14 marzo 2018
APPUNTI PER GAZZETTA SU STEPHEN HAWKING
La Gazzetta dello Sport
Anno XII – Numero 3977
15 marzo 2018
Ieri, nel centotrentesimo anniversario della nascita di Alber Einstein, è morto a Cambridge Stephen Hawking.
• Lo scienziato in sedia a rotelle?
Proprio lui. Hawking è stato tante cose. Un grande fisico, matematico, cosmologo, astrofisico e personaggio pop. La sua vita e la sua carriera hanno ispirato documentari e film come La Teoria del tutto, con cui l’attore Eddie Redmayne nel 2004 vinse l’Oscar. Tra le altre cose Hawking è apparso in molte serie tv di culto, dai Simpson a The Big Bang Theory e ha interpretando se stesso in un episodio della serie Star Trek: The Next Generation. Una sedia a rotelle progettata su misura e un computer con sintetizzatore vocale sono i mezzi che gli hanno permesso di comunicare con il mondo. Era nato a Oxfordl’8 gennaio 1942, esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, come amava ricordare in ogni occasione. A 21 anni, poco dopo essersi laureato in Fisica, gli era stato diagnosticata una sclerosi laterale amiotrofica, o morbo di Lou Gehrig. Secondo i medici la malattia gli avrebbe concesso al massimo due anni di vita. E invece è arrivato a 76 anni.
• E come ha fatto?
Verrebbe naturale pensare che la sua intelligenza sia riuscita ad avere la meglio sulla malattia. Probabilmente molto si deve al fatto che la Sla di Hawking non abbia colpito né i muscoli respiratori (causando la morte per insufficienza respiratoria) né quelli della deglutizione (uccidendo per disidratazione e malnutrizione). Per due volte però ha rischiato di morire: nel 1985 e nel 2009, per due gravi forme di polmonite. La cosa più straordinaria di Hawking è stata, nelle sue condizioni, la capacità di realizzare lavori di ricerca sulle origini e misteri del cosmo e di portare avanti in parallelo una carriera accademica. A soli 32 anni era già membro della Royal Society e dal 1979 al 2009 è stato titolare della cattedra di matematica all’università di Cambridge, la stessa tenuta da Isaac Newton.. Con il saggio Dal big bang ai buchi neri, pubblicato per la volta nel 1988 e diventato un bestseller mondiale arrivando a vendere oltre nove milioni di copie, ha portando la cosmologia moderna nelle case di tantissime persone. Il libro, che è un indiscusso capolavoro di divulgazione scientifica, ha segnato la nascita del mito di Hawking. In tutto questo, poi, ha trovato anche il tempo ed energie per sposarsi due volte e avere tre figli.
• Ma cos’ha scoperto Hawking di così eccezionale?
Detto in poche parole, ha descritto la nascita dei buchi neri, ha confermato che l’universo è nato dal Big Bang e, soprattutto, ha cercato di integrare le due grandi teorie della fisica contemporanea, quella della relatività di Einstein e la meccanica quantistica. Hawking è partito dalla teoria di Einstein secondo cui un oggetto sufficientemente grande, come può essere una stella massiccia, possa collassare su se stesso fino a concentrarsi in un punto a densità infinita. Quel punto è chiamato singolarità. La grande novità di Hawking è che anziché finire tutto in una singolarità, tutto ha inizio da una singolarità. E da qui nacque il lavoro del 1970 con cui spiegò Big Bang. Inoltre Hawking intuì che un buco nero non può che aumentare di dimensioni, mai restringersi e che non può mai spezzarsi, neanche nel caso di una collisione con un altro buco nero. Da qui arrivò ad accostare l’espansione continua dell’orizzonte degli eventi con un altro concetto: l’entropia, che misura il grado di disordine di un sistema. L’entropia può solo aumentare, mai diminuire: l’Universo dunque diventa sempre più disordinato tanto più invecchia.
• E che fine fanno i buchi neri?
Secondo Hawking semplicemente svaniscono nel nulla. Sviluppando la teoria quantistica, secondo cui lo spazio vuoto è composto in realtà da particelle opposte di materia e antimateria, arrivò a teorizzare che i buchi neri assorbano solo le particelle negative, l’antimateria, e così facendo possano diminuire la propria massa fino a sparire. Questa teoria del 1981, fortemente contestata, è stata in parte corretta da Hawking stesso, che si era convinto che il buco non inghiottisse tutto, perdesse una piccola quantità di energia sotto forma di radiazione, che prende il nome di radiazione di Hawking. Questo è il grande enigma che il grande astrofisico ci ha lasciato da risolvere.
