Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 17 Sabato calendario

«Tante grane, tanti nemici». La dura vita del reggente a sinistra

ROMA Peggio della vita da mediano, quella della canzone di Ligabue. Perché anche il reggente «segna sempre poco, che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco». Ma il suo compito è ancora più ingrato del lavoro di centrocampo, come da telecronaca in tv. Almeno a sentire chi ci è passato prima di Maurizio Martina, chiamato a prendere in mano quel che resta del Pd.
«È stata un’esperienza logorante» racconta Pietro Folena, che dopo aver chiuso con la politica adesso organizza mostre, la prossima sul Canaletto, a Roma. Lui il reggente l’ha fatto dopo la sconfitta del 2001, Berlusconi che torna al governo, il 61 a 0 in Sicilia. C’erano i Ds, forse la politica era più profonda, sicuramente più complessa. E infatti Folena non era il reggente.
Il comitatoMa il coordinatore del comitato di reggenza, 11 persone tra cui D’Alema, Fassino, Violante. L’allenatore dei mediani. «Perché logorante? Da reggente hai tutte le grane di un segretario vero, senza averne i poteri». L’esempio più nitido arriva al congresso del partito, che chiude quel periodo di transizione. Folena guida il Correntone, la sinistra Ds. Ma nel palazzetto dello sport di Pesaro non c’è nemmeno una stanza per la riunione del gruppo. «Cominciamo bene, se non è un fatto politico questo...» sbottò lui con un linguaggio che oggi sembra da cineforum ma dà il segno delle grane che aveva e dei poteri che invece no.
A Dario Franceschini toccò nel 2009. In senso stretto lui non era reggente: venne eletto segretario ma il suo incarico era di fatto a termine e infatti durò pochi mesi, fino alle primarie vinte da Bersani. «È stata l’esperienza più bella della mia vita» disse Franceschini alla fine. Ma anche per lui, persino per lui, deve essere stata logorante. «In quel periodo mi sono fatto tanti amici ma soprattutto tanti nemici», confidò qualche anno dopo alla fine di una cena, arrivati all’ammazzacaffè. Martina è avvertito.
Il dopo BersaniMa l’insegnamento più utile per il nuovo reggente arriva da Guglielmo Epifani. L’ex segretario della Cgil è stato reggente del Pd nel 2013, dopo la non vittoria di Bersani. Mediano anche Epifani. Per di più chiamato da fuori, senza conoscere lo spogliatoio. «Dopo tanti anni nella Cgil avevo una certa esperienza nella guida delle grandi organizzazioni. E quindi, quando mi telefonò Bersani, accettai quasi subito mettendo però in chiaro che il mio incarico era a tempo». Prudente, ma non abbastanza: «La politica è più diffidente del sindacato. Molti pensavano che stessi giocando la mia partita, che in realtà puntassi alla poltrona di segretario». A mano a mano la voce di Epifani si fa meno sommessa, forse un po’ ci prese gusto davvero: «Vincemmo tutte le amministrative, compreso il Comune di Roma e tutti i suoi municipi. Persino la Balduina. Una cosa mai successa, nemmeno con Veltroni. Tenemmo sulla Legge Severino e la decadenza da senatore di Berlusconi, e poi...». Il mediano stava crescendo. Forse troppo: «Verso la fine del mandato, dall’area di centro del partito mi chiesero di rimanere, di sfidare Renzi». Epifani non dice da chi arrivò quella richiesta. Forse fu proprio chi, da reggente, si fece tanti amici ma soprattutto tanti nemici. Molte rogne, pochi poteri. E grandi manovre intorno.