Il Sole 24 Ore, 15 marzo 2018
Il Def slitterà a fine aprile
Intorno al Def “leggero”, limitato al quadro tendenziale, si scalda il dibattito politico. Il tempo guadagnato dal governo nel passaggio europeo di lunedì e martedì, con il via libera della commissione a tempi più lunghi per il quadro programmatico, apre una finestra che potrebbe essere occupata dai partiti ansiosi di dare qualche traduzione delle tante promesse elettorali.
Ieri il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha invocato in pratica un accordo corale per mettere nero su bianco l’impegno a non far scattare gli aumenti Iva, quelli previsti dalle clausole da 12,4 miliardi per il 2019 e 19,1 per l’anno successivo. Dal centrodestra, invece, nella sua prima giornata da leader “ufficiale” dopo l’investitura di Palazzo Grazioli, Matteo Salvini ha spiegato che la coalizione presenterà un «documento comune» per «una manovra economica che impegni il Parlamento». E se dal Carroccio si torna a ipotizzare lo sforamento del tetto del 3%, dai Cinque Stelle l’ipotesi è respinta. «Prima di parlare di sforamenti – sostiene Di Maio – andiamo a recuperare con la spending i soldi spesi male». Posizione una volta tanto in linea con le tesi di Bruxelles, rilanciate ieri dal commissario agli Affari economici Pierre Moscovici: «Quella del 3% è una regola comune e di buon senso – ha spiegato – e assicura la riduzione del debito». Il passaggio dal dibattito a un Def programmatico, comunque, resta complicato.
A Via XX Settembre si lavora al nuovo quadro tendenziale, con l’aggiornamento delle prospettive su deficit e debito alla luce degli ultimi dati macro (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 marzo). Anche un documento del genere, però, ha bisogno di un passaggio parlamentare con una risoluzione votata da una maggioranza che al momento non c’è. Per questo motivo, con il passare delle ore prende quota l’ipotesi di sfruttare appunto tutta la finestra aperta a Bruxelles, rimandando a fine mese (anziché al termine canonico del 10 aprile) la presentazione del documento. «Splittare in due tempi l’esame del Def non ha senso», ragiona ad esempio Francesco Boccia, esponente della minoranza Pd più “dialogante” con i Cinque Stelle e presidente della commissione Bilancio alla Camera nella scorsa legislatura, perché «questa scelta ci farebbe apparire schizofrenici davanti ai mercati». Per evitare sorprese, in quest’ottica, sarebbe meglio evitare la presentazione al Parlamento il 10 e il 30 a Bruxelles, e unificare i due passaggi in una data che potrebbe sfondare verso metà maggio. La stessa commissione Ue ha spiegato di non avere particolare fretta. Anzi: ieri Moscovici ha voluto gettare miele sulle polemiche sull’Italia «fattore di incertezza» in Europa. «Sull’Italia i mercati sono sereni – ha detto – e siamo sereni anche noi».
In ogni caso, i tempi per la formazione di una maggioranza e di un governo potrebbero rivelarsi più lunghi. La strada, allora, passerebbe dalla costituzione di una «commissione speciale» nei due rami del Parlamento, che rispecchierebbe il peso dei gruppi alla Camera e al Senato con il compito di lavorare a tutti i provvedimenti che hanno bisogno di un esame parlamentare. Anche questa mossa, come il Def limitato al tendenziale, trova il proprio precedente nel 2013, quando il programma economico fu elaborato dal governo Monti in uscita mentre la politica tentava di sbrogliare la scorsa matassa post-elettorale.