• Perché non ha mai vinto il Nobel?
Perché la sua teoria sui buchi neri, pur essendo stata ampiamente accettata dalla comunità scientifica, non è mai stata provata empiricamente. Tutte le scoperte scientifiche teoretiche hanno bisogno per essere confermate da dati sperimentali o basati sull’osservazione. E osservare e studiare un buco nero è parecchio complicato. Ad esempio la teoria delle onde gravitazionali di Albert Einstein, ideata negli anni ’20, è stata provata solamente nel 2016. Nel caso di Hawking, i tempi potrebbero essere ancora più lunghi. Comunque nella sua carriera il grande fisico britannico ha ricevuto i più prestigiosi riconoscimenti internazionali, dalla Medaglia Dirac alla Medaglia Eddington della Royal Society, fino a veder assegnato il suo nome a un asteroide. È anche è diventato membro della Pontificia accademia delle scienze, lui che si è sempre professato ateo, sostenendo che la più semplice spiegazione all’esistenza dell’universo fosse nella negazione di un Dio creatore.
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COME HA FATTO A VIVERE OLTRE 50 ANNI CON LA SLA? – AGI.IT –Già nel febbraio del 2015 Stephen Hawking era stato dato per spacciato. Come già nel 1964. E innumerevoli altre volte nel corso della sua straordinariamente lunga vita. Straordinariamente lunga perché la diagnosi di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, non concede aspettative di vita che vanno al di là di pochi anni, mentre l’astrofisico è riuscito a sopravvivere con questa malattia terribilmente invalidante per più di 50 anni.
Le associazioni specializzate, ricorda un articolo del Post del 2015, spiegano che la vita media di una persona a cui viene diagnosticata questa malattia è tra i due e i cinque anni (a Hawking, a 21 anni, ne avevano dati due). Più del 50 per cento ce la fa a sopravvivere oltre i tre anni. Il 20 per cento ce la fa oltre i cinque anni. Da lì in poi il numero precipita. Meno del 5 per cento vive oltre i vent’anni.
E poi c’è Hawking, che ha superato il limite dei vent’anni due volte: la prima nel 1983, la seconda nel 2003. "È eccezionale», ha detto nel 2002 Nigel Leigh, professore di neurologia clinica del King’s College "Non sono a conoscenza di nessun altro con la SLA che sia sopravvissuto così a lungo. Ciò che è insolito non è soltanto il tempo che è passato ma il fatto che la malattia sembra essersi esaurita. Sembra essere relativamente stabile e questo tipo di stabilità è estremamente rara".
E ’straordinario’ è sicuramente la parola più di frequente associata a Hawking, anche nella malattia. Quando ha compiuto 70 anni, nel 2012, Anmar al-Chalabi del King’s College di Londra ammise di non aver mai conosciuto qualcuno sopravvissuto così a lungo alla Sla. E usò anche lui quella parola: "straordinario".
Verrebbe naturale pensare che l’intelligenza di Hawking sia riuscita da avere la meglio sulla malattia, ma lui stesso aveva azzardato una spiegazione più prosaica : "Forse la mia varietà di Sla è condizionata dal cattivo assorbimento delle vitamine".
Secondo gli scienziati una spiegazione alla sua longevità potrebbe essere proprio nella precocità dell’insorgenza della Sla. La malattia si manifesta normalmente intorno ai 55 anni, nel suo caso a 21. "La sopravvivenza nei pazienti più giovani è sorprendentemente migliore e si misura in molti anni, in alcuni casi più di dieci", ha detto Leigh "E’ una bestia differente se comincia da giovani, stranamente, e nessuno sa il perché".
Secondo Leo McCluskey dell’Università della Pennsylvania, molto si deve al fatto che la Sla di Hawking non abbia colpito né i muscoli respiratori (causando la morte per insufficienza respiratoria) nè quelli della deglutizione (uccidendo per disidratazione e malnutrizione). Così come una buona parte si deve al fatto che lo scienziato avesse sempre avuto una vita sedentaria e che le sue abitudini di vita non fossero state improvvisamente e radicalmente sconvolte dalla malattia, come succede agli sportivi.
