Corriere della Sera, 18 marzo 2018
Le liti nella dynasty di famiglia. Il mistero della morte di Alessandro Neri
Giuliano Teatino (Chieti) Vicino alla chiesa di Giuliano Teatino, intorno a un tavolo del Marini’s American bar, monta una discussione sul ricchissimo signor Gaetano, su «quella santissima donna che è Maria», cioè sua moglie, e sul loro nipote prediletto, per tutti Gaetanino. «Non può essere stato lui ad ammazzarlo, impossibile. Gaetanino è un sempliciotto, quello ha paura anche della sua ombra, ma daiii», sorride un giovane che dice di conoscerlo benissimo perché il «sempliciotto», quando non è in Venezuela o in Florida, passa sempre a trovarlo.
E poco importa se i carabinieri si sono portati via i fuoristrada che ha guidato nell’ultimo periodo, la Q7 e la Mercedes, cercando di capire se per caso lì dentro ci sono tracce di suo cugino Alessandro Neri, ventinove anni come lui, ucciso la scorsa settimana a Pescara con un paio di colpi di pistola e salutato ieri.
«Non è lui l’assassino»
«È sbagliata anche solo l’ipotesi, ci metto le mani sul fuoco». Premessa: Gaetanino Lamaletto non è indagato e pure gli inquirenti tengono a precisare che il sequestro delle macchine è stato eseguito solo «perché il caso è complicato e non si può scartare nulla». Neppure un litigio fra i due cugini, neppure il fatto che Gaetanino sia volato a Miami nei giorni del delitto e neppure i rancori mai sopiti fra le due famiglie della dinastia che fa capo al nonno: da una parte i Lamaletto con Gaetanino e suo padre Camillo, dall’altra i Neri con il povero Alessandro e sua madre Laura (sorella di Camillo).
Fuori del bar il paesaggio è da cartolina. Maestosa e innevata, la Majella sembra dipinta sopra il minuscolo paese, 1229 anime, compresa quella burbera del signor Gaetano. È lui, il settantanovenne Gaetano Lamaletto oggi costretto sulla sedia a rotelle, il capostipite. Volato in Venezuela oltre mezzo secolo fa, è tornato al paesello negli anni Novanta con una fortuna, fatta grazie a una grossa azienda di ceramiche che negli anni d’oro vantava 400 dipendenti e che oggi è guidata da suo figlio Camillo. Al di là dell’omicidio del nipote, si scopre la storia davvero singolare di questa potente famiglia italo-venezuelana. «Sotto la villa, il signor Gaetano ha un bunker con sette Ferrari, una Rolls Roys, una Bentley, e poi Jaguar, Maserati, Mercedes GL, Porsche... Il pezzo forte è la F40, vale un milione di euro...», elenca uno dei quattro paesani seduti al tavolino che spesso lavora dai Lamaletto.
Gli spari di Sant’Antonio
«Mi raccomando, niente nomi», si preoccupa mentre vicino sorride un’ex governante del signor Gaetano: «È così... Maria è una bravissima donna, devota di padre Pio, va sempre a messa. Il signor Gaetano paga invece gli spari». Sarebbe? «I fuochi d’artificio di Sant’Antonio, ma se non gli piacciono non li paga». Tornato dal Venezuela nei primi anni Novanta, ha fondato a Orsogna una cantina di qualità, il Feuduccio, l’inizio di tutti i guai di famiglia. Alla guida ha voluto mettere sua figlia Laura che ha così lasciato la Toscana per trasferirsi in Abruzzo, con il marito Paolo, orafo, e il loro figlio Alessandro. Tutto è però precipitato nel 2015, quando suo fratello Camillo è piombato a Orsogna dal Venezuela per capire cosa non funzionasse nella gestione del Feuduccio.
L’ammanco del Feuduccio
«Ha trovato un ammanco importante, il vecchio si è arrabbiato e ha cacciato Laura per dare tutto in mano a Camillo e Gaetanino», sussurra la governante. Tutti fanno sì con la testa. Ma per Laura la verità è un’altra: «Siamo stati mandati via perché onesti, al contrario della mia famiglia», si è lasciata scappare nei giorni scorsi. Comunque sia, da quel giorno le due famiglie hanno tagliato i ponti. I documenti della Camera di Commercio, dove l’ultima modifica è dello scorso febbraio, parlano chiaro: il Feuduccio è diventato di proprietà di Camillo (60%) e Gaetanino (40%) ed è amministrato dal giovane.
La rottura è stata tale che neppure la tragica morte di Alessandro è riuscita a sanarla. Ieri, all’ultimo saluto al giovane, nella chiesa di Villa Raspa di Spoltore, i grandi assenti erano loro: nonno Gaetano, nonna Maria, zio Camillo e Gaetanino. «Non li hanno voluti», azzarda un parente. Ma questo significa poco rispetto alle responsabilità sul delitto, dove restano saldamente in piedi le piste legate alla criminalità locale. Dal pulpito, mamma Laura l’ha fatto capire: «Ragazzi, andate sulla retta via, non coltivate cattive amicizie. E aiutatemi a trovare l’assassino di Ale». In quest’angolo d’Abruzzo si annuncia una gelida primavera.