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 2018  marzo 14 Mercoledì calendario

Chi pesca un nero trova un tesoro

Fine della campagna elettorale e fine delle cazzate di propaganda: una, di destra, diceva che all’immigrazione corrisponde una minor sicurezza complessiva (ma nel 2017 gli omicidi sono calati dell’11 per cento, le rapine dell’8, i furti del 7: anche se è vero che i clandestini delinquono di più) e l’altra, di sinistra, negava che l’immigrazione fosse soprattutto un business. Ecco, vogliamo parlare di quest’ultimo: anche se non è ancora chiaro se i governi di sinistra abbiano sbagliato in buona fede sul fatto che abbiano sbagliato non hanno più dubbi neanche loro: ci hanno perso le elezioni oppure abbiano sbagliato consapevolmente, così da favorire affari dai risvolti anche imprevedibili. Che di affari si tratti, anzitutto per gli scafisti e i commercianti di uomini, l’hanno spiegato più volte l’Onu e la Direzione antimafia: l’hanno definito il secondo businnes mondiale dopo il narcotraffico. 
Che si tratti poi di affari per i consorzi e le cooperative d’accoglienza italiane, invece, l’hanno scritto tante volte anche giornali come questo: solo le prime quarantacinque coop, alla fine del 2016, avevano messo a bilancio un fatturato di 367,7 milioni di euro (le stesse società, l’anno precedente, ne avevano fatturati solo 294) con un aumento del giro d’affari che nessun altro settore produttivo italiano aveva poturo vantare, purtroppo. Parlando di utili (guadagni) le stesse quarantacinque coop avevano incamerato 3,4 milioni di euro nel 2015 che sono decollati a 6,5 milioni nel 2016. 
Chissà oggi. Sono tanti soldi, perché non stiamo parlando di multinazionali, ma appunto di cooperative più o meno legate alla Lega Coop, alla Confcooperative, alla Chiesa o a movimenti cattolici vari: oppure a nessuno, agli affari e basta. 
Alcune di queste impresine (un decente sinonimo di coop non riusciamo a trovarlo) hanno una storia e una tradizione nel campo dell’assistenza a minori, anziani, case famiglia e poveri anche italiani: molte altre, però, sono sorte come funghi per cogliere il business soltanto dei rifugiati e dei migranti. 
VERIFICHE FANTASMA 
Altri numeri sono più noti perché hanno fatto epoca: tipo che lo Stato investe per l’accoglienza 4,5 miliardi di euro l’anno e che un richiedente asilo adulto fa erogare 35 euro al giorno (45 euro se minorenne) a strutture improvvisate e private in dieci casi su dodici: basta un’autocertificazione o, per una coop, tre persone davanti a un notaio. 
Così abbiamo hotel, alberghetti, discoteche-dormitorio, ristoranti, centri-vacanze, strutture spesso riconvertite celermente per risollevarsi dalla crisi. E tu valli a controllare toccherebbe alla prefetture i margini di guadagno su cibo, frutta, personale, lenzuola, abiti, scarpe, pulizia, acqua, luce, gas e rifiuti. Vai a verificare la competenza di direttori, operatori, infermieri, psicologi, assistenti sociali e mediatori linguistici. Vai a vedere quanti rispettino il «contratto collettivo delle cooperative sociali» e quanti invece ricevano molto meno o abbiano un contratto part-time anche se lavorano a tempo pieno. Vai a spiegare, soprattutto, che dopo un paio d’anni i migranti economici finiscono in strada con un foglio di via che ovviamente disattendono: ecco perché in pratica stiamo parlando di costose fabbriche dei clandestini, di poveracci che se non scelgono la criminalità spesso vanno a rifugiarsi al Sud dove il lavoro è nero, non servono documenti e quindi vengono regolarmente sfruttati. 
COMPETIZIONE 
Il lavoro regolare sarà invece riservato agli italiani: secondo un focus del Censis, entro il 2050, il nostro Paese rischia di avere oltre 3 milioni di cosiddetti Neet (18-34 anni) e 2,7 milioni di «working poor», poveri benché lavoranti: un esercito di 5,7 milioni di nuovi poveri che per ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, per discontinuità contributiva e per debole dinamica retributiva dipingono a tinte fosche il futuro previdenziale e la tenuta sociale del Paese. 
E mentre nel 2017 la disoccupazione del Sud è stata quasi tre volte quella del Nord (dati Istat) una ristorante di Milano, Burgez, ha messo un annuncio in cui invita le lavoratrici italiane a darsi una mossa: cercano una cassiera, ma la preferirebbero filippina ammettono candidamente perché le lavoratrici italiane sono svogliate e difficili da gestire, dicono. 
In altre parole, a parte quelli che lavorano in nero o delinquono, gli immigrati continuano a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare: solo che non ne rimangono altri.