Libero, 14 marzo 2018
Sei milioni di poveri in più senza stipendio né pensione
Solo due giorni fa Bankitalia ci ha spiegato che, in barba ai bonus e ai sussidi sbandierati negli ultimi anni dal governo di sinistra, i poveri in Italia non sono mai stati così tanti. Per la precisione, nel 2016 il rischio di scivolare sotto la soglia di indigenza è salito dal 19,6% del 2006 al 23%, il massimo storico del nostro Paese.
Certo, c’è stata una delle recessioni più lunghe dell’Italia repubblicana, i flussi migratori hanno messo a dura prova la tenuta del nostro welfare, l’Europa ci ha costretto a politiche di austerity che non hanno favorito lo sviluppo. Ma questo non basta a spiegare l’esplosione della povertà, che sembra candidarsi a diventare l’ennesimo problema strutturale dell’Italia, accanto alla bassa produttività e all’alto debito pubblico.
GENERAZIONE PERSA
Già, perché i dati snocciolati da Bankitalia non registrano un fenomeno che si appresta a scomparire, ma una tendenza destinata ad aumentare. Per capire che siamo solo all’inizio, basta dare un’occhiata ai numeri diffusi ieri da Censis e Confcoperative, secondo cui il combinato disposto della scarsa crescita, del lavoro precario prodotto dal Jobs act e delle conseguenze della riforma pensionistica disegnata dall’ex ministro Elsa Fornero si prepara a sfornare un vero e proprio esercito di nuovi poveri di qui ai prossimi decenni.
Le stime parlano di almeno 5,7 milioni gli italiani che entro il 2050 si collocheranno sotto la soglia di indigenza. Secondo il presidente di Concooperative la posta in gioco è altissima. Senza interventi efficaci sul mondo del lavoro e sulla formazione, per trascinare nel tessuto produttivo i giovani che ora non studiano e non cercano una occupazione, il rischio è quello di «perdere un’intera generazione».
Alla cifra enorme calcolata da Censis e Confcooperative si arriva considerando i 3 milioni dei cosidetti Neet, che hanno rinunciato a ogni tipo di prospettiva a causa della mancanza di lavoro. A cui bisogna aggiungere i 2,7 milioni di italiani confinati nei lavori gabbia, ovvero attività non qualificate da cui è difficile uscire che obbligano ad una bassa intensità lavorativa, pregiudicando le loro aspettative di reddito e di crescita professionale.
IN GABBIA
Una situazione, quest’ultima, che riguarda in particolare i giovani. Nella fascia di età trai25ei34anni(untotaledi 4,1 milioni di occupati), 171mila sono sottoccupati, 656mila sono impegati con un part-time involontario e altri 415mila non ricoprono posizioni qualificate.
Questo comporta bassa contribuzione e impossibilità di alimentare la previdenza integrativa. Il risultato tra una trentina d’anni sarà pensioni da fame e incapacità di sostentarsi autonomamente sotto il profilo finanziario. La sintesi è che il Paese, grazie anche all’inutile moltiplicazione di piccoli sussidi che hanno solo disperso risorse preziose, si è trasformato in un sistema perverso dove lavorare non basta più a scongiurare il rischio di povertà.