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 2018  marzo 17 Sabato calendario

Silurato anche il generale McMaster. E Trump scherza: chi sarà il prossimo?

WASHINGTON «Chi sarà il prossimo?», ha chiesto ridendo Donald Trump in una riunione ristretta nello Studio Ovale. Nella capitale americana si aspetta solo l’annuncio ufficiale: sarà Herbert Raymond McMaster, il consigliere per la sicurezza nazionale. 
L’attenzione è già concentrata sul nome del successore. Girano varie candidature: Keith Kellogg, generale in pensione, oppure Tom Cotton, senatore repubblicano dell’Arkansas, già in corsa per la carica di direttore dell’Fbi. Ma il più quotato sembra essere John Bolton, 69 anni, «il demolitore», «il super falco». 
Secondo una storiella raccontata da Steve Bannon e ripresa nel libro di Michael Wolff, Fire and Fury, a Trump non sono mai piaciuti i folti baffi di Bolton e per questo motivo non gli avrebbe assegnato alcun incarico nell’amministrazione.
In realtà, dopo la fugace apparizione di Michael Flynn, compromesso dai suoi ambigui rapporti con il Cremlino, il presidente aveva puntato sulla filiera dei militari, offrendo il posto di consigliere per la sicurezza a McMaster, 55 anni. Il generale a tre stelle è uno spirito indipendente, come ha dimostrato scrivendo, a 35 anni, un libro ferocemente critico sulla gestione della guerra in Vietnam ( Derelection of Duty ). Ma è nello stesso tempo, la quintessenza della disciplina, della razionalità e del pragmatismo. 
Già di per sé, dunque, il licenziamento di McMaster avrà un impatto sugli equilibri dentro l’amministrazione. Se poi verrà davvero sostituito con Bolton, assisteremo a un drastico cambio di stagione. Non solo a Washington. «John» è nato in Maryland, ha studiato legge alla Yale University, negli stessi anni di Bill e Hillary Clinton. Ha lavorato con i governi di Ronald Reagan e di George W. Bush. Ed è diventato noto in tutto il mondo per il tumultuoso anno e mezzo, dal 2005 al 2006, in cui ha rappresentato gli Stati Uniti all’Onu. «Il più rissoso ambasciatore che gli Usa abbiano mai inviato alle Nazioni Unite», scrisse a suo tempo l’ Economist. Negli anni lo stile e il pensiero di Bolton non sono cambiati. Ieri difendeva ruvidamente l’attacco americano in Iraq, oggi predica la linea durissima, senza escludere l’intervento militare, contro Iran e Corea del Nord. 
Per mesi McMaster, in asse con gli altri due generali, il capo dello staff John Kelly e il capo del Pentagono, James Mattis, ha cercato di costruire trame diplomatiche, come alternative all’uso azzardato della forza. 
Questa strategia, appoggiat a anche dall’ex segretario di Stato Rex Tillerson, ha dato un risultato oggettivo nella crisi più pericolosa: il possibile vertice con Kim Jong-un. Eppure proprio ora il presidente americano cambia radicalmente «il team». Prima via Tillerson e al suo posto il direttore della Cia, l’iper conservatore Mike Pompeo. Adesso fuori McMaster, tra voci che danno in uscita anche Kelly. Trump vuole compattezza e potrebbe tollerare il baffo di Bolton, pur di sbarazzarsi dell’analisi critica di McMaster, cui verrebbe comunque assegnato un comando operativo, accompagnato forse dalla promozione a generale a cinque stelle. 
Ma c’è un’altra ragione alla base della rottura e che ci riporta all’aspetto più vulnerabile: il rapporto con la Russia. Il 17 febbraio scorso, intervenendo alla Conferenza per la sicurezza a Monaco, McMaster fu molto netto: «Le prove dell’interferenza russa nelle elezioni americane sono incontrovertibili». Il riferimento era all’atto di accusa preparato dal super procuratore Robert Mueller, una delle due spine di Trump. L’altra sarà la pornostar Stormy Daniels.