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 2018  marzo 18 Domenica calendario

Così la triste Piacenza si è trasformata nella capitale del lavoro

PIACENZA Il perché Piacenza sia una delle capitali italiane del lavoro lo si capisce all’uscita dall’autostrada. Arrivando da Milano o da Bologna, sulla A1, tra la via Emilia e la Caorsana verso Piacenza Sud, chilometri di capannoni annunciano l’enorme polo della logistica dentro i confini del Comune piacentino. Ikea, Gls, Xpo e molti altri snodi cruciali delle merci che viaggiano verso i grandi magazzini dell’Italia intera. Arrivando dalla Torino-Brescia, nel triangolo compreso tra il Po, l’autostrada e la ferrovia, i milioni di metri quadrati di magazzini di Amazon, Leroy Merlin, Moncler e degli altri hub del polo di Castel San Giovanni. Un gran viavai di Tir, le baie che si aprono, i muletti che corrono su e giù per caricare e scaricare i bancali, migliaia di uomini e donne al lavoro per stoccare, prelevare, rimpacchettare, confezionare le scatole che – giusto il tempo di un clic – riprendono il volo per la loro destinazione finale. È la logistica la prima delle ragioni per cui Piacenza, con un tasso di occupazione (fonte Istat) del 69,4 per cento (contro una media nazionale del 58,1 per cento) e addirittura del 76,8 per cento tra gli uomini, si piazza un po’ a sorpresa – appaiata con Milano – ai primissimi posti della classifica italiana delle province più laboriose, alle spalle solo di Bolzano e Bologna.

Ed è la logistica anche un po’ il paradigma di come cambia il mondo del lavoro, forse sarebbe meglio dire il sistema dell’economia. A Piacenza, in Emilia, probabilmente in gran parte del Paese.
L’industria nel piacentino c’è.
Ha retto dignitosamente sotto i colpi della crisi e ora, come spiega il presidente degli industriali Alberto Rota, «si respira un’aria positiva, con tutti gli indicatori del 2017 che segnano incrementi significativi e che non accennano a rallentare neppure nel 2018». I comparti della meccanica e dell’alimentare, cioè i due pilastri della manifattura, sono cresciuti rispettivamente del 16 e del 20 per cento nell’ultimo anno. Vanno meno bene l’Oil & gas e soprattutto l’edilizia, che sta appena rialzando la testa dopo la “strage” del recente passato. Ma basta una ricerca sui siti delle agenzie interinali per rendersi conto della fame di tecnici, periti meccanici, meccatronici e informatici da parte delle aziende della provincia. «Il punto è che queste aziende hanno ormai tutte la testa altrove – lamenta Corrado Sforza Fogliani, presidente onorario della Banca di Piacenza – Quello che ho denunciato per anni nei cda e nelle assemblee degli azionisti, cioè il rischio che Piacenza perdesse le sue imprese, si è verificato: avevamo un polo d’eccellenza nella meccanica e nella meccatronica, ma molte aziende sono state vendute».
Agli americani, agli svizzeri, anche ai cinesi. «Quattro dipendenti su dieci lavorano in aziende che non sono più a capitale piacentino. E le utilità non si scaricano più sul territorio ma finiscono all’estero. È mancata una regia pubblica capace di tutelare gli interessi della città».
Ecco il paradosso piacentino: è una delle capitali del lavoro (e della ricchezza: puntualmente ai primi posti delle classifiche dei redditi pro capite e dei depositi bancari) eppure è una città «in decadimento», ammettono i residenti. «La città più triste d’Italia» secondo alcuni sondaggi di dubbia attendibilità scientifica.
Sicuramente una delle più inquinate. Attrattività modesta, soprattutto se raffrontata con i dirimpettai di Parma, che vivono anche di bellezza, cultura e turismo enogastronomico.
«Quando sono arrivata qui in piazza dei Cavalli, nel giugno scorso, ho trovato una città ripiegata su se stessa», accusa Patrizia Barbieri, la prima sindaca di centrodestra dopo lustri di dominio dello schieramento opposto. «Ho aperto subito un tavolo per lo sviluppo economico con gli imprenditori, i sindacati, i commercianti, l’università.
Stiamo elaborando una strategia di marketing territoriale, vogliamo costruire un “brand Piacenza” e puntiamo molto sulla formazione scolastica per raccordare meglio la domanda e l’offerta di lavoro».
In attesa che il tavolo produca azioni concrete, i piacentini – soprattutto le famiglie con i figli in età di primo lavoro – ringraziano Amazon e gli altri colossi che hanno investito sul crocevia della logistica, creando centinaia di posti di lavoro anche negli anni della grande crisi. Amazon, per dire, nel 2011 è partita con 65 dipendenti. Nel 2014 ne contava 450, l’anno successivo 750 e ora ha quasi raddoppiato: 1.450 lavoratori, che aumentano di parecchio nelle settimane del Black Friday e dello shopping natalizio. Leroy Merlin ha appena ampliato il suo polo logistico portandolo a 140mila metri quadrati: i 300 dipendenti, a regime, cresceranno del 20 per cento.
Moncler ha deciso di accorpare nel polo castellano tutte le sue attività: non più solo lo stabilimento ma, collegata con un tunnel, una nuova palazzina da 20mila metri quadrati che darà lavoro ad altre 200 persone. «Purtroppo per la grande maggioranza si tratta di contratti a termine, in parecchi casi anche brevi nel tempo», dice il segretario della Cgil piacentina Gianluca Zilocchi. E negli enormi depositi Ikea, Gls, Xpo e degli altri colossi dei trasporti le condizioni di lavoro restano precarie e non di rado, soprattutto dove le operazioni di carico e scarico sono appaltate alle cooperative, ai limiti della legalità. «Ma in questi anni – spiega Zilocchi – anche nella logistica ci siamo dati regole e strumenti di lavoro. Abbiamo costruito un protocollo della legalità e ottenuto l’applicazione dei contratti nazionali, la salvaguardia dei posti quando cambia il titolare dell’appalto, le tariffe minime…». Dall’epoca degli immigrati caricati di notte sui camion e portati ai depositi, dei documenti sequestrati dai caporali durante l’orario di lavoro, delle buste paga con retribuzioni “ufficiali” irrisorie (il resto in nero) di strada ne è stata fatta. Ma già si affaccia la nuova frontiera del lavoro senza garanzie: il braccialetto elettronico e i lettori ottici che monitorano il lavoro minuto dopo minuto, il “grande fratello” aziendale che vede tutto, l’ossessione per la performance, pilota di ogni scelta manageriale. Per i sindacati il lavoro è appena cominciato, perfino nella ricca Piacenza, capitale del lavoro.