Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 19 Lunedì calendario

Le larghe intese di Berlusconi per regolare i conti con Vivendi

ROMA La guerra tra Berlusconi e Bolloré sta arrivando ai titoli di coda. E per una singolare congiunzione astrale il Cavaliere sta contando sull’appoggio diretto o indiretto di quasi tutti gli schieramenti politici.
Compreso il Movimento 5Stelle e nonostante la batosta elettorale di Forza Italia.
Si tratta di una battaglia che è partita dall’assalto di Vivendi a Mediaset e ora si sta trasferendo su Tim, Telecom Italia. Con due parole d’ordine: difendere l’italianità di aziende strategiche e rendere di nuovo pubblica la rete infrastrutturale delle telecomunicazioni.
La prima mossa di questo scontro, allora, si consumerà nei prossimi giorni. I francesi di Vivendi, infatti, hanno preso ormai atto che – dopo il tentativo di scalata di un anno fa – è impossibile arrivare ad un accordo con le reti berlusconiane sul mancato acquisto di Premium. Le carte bollate in tribunale non si fermano. Hanno quindi avvertito informalmente l’Agcom (l’Autorità per le comunicazioni) che rispetteranno la direttiva emessa nel 2017. Affideranno ad un trust – molto probabilmente un fondo italiano – la quota di azioni Mediaset che eccede il 10 per cento. Si tratta di un 19 per cento che, secondo l’articolo 43 comma 11 del Testo unico su mercato e comunicazioni, non può essere detenuto da Bolloré proprio per l’incrocio societario con Tim: si configura come un abuso di posizione dominante. Vivendi non solo rinuncia per ora a questo 19 per cento di Mediaset ma ha fatto sapere che non ne eserciterà i diritti in assemblea.
Una soluzione che l’Agcom, quando si aprirà formalmente la pratica, è pronta a giudicare adeguata. Nel frattempo le aziende del Cavaliere si sono ulteriormente protette con due mosse anti-scalate: hanno rastrellato altre azioni (Berlusconi e alleati hanno il 46,17 per cento di Mediaset e ora la legge gli consente di salire ulteriormente) e hanno modificato il loro statuto concedendo solo due posti in consiglio alla cosiddetta “minoranza”. Insomma l’assalto francese al Biscione per il momento sembra fallito.
Il capo di Forza Italia, del resto, non aveva mai nascosto di voler regolare i conti dopo le elezioni. Ogni sua mossa in questa fase va letta in primo luogo nella chiave aziendale. E forse grazie al pessimo risultato del suo partito, le altre forze politiche si sentono libere di schierarsi contro l’eccessiva presenza in Italia di Vivendi.
La partita così interseca in modo sostanziale quel che sta accadendo a Tim. Anche in quella società l’incombenza francese non ha certo il gradimento del governo uscente, né dei partiti vincenti di questa tornata elettorale: Lega e M5S. I timori che lo shopping dei “cugini” possa dilagare in Italia ha messo sull’allarme un po’ tutti, anche i leghisti e i pentastellati. La paura che dopo Tim e Mediaset possano trasformarsi in prede d’Oltralpe pure Generali e Mediobanca è ormai trasversale. L’ultimo campanello è suonato alla fine dello scorso anno quando il Crédit Agricole ha acquisito le tre banche emiliane: la Cassa di Rimini e quelle di San Miniato e Cesena.
In questo quadro la politica, e di conseguenza Berlusconi, stanno sfruttando a loro favore l’incursione del potente fondo Elliott in Telecom. Gli americani, che gestiscono azioni per oltre 30 miliardi di dollari, hanno già conquistato il 5 per cento dell’azienda telefonica e hanno sferrato l’attacco a Vivendi accusandola di gestire male il gruppo.
Una singolare convergenza di interessi si concentra in questo modo sullo scorporo della rete. Tutti i grandi partiti da tempo avevano messo nel mirino una delle più grandi infrastrutture del Paese. E ora quell’obiettivo potrebbe subire un’accelerazione. Sullo sfondo delle manovre di Elliott, Parlamento e Berlusconi, si staglia infatti la separazione della rete e la sua fusione con Openfiber, la società che ha come obiettivo la costruzione della nuova “autostrada” telematica in fibra. Sarebbe di fatto il suo ritorno sotto il controllo pubblico attraverso Enel e Cassa depositi e prestiti. Quel che resterà di Tim potrebbe diventare a quel punto l’obiettivo di una fusione con Mediaset. Il vero sogno proibito di Berlusconi.
Ora, però, tutti dovranno fare i conti con le contromosse di Vivendi. Nessuno può pensare che i francesi assisteranno inerti. Aver “congelato” le azioni in Mediaset, permette a Bolloré di avere maggior spazio di azione in Tim. Il 23,9 per cento su cui può contare nella società di Corso d’Italia non lo mette certo al riparo.
Per superare la soglia del 25 per cento dovrebbe lanciare un’Opa che potrebbe risultare costosa. Oppure potrebbe accelerare nella riorganizzazione del gruppo, a cominciare dalla societarizzazione della rete. La guerra dunque si avvicina alla fine. Ma l’esito è ancora da segnare.