15 marzo 2018
In morte di Stephen Hawking
Carlo Rovelli per il Corriere della Sera
Le sue intuizioni hanno modellato la moderna cosmologia: Stephen Hawking è morto all’età di 76 anni nella sua casa di Cambridge. L’astrofisico ha convissuto per oltre 55 anni con una malattia invalidante. «Era un grande scienziato e un uomo straordinario il cui lavoro vivrà per molti anni» hanno scritto i suoi familiari.
Moltissimi dei giovani scienziati che ho incontrato nel corso della mia vita sono arrivati alla scienza perché da ragazzi si sono fatti affascinare dai libri di Stephen Hawking. Questo, più di ogni altra cosa, è stato Stephen Hawking: un personaggio unico, la cui particolarissima traiettoria ha affascinato il mondo. È stato uno dei più brillanti fisici teorici della sua generazione, ha avuto intuizioni visionarie sulla struttura dello spazio e del tempo, sull’origine dell’Universo, e sul fato dei buchi neri; ha sofferto di una malattia che lo ha progressivamente paralizzato fino a impedirgli di parlare, e poi fino al punto in cui gli unici muscoli che controllava erano quelli degli occhi, e ciononostante ha continuato per decenni a pensare, viaggiare e scrivere; ha saputo parlare a un pubblico vastissimo nel mondo intero in un linguaggio che incanta, mostrando a tutti le meraviglie più strane dell’Universo; ha avuto la serena spregiudicatezza di dichiarare alte e forti le sue idee, come il suo deciso ateismo o la sua convinzione dell’irrilevanza della filosofia; e, forse più di ogni cosa, ha continuato a sorridere, con quel suo sorriso un po’ sornione e un po’ da ragazzetto impunito, con un implicito straordinario messaggio che anche su una sedia a rotelle, anche senza potere più muovere un muscolo, anche senza dio e senza vita eterna, la vita può essere splendida, e siamo profondamente liberi di creare, e di viverla.
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Stefano Massini per la Repubblica
Marcia indietro: Stephen Hawking non è morto affatto. Con tutto che la scienza era il suo unico Dio indiscusso, gli toccherà abituarsi all’idea che un aldilà esiste eccome, non fosse altro nell’universo sconfinato del nostro immaginario. Lì, fra tanti sedicenti eroi respinti all’ingresso, gli verrà immediatamente conferita non solo la cittadinanza, ma anche la cattedra di fisica quantistica. Per cui, da ateo convinto, ti toccherà caro Stephen fare i conti con la tua immortalità, e chi se ne importa se la ritieni incompatibile con la relatività einsteiniana. Non pensare comunque che questo tempo supplementare ti vincoli a qualcosa: come da dentro un buco nero, verrai del tutto assemblato nella non- materia, e saremo solo noi – piccoli schiavi dello spazio e del tempo – a citarti di continuo come l’Hawking che fosti e non sei più. Nel frattempo, per te sarà una pura baldoria: sopravviverai all’involucro bastardo del tuo corpo, finalmente libero da una zavorra di muscoli anarchici, e sarai autorizzato a perlustrare in lungo e in largo le infinite savane di un safari interplanetario dove l’uomo è niente più che un’escrescenza boriosa, fiorita per errore l’altro ieri dal brodo primordiale. Ah, che soddisfazione: negli spazi siderali nessuno più ti annoierà con le solite domande su come possa una mente geniale coabitare con un groviglio di carne ammutinata, sentendosi rispondere che nessun limite è limitante quanto percepirsi limitati. Sarai indipendente. Sarai energia pura. Sarai un’entità scatenata nello spazio, come un protone dopo il Big Bang, e non rimpiangerai il ripostiglio angusto del pianeta terra dove nanetti come Trump e Kim Jong-un giocano a fare i gradassi con la kryptonite. Sono lieto per te, quindi, perché sei l’unico defunto la cui lapide si è già tramutata in razzo.
A essere sincero, mi preoccupa più la nostra sorte che non la tua. Intanto perché il pianeta dove ci hai lasciati pullula non tanto di ignoranti, quanto di finti esperti, ovvero della categoria che più di tutte tu temevi: la conoscenza costa studio, si sa, e lo studio implica una scelta, laddove tutto oggi sembra accreditare la logica del galleggiare su quella del nuotare. Ebbene, non conosco nuotatori più olimpionici di Stephen Hawking, autentico monumento al dio della scelta, della tenacia, della sfida che ingenera altra sfida, in una possente reazione cosmica. Questo è l’uomo: un navigatore, non un bagnante sul materassino. Lo scrisse un certo Dante cantando di Ulisse e del suo inno a conoscere, senza arrendersi mai, trasfor-mando sempre la curiosità in ulteriore missione.
Ecco, temo sia questo il punto su cui più ci mancherai: senza niente togliere a quando a Cambridge ereditasti la cattedra di Newton, ti reputo un esempio di come l’ardore del sapere diventi una questione politica davvero decisiva. Un esempio? Da anni e anni fumetti, cartoon e fantascienza ci raccontano di invasioni aliene, con la terra presa d’assalto dai marziani e da intrusi galattici. Giusto nel caso di Star Trek eravamo noi, viceversa, a seguire il monito di Dante andando a scovare remote forme di vita nelle profondità stellari. Ma è una sporadica eccezione: in genere siamo invasi e non invasori. Come sorprendersi? Se non siamo in grado di accettare le migrazioni nella pozzanghera del Mediterraneo o quelle fra il Messico e il Texas, come potremo mai bastonare gli extracomunitari e dare il benvenuto agli extraterrestri?
Tu per anni ci hai insegnato, Stephen, che perfino nei buchi neri c’era una radiazione che muoveva materia, come dire che anche nel più estremo baratro della distanza c’è qualcosa che già conosciamo, e che ci permette di sondare l’ignoto. O meglio: l’ignoto non esiste, è solo un alibi per definirlo nemico. L’ignoto – copyright professor Hawking – è ciò che all’apparenza è inconoscibile, ma che in realtà ti sta chiedendo una nuova formula. Sono passati ottant’anni da quel 1938 in cui Orson Welles annunciò per radio agli americani lo sbarco dei marziani: fu il panico. Diciamo che Sua Altezza Geniale Stephen Hawking è stato l’antidoto a quel panico, perché ha sintetizzato l’equazione della conoscenza come un fattore inversamente proporzionale all’isteria. Per cui ci mancherà, di te, quel paradosso che, da finto disabile, ti faceva invece abilissimo nella crociata contro i fifoni d’ogni sorta, al buio della loro ignoranza. Non è poco. Anzi, è tutto. Una lezione che resterà nel tempo. Ma lo so: starai già ridendo, perché il tempo alla fine cos’è? Soltanto fisica.