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REPUBBLICA.IT –
È SCOMPARSO all’età di 76 anni l’astrofisico Stephen Hawking. Ad annunciarlo è stato il portavoce della famiglia. Nato l’8 gennaio 1942 a Oxford, nel 1963 scoprì di essere affetto da sclerosi laterale amiotrofica (Sla), una malattia degenerativa invalidante che negli anni Ottanta lo costrinse all’immobilità ma che non gli impedì di diventare uno dei più grandi scienziati a livello mondiale.
Aveva 21 anni quando gliene diedero appena due di sopravvivenza. In quel momento, raccontò negli anni successivi, "ogni cosa è cambiata: quando hai di fronte l’eventualità di una morte precoce, realizzi tutte le cose che vorresti fare e che la vita deve essere vissuta a pieno". Per due volte ha rischiato di morire: nel 1985 e nel 2009, per due gravi forme di polmonite. Nella sua lunga vita di scienziato curioso e senza pregiudizi riuscì a stupirsi e a stupire, lasciando il segno con le sue scoperte sul cosmo.
La morte è avvenuta nella sua casa a Cambridge. Nel rendere nota la scomparsa del padre, i figli hanno scritto in un comunicato diffuso ai media: "Siamo profondamente rattristati per la morte oggi del nostro padre adorato. E’ stato un grandissimo scienziato e un uomo straordinario. I suoi lavori vivranno ancora per molti anni dopo la sua scomparsa. Il suo coraggio e la sua perseveranza, insieme al suo essere brillante e al suo umorismo, hanno ispirato persone in tutto il mondo", hanno scritto Lucy, Robert e Tim, i figli di Hawking.
A 32 anni Hawking divenne uno dei membri più giovani della Royal Society, l’istituzione scientifica più prestigiosa della Gran Bretagna. Lasciò l’Università di Oxford per studiare astronomia teorica e cosmologia a Cambridge, dove ottenne la cattedra di matematica nel 1979 insegnando per trent’anni.
A Hawking si deve la teoria cosmologica sull’inizio senza confini dell’Universo (denominata stato di Hartle-Hawking) e la termodinamica dei buchi neri, la cosiddetta "radiazione di Hawking". Ma lo studio e l’osservazione dell’Universo non si è mai fermata: negli anni Hawking rivide più volte le sue scoperte senza mai smettere di indagare i "confini" del cosmo portando oltre le conoscenze dell’uomo.
La sua collaborazione con altri scienziati ha contribuito all’elaborazione di numerose teorie fisiche e astronomiche raccontate con capacità divulgative insperate per le sue condizioni di salute. Una sedia a rotelle progettata su misura e un computer con sintetizzatore vocale sono i mezzi che gli hanno permesso di comunicare con il mondo: lo si ricorda in numerose partecipazioni a trasmissioni scientifiche televisive e radiofoniche.
Stephen Hawking era famoso, oltre che per il suo lavoro nel campo dell’astrofisica, anche per le sue pungenti battute: "La vita sarebbe tragica se non fosse divertente." E, ancora: "Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza". Non è stato solo un grande fisico, matematico, cosmologo e astrofisico. La vita di Hawking e la sua carriera hanno ispirato film per la tv e il cinema, come La Teoria del tutto, adattamento della biografia scritta dalla ex moglie e madre dei suoi tre figli. È anche apparso in molte serie tv di culto, come i Simpson e The Big Bang Theory.
Membro della Royal Society, Royal Society of Arts e Pontificia Accademia delle Scienze, nel 2009 Hawking aveva ricevuto dal presidente statunitense Barack Obama la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza degli Stati Uniti d’America. Il suo scetticismo ci ha fatto riflettere anche sui nuovi traguardi della scienza, a cominciare dall’intelligenza artificiale, vista come speranza e al tempo stesso minaccia per il genere umano.
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MARCO CATTANEO, REPUBBLICA.IT –Una delle foto che Stephen Hawking amava, lo ritraeva mentre "volava" a gravità zero in un test condotto anni fa nei cieli dell’Atlantico. Andare nello spazio era il suo sogno. Al punto che, dopo quell’elettrizzante esperienza, aveva prenotato un volo suborbitale con la Virgin Galactic di Richard Branson. Niente male per uno che a 21 anni si era visto esporre una diagnosi che era una condanna: la sclerosi laterale amiotrofica, o morbo di Lou Gehrig, gli avrebbe concesso, secondo i medici, pochi anni di vita. Da bambino non era mai stato un gran che coordinato, diceva, ma a 17 anni, appena entrato a Oxford, si era dedicato al canottaggio. Non è arrivato al livello di gareggiare nella celebre boat race con i nemici giurati di Cambridge, ma qualche risultato apprezzabile c’è stato. Poi la tegola della Sla, che ha segnato la fine di ogni attività sportiva, ma anche l’inizio di una delle più brillanti carriere scientifiche del Novecento, con la nascita di un’icona della fisica seconda solo ad Albert Einstein.
Stephen Hawking, morto oggi a 76 anni, era nato a Oxford l’8 gennaio 1942, esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo, come amava ricordare in ogni occasione. E forse è anche questa strana "eredità" a farlo interessare fin da ragazzo ai misteri dell’universo. Come succede puntualmente in ogni buona famiglia, il padre vorrebbe che studiasse medicina, mentre lui preferirebbe iscriversi a matematica. Ma allo University College di Oxford non c’è un corso di matematica, allora ripiega sulla fisica. Si laurea a vent’anni, con risultati fuori dal comune anche per gli studenti più brillanti, e le porte delle università del Regno Unito sono tutte spalancate per il più luminoso intelletto d’Inghilterra.
E lui, dato che a Oxford non si faceva ricerca in cosmologia, decide di passare al nemico. A Cambridge è seguito da Dennis Sciama, uno dei massimi astrofisici dell’epoca. Ma in realtà non ha bisogno di nessuna guida. Il suo lavoro di ricerca procede spedito, e scala rapidamente tutti i gradini della carriera accademica, fino alla Cattedra Lucasiana di matematica dell’Università di Cambridge, che era stata di Newton da 1669 al 1702. Quando gli viene affidata, Hawking ha 37 anni: già da tempo la sua vita è confinata sua una sedia a rotelle elettrica, che usa per spostarsi da casa al Dipartimento, e già da tempo ha dato alla cosmologia e alla fisica alcuni dei contributi più importanti della seconda metà del secolo.
Si è occupato, tra l’altro - con l’altro gigante della fisica britannica Roger Penrose - dell’unificazione della relatività e della meccanica quantistica, le due grandi teorie di inizio Novecento, elaborando un nuovo modello della teoria di Einstein, e nel 1974 ha esposto forse il suo risultato più celebre, l’evaporazione dei buchi neri: secondo Hawking questi "onnivori" del cosmo non si limiterebbero a inghiottire tutto ciò che arriva nelle loro vicinanze, ma dovrebbero perdere una piccola quantità di energia sotto forma di radiazione, che prende il nome di radiazione di Hawking.
Nella comunità scientifica Hawking è già considerato uno dei grandi maestri, ma la celebrità universale arriva nel 1988, con il suo primo saggio per il grande pubblico: Dal big bang ai buchi neri diventa in breve un bestseller in tutto il mondo, arrivando a vendere oltre nove milioni di copie e portando la cosmologia moderna nelle case di appassionati di ogni latitudine. Il libro, che è un indiscusso capolavoro di divulgazione scientifica, segna la nascita del mito di Hawking. Che divora la vita con entusiasmo e coraggio, anche se ormai la progressione della malattia lo costringe persino a comunicare con un sofisticatissimo sintetizzatore vocale. Diventa la star di molti documentari sull’universo e sui buchi neri, ma non disdegna la partecipazione ad altri generi. Nel 1993, interpretando se stesso in un episodio della serie Star Trek: The Next Generation, ha liquidato il fantascientifico motore warp dell’Enterprise con un sagace "Ci sto lavorando...". E le ripetute partecipazioni ai Simpsons, dal 1999 al 2007, sanciscono il definitivo trionfo di Hawking anche in versione cartone animato.
