Libero, 14 marzo 2018
In attesa del duello con gli Usa Tim litiga anche con i sindacati
Vincent Bollorè, gran capo di Vivendi, apre un secondo fronte sulla partita Tim. Come se non gli bastasse il duello con Elliott per il controllo del gruppo. Ai sindacati che chiedevano una moratoria sul nuovo piano di tagli, è stato opposto un rifiuto: andranno a casa ancora 6.500 dipendenti di cui 2.500 con un esodo incentivato e altri 4.000 prepensionati. A fronte questa riduzione ci saranno duemila assunzioni il cui costo però sarà spalmato in gran parte sul resto dell’organico.
Infatti verrà applicato il principio della “solidarietà espansiva” per cui tutti i dipendenti dovranno rinunciare a venti minuti di paga giornaliera. Il risparmio pagherà le assunzioni. Un piano che i sindacati faticano ad accettare. Tanto più che in dieci anni Telecom ha perso 16 mila posti di lavoro in Italia (ventitremila in tutto il mondo) e il fatturato è sceso da 30 a 19 miliardi (per effetto anche delle dismissioni).
C’è un nuovo incontro fissato per martedì ma il clima non è affatto promettente. I sindacati, infatti, chiedono notizie anche sull’altra grande partita che Vivendi sta combattendo sul fronte della Tim. Riguarda il controllo che ora viene minacciato dagli americani di Elliott. Il fondo ha investito finora 800 milioni per il 5,9%. Potrebbe arrivare facilmente al 9,9%. Da questa base cercare alleati per ribaltare la governance. Il profumo della battaglia in preparazione ha messo le ali al titolo che tuttavia ieri si è concesso una pausa. È sceso del 2,37% a 80 centesimi.
Proprio ieri è cominciato il conto alla rovescia in vista della decisiva assemblea del 24 aprile. Elliott ha dieci giorni per chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno. Con questa modifica potrebbe presentare la sua lista in contrapposizione a quella di Vivendi.
Un atteggiamento molto aggressivo che deve aver messo in apprensione il fronte francese. Nelle ultime ore, infatti, avanza un’altra ipotesi. Vivendi, per guadagnare tempo potrebbe mandare deserta l’assemblea del 24 aprile. Avrebbe così più tempo per organizzare la difesa proponendo una lista di consiglieri formata da molti avvocati. In questo modo potrebbe rintuzzare punto su punto l’offensiva di Elliott sul piano legale.
Proprio l’incertezza rende i sindacati ancora più rigidi. Da quando è stata privatizzata Telecom ha già cambiato quattro volte proprietà. Una girandola che certo non ha poprtato benefici all’azienda. Casomai il contrario. Quella che era una delle più importanti compagnie telefoniche mondiali, solida e con una vasta rete di presenza internazionale è diventata una società prevalentemente italiana (tranne Tim Brasil) molto indebitata (25 miliardi). Ora la nuova partita: Elliott vuole lo scorporo della rete da conferire in una società le cui azioni dovrebbero essere distribuite ai soci Tim: un po’ come ha fatto Marchionne con la Ferrari. A questo punto sarebbe facile per Cdp intervenire acquistando, almeno in parte, le azioni della rete e poi quotarle in Borsa. Così diventerebbe più semplice l’integrazione con Open Fiber. Come coronamento della manovra ci sarebbe la distribuzione del dividendo e la conversione delle risparmio.
Si attende la risposta di Bollorè che nel frattempo ha avviato il braccio di ferro con Silvio Berlusconi su Mediaset. Anche qui profumo di guerra e grandi rialzi. Ieri la doccia fredda: Jp Morgan ha rilasciato un giudizio negativo sulla società immaginando la contrazione del mercato pubblicitario. Il titolo ha perso il 3,5%.