Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 17 Sabato calendario

Eni, più dividendi agli azionisti. Descalzi investe 32 miliardi

Londra Nel marzo 2015 Claudio Descalzi aveva messo a dieta forzata i soci dell’Eni, tagliando il dividendo da 1,12 a 0,80 euro per azione. Il petrolio era a 56 dollari il barile, e ancora non si vedeva la fine del tracollo dei prezzi, precipitati dai 115 dollari dell’estate precedente. La mossa era quasi obbligata, visto che l’emergenza del momento era mettere «in sicurezza» il Cane a sei zampe. 
Tre anni dopo Descalzi inverte la rotta, e anche se il barile non si discosta troppo da allora torna ad aumentare la cedola, portandola a 0,83 centesimi. Non molto in termini assoluti, ma il segnale che in questo periodo l’Eni si è messa in condizione di crescere anche in uno scenario che resta difficile (il brent ieri quotava 65 dollari al barile) e che non dà affatto garanzie di stabilità. 
Con il piano al 2021 Descalzi non cambia strategia di fondo (meno costi, efficienza, disciplina finanziaria) ma vuole accelerare sull’espansione industriale. Qualche obiettivo? La produzione di petrolio crescerà del 3,5% l’anno (del 4% nel 2018 dopo l’ingresso negli Emirati) e l’anno prossimo dovrebbe arrivare a toccare i 2 milioni di barili al giorno (1,816 milioni la media 2017, record storico). 
Gli investimenti resteranno a quota 32 miliardi di euro, l’80% dei quali nel settore “core” del petrolio e gas. Per la sola attività di esplorazione si metteranno sul piatto 3,5 miliardi. Anche se la produzione in Libia scenderà un po’ (da 320 mila a 200 mila barili al giorno per effetto della mancanza di nuovi progetti dopo la rivoluzione del 2011), crescerà però nel resto del mondo. In questi anni la compagnia di Descalzi conta di scoprire 2 miliardi di barili, e i nuovi progetti saranno profittevoli con un prezzo del barile ridotto all’osso, fino a 30 dollari. 
Anche per gli altri comparti del gruppo sono in programma sviluppi. Soprattutto nel Gas naturale liquefatto (Gnl), dove l’ambizione è di diventare un “big” mondiale sfruttando le risorse incamerate con i ritrovamenti «giant» degli anni scorsi. Da Damietta, in Egitto, l’Eni inizierà ad esportare gas dalla fine di quest’anno. 
Dopo la scoperta di Zohr, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo, il Levante è diventata una delle aree più rilevanti per l’Eni, che tuttavia non può evitare di trovarsi nel mirino delle tensioni geopolitiche, come il blocco da parte della marina militare turca della Saipem 12000 ha mostrato. «Non abbiamo assolutamente intenzione di lasciare Cipro – ha comunque assicurato Descalzi – aspettiamo la diplomazia europea e dei vari Paesi».
Nelle rinnovabili (soprattutto nel solare) l’Eni investirà invece 1,2 miliardi di euro per sviluppare 1 Gigawatt di nuova capacità. Ma sarà sufficiente questa spinta verso l’energia «green» per venire incontro all’opposizione alle fonti fossili, bandiera del M5S? Alla domanda sull’esito delle elezioni e sul risultato dei grillini l’amministratore delegato Eni risponde diplomaticamente: «Siamo fiduciosi che tutti i partiti politici lavoreranno per il bene e per la salute dell’Italia, quindi non vediamo problemi per l’Eni». 
All’assemblea degli azionisti del 2015 un rumoroso Beppe Grillo aveva contestato duramente la politica del gruppo petrolifero su tutti i fronti, dall’attività all’estero alla cessione della Saipem, accuse alle quali aveva risposto lo stesso Descalzi. Che ieri è ritornato anche sul caso Nigeria. Intanto rispondendo a un’analista finanziario che gli ricordava l’imminenza del processo per corruzione sul caso Opl 45 (il 14 maggio): «Sono rilassato perché so quello che abbiamo fatto. E avremo la possibilità di spiegarlo perché c’è un processo».
E poi sulle nuove accuse rivolte da Amnesty International a Eni e Shell sulle fuoriuscite di petrolio nel delta del Niger: «Rigettiamo l’accusa e i numeri che loro presentano – ha replicato – Possiamo dimostrare tutto. L’80% degli attacchi alle condutture avvengono per rubare petrolio dai nostri oleodotti».