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 2018  marzo 17 Sabato calendario

Quella faccia che era

C’era qualcosa che mancava. In tutte le ricostruzioni sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e la strage della scorta, commosse, dettagliate, traboccanti misteriose coincidenze, il ruolo dei servizi segreti, dell’Urss e degli Usa, di Giulio Andreotti ed Enrico Berlinguer, gli eterni processi e poi gli assassini in tv e l’imperitura lezione dell’assassinato, l’infinito male eccetera. Un’eco dall’Iperuranio. Mancava qualcosa ed è stato chiaro quando su La Stampa di ieri si è ricordata una canzone di Giorgio Gaber, la celeberrima Destra-Sinistra, e a me ne è venuta in mente un’altra, Io se fossi Dio, scritta subito dopo la morte di Moro. Una canzone di 14 minuti, spietata, rabbiosa, respingente, genuina e cattiva, bellissima nella sua spontanea ferocia, che è una forma di onestà. Non è per togliere qualcosa al monumento di Gaber, che come tutti è figlio e artefice e vittima del suo tempo; è per aggiungere qualcosa sui sentimenti profondi di un paese. Di una sua buona parte. Gaber l’ha cantata a lungo nei concerti e la gente applaudiva, e la canzone faceva così: «Fa anche rabbia il fatto che un politico qualunque se gli ha sparato un brigatista diventa l’unico statista». E così: «Avrei ancora il coraggio di continuare a dire che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana è il responsabile maggiore di trent’anni di cancrena italiana». E così: «Avrei anche il coraggio di andare dritto in galera ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora quella faccia che era». Ecco che cosa mancava: mancavamo noi.