quello delle grandi opportunità, dove chiunque può dire con un sorriso io qui posso fare quello che voglio. Ma se quelle stesse parole vengono pronunciate sbattendo il pugno sul tavolo intendendo io faccio quello che mi pare fregandomene degli altri, allora la cosa cambia»
MEMORIA
Infine un cenno a un altro personaggio del libro e a un tema ricorrente nei libri della Egan. Anna ha una sorella più piccola, Lydia. È una bambina bellissima, ma un danno cerebrale alla nascita l’ha resa incapace di pensieri e parole. Ed è facile qui andare con la memoria a Charlotte, la protagonista di Guardami (minimum fax), il libro che la stessa scrittrice considera il suo migliore: una modella che dopo un incidente d’auto che l’aveva sfigurata si era sottoposta a un doloroso intervento di ricostruzione che l’aveva trasformata in altro e non solo fisicamente. «Anche se in Manhattan Beach forse è meno evidente se non altro per l’ambientazione storica una delle mie ossessioni è scandagliare il condizionamento dei media per quanto riguarda i modelli di bellezza. Mi sconvolge vedere ragazzine di 13 anni che si vestono o si atteggiano come le loro icone mediatiche. Senza tenere conto che tutto, in un attimo, può cambiare per sempre. La verità è che la bellezza è una bugia».