Inutile dire che ha ricevuto alcuni tra i più prestigiosi riconoscimenti internazionali, dalla Medaglia Dirac alla Medaglia Eddington della Royal Society, fino a veder assegnato il suo nome a un asteroide. Nel 2006 è diventato anche cittadino onorario di Padova, ricevendo le chiavi della città dal sindaco Flavio Zanonato dopo aver visitato la Sala dei Quaranta dell’Università, dove si trova la Cattedra da cui insegnò Galileo. Che per lui è stato uno dei tre grandi della storia della scienza, insieme a Newton ed Einstein (con i quali, per inciso, giocava una partita a poker durante il famoso episodio di Star Trek...).
Con Stephen Hawking non se ne va solo uno dei più straordinari ingegni di un secolo intenso, quasi magico per la scienza, uno dei protagonisti di un’avventura intellettuale senza precedenti. Se ne va anche un formidabile esempio di come l’uomo può vincere la malattia trovando nella sua stessa condanna la forza di compiere imprese storiche. Non ha vinto la sua sfida ossessiva di dipanare tutti i misteri del cosmo, ma ci ha spalancato una finestra in più per venirne a capo, se mai ci riusciremo. E ci ha lasciato un’idea tutta sua del nostro posto nel mondo: "Siamo solo discendenti avanzati delle scimmie - diceva - su un pianeta minore di una stella molto ordinaria. Ma possiamo capire l’universo. È questo che ci rende molto speciali". E qualcuno più speciale degli altri.
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IL POST –
Stephen Hawking, uno degli scienziati più famosi al mondo e tra i fisici teorici più importanti della seconda metà del XX secolo, è morto questa mattina nella sua casa di Cambridge, in Regno Unito. La notizia è stata confermata dalla famiglia. Hawking, che aveva 76 anni ed era malato da molto tempo, era noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri (in particolare per la radiazione dei buchi neri che porta il suo nome) e per i suoi libri di divulgazione scientifica. Era il direttore di ricerca del Dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell’università di Cambridge, e aveva fondato il Centro di cosmologia teorica.
Buchi neri e divulgazioneCon il suo libro Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, pubblicato per la prima volta nel 1988, Hawking ottenne un grande successo e diede un contributo fondamentale nel divulgare le teorie su come si originò l’Universo e tutto ciò che abbiamo intorno. In 30 anni, quel libro ha venduto più di 10 milioni di copie e ha ispirato studenti, ricercatori, semplici appassionati e registi per film e documentari. Nel 2014, il film La teoria del tutto sulla vita di Hawking fu nominato agli Oscar e valse un premio a Eddie Redmayne, come migliore attore protagonista. Ma fu comunque in campo scientifico che Hawking diede i suoi contributi più importanti per la comprensione dell’Universo e della scienza che lo studia: la cosmologia.Costretto da una malattia a vivere su una sedia a rotelle a partire dalla fine degli anni Sessanta, Hawking si dedicò allo studio dei buchi neri, diventando uno dei teorici più intelligenti e creativi della sua generazione nella ricerca intorno a questi misteriosi gorghi densi e massicci al punto che nemmeno la luce riesce a sfuggirgli. Applicò a questi oggetti le teorie quantistiche, scoprendo che i buchi neri perdono radiazioni e particelle, nel loro ciclo che li porta a collassare e scomparire.I calcoli che lo portarono alla scoperta furono messi in discussione per molto tempo nella comunità scientifica. Le conclusioni erano talmente strane per le conoscenze dell’epoca da far dubitare lo stesso Hawking: l’idea che alcune particelle potessero sfuggire ai buchi neri sembrava implausibile. Dopo ulteriori verifiche e approfondimenti, nel 1974 Stephen Hawking pubblicò la sua ricerca su Nature, una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo, con un titolo dubitativo, ma molto allettante per cosmologi e fisici: “Esplosioni dei Buchi Neri?”. Con un’esposizione precisa e al tempo stesso chiara e concisa, Hawking aveva scritto una delle più promettenti ricerche che mettevano insieme fisica dei quanti, gravità, variabili legate all’Universo e al suo comportamento bislacco. La ricerca si avvicinava più di altre all’idea, ancora da realizzare, di una vera “teoria del tutto” nella fisica, una spiegazione uniforme e omogenea di come funziona tutto ciò che esiste.La teoria sulla radiazione di Hawking, come sarebbe diventata nota negli anni seguenti, fece cambiare il modo in cui erano visti i buchi neri: da gigantesche macchine che assorbono ciò che hanno intorno a grandi sistemi di riciclo della materia e dell’energia. Hawking spiegò che se teoricamente si saltasse in un buco nero non ci sarebbero probabilità di sopravvivenza: gli atomi che costituiscono una persona non tornerebbero indietro, ma la sua massa-energia sì, e che probabilmente questa cosa si applica all’intero Universo.
