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 2018  marzo 18 Domenica calendario

Poveri nonostante l’impiego in Italia quasi tre milioni

Roma Essere poveri perché non si guadagna abbastanza. Poveri con un lavoro, “working poors”, una categoria che torna con sempre più insistenza nelle statistiche sul lavoro. Secondo un’indagine Censis-Confcooperative in Italia ce ne sono 2 milioni e 700mila ( dati 2016). Si tratta di un gruppo eterogeneo: ci sono giovani che pur di inserirsi nel mercato del lavoro accettano qualunque retribuzione d’ingresso, ma anche lavoratori licenziati che per reinserirsi si adattano a contratti precarissimi o a part- time subiti per necessità. Inoltre, spiega l’autore dell’indagine, Andrea Toma, del Censis, negli ultimi anni «la maggior parte delle assunzioni si è concentrata nei livelli bassi, dove si è creata una sorta di ‘gabbia’, nel senso che una volta che si accettano condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose è difficile venirne fuori, si è intrappolati tra precarietà e discontinuità».
«Anche i dati Inps attestano che la durata dei rapporti di lavoro a termine si è fortemente ridotta. – dice Claudio Treves, segretario generale del Nidil Cgil – Questo si traduce in una riduzione del reddito e in un aumento della povertà». «Accettare un lavoro a ogni costo – dice il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini – è stato uno degli effetti più perversi della crisi. Occorrono misure che migliorino qualità e competitività delle imprese. A buone imprese corrisponde buona qualità del lavoro».
Il fenomeno dei working poors non è appannaggio esclusivo dell’Italia: in una graduatoria che considera la fascia più fragile di lavoratori a rischio povertà, quella che va dai 20 ai 29 anni, l’Italia mostra un tasso del 12,1%, superiore ma non di tantissimo alla media europea del 10,2%. Semmai quello che colpisce del nostro Paese è la distribuzione regionale: il tasso di individui che vivono in famiglie “a bassa intensità lavorativa” è del 27,7% in Campania, ma del 5,7% in Trentino Alto Adige. Gli operai sono la categoria più esposta, ma c’è persino una piccola quota dell’1,5% di “dirigenti, quadri e impiegati” in condizioni di povertà assoluta. «Anche con uno stipendio di 2000- 3000 euro si fa presto a ridursi in povertà, magari se ci si separa, lasciando la casa alla moglie e ai figli, se c’è anche un mutuo. Ho conosciuto un dirigente che in una situazione di questo tipo era costretto a vivere in macchina», dice Enrico Pedretti, direttore di Manager Italia.