Senza confiniHawking era mosso da una grande curiosità e, nonostante vivesse da decenni su una sedia a rotelle, esplorava il mondo e provava tutto ciò che poteva, dimostrando di non avere particolari preoccupazioni per il corpo che lo aveva in un certo senso imprigionato. Nel 2007, quando aveva da poco compiuto 65 anni, salì su un aeroplano che simula la parziale assenza di gravità, un sistema usato dai ricercatori per condurre test di vario tipo e dagli astronauti durante le loro sessioni di addestramento prima di partire per lo Spazio. L’aeroplano – un Boeing 727 – prende quota e poi la perde velocemente con picchiate in modo da riprodurre per alcuni secondi la mancanza di gravità. Le sollecitazioni sono notevoli anche per chi sta a bordo e possono causare un po’ di nausea, ma Hawking disse di essersi divertito molto e di averlo fatto per dimostrare che anche le persone con disabilità possono fare praticamente di tutto, senza sentirsi limitate dalla loro condizione.
Stephen Hawking era profondamente convinto di questa personale teoria del poter fare tutto. Nella sua lunga carriera accademica e di divulgatore visitò tutti i continenti, anche l’Antartide, partecipando a centinaia di incontri e conferenze. Impossibilitato a parlare a causa della malattia, la sua voce era diventata un sintetizzatore vocale di un computer, con sensori che leggevano i movimenti del suo sguardo per interpretare i comandi e le parole da scrivere e riprodurre. Questo sistema, perfezionato nel corso degli anni, gli permise di scrivere buona parte dei suoi libri più famosi e apprezzati.La voce metallica del sintetizzatore divenne una parte di Hawking e forse uno dei suoi elementi più riconoscibili. Lui stesso ci scherzava sopra ed era ben disposto a partecipare a gag in programmi televisivi. Fece da guest star in una puntata dei Simpson, in The Big Bang Theory e in un episodio di Star Trek. Gli sarebbe anche piaciuto viaggiare nello Spazio nella realtà e non solo nella finzione televisiva. Prese contatti con VirginGalactic, la compagnia spaziale di Richard Branson, ma ritardi e contrattempi nello sviluppo dei sistemi di trasporto gli hanno impedito di raggiungere il suo obiettivo. Era anche un pilota piuttosto spericolato, come sanno docenti e studenti di Cambridge: un giorno andava di fretta in uno dei vialetti dell’Università, prese male una curva e si schiantò, rompendosi una gamba.
Le originiStephen Hawking era nato nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale. La sua famiglia era sfollata da Londra a Oxford per sfuggire ai bombardamenti notturni senza sosta dell’aviazione tedesca quando Isobel Walker, sua madre, era incinta. Il padre, Frank Hawking, era un biologo piuttosto conosciuto. L’8 gennaio 1942, a 300 anni di distanza esatti dalla morte di Galileo Galilei, Stephen Hawking nacque in un periodo di grandi incertezze e con una guerra che sarebbe finita solo tre anni dopo, ma che in quei momenti sembrava non finire mai. Frequentò le scuole a Londra senza brillare particolarmente, poi si iscrisse all’università a Oxford dove scoprì di riuscire a fare calcoli e a studiare la fisica con grande facilità. L’idea di scoprire le origini dell’Universo, la cosmologia, lo appassionava più di tutto.Dopo la laurea si trasferì a Cambridge, ma prima che potesse iniziare i suoi progetti di ricerca i sintomi di debolezza che aveva da diversi anni peggiorarono. Inizialmente gli fu diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa che lascia pochi anni di vita. La diagnosi lo portò a una profonda depressione, dalla quale si riprese quando la malattia sembrò fermarsi, benché lasciandoli poche possibilità di muoversi e di non affaticarsi dopo pochi passi. In un certo senso rivalutò la sua esistenza, trovò un rinnovato interesse nella ricerca e nella vita in generale. Nel 1965 si sposò con Jane Wilde, con la quale avrebbe avuto poi tre figli.SingolaritàHawking dedicò molto tempo allo studio delle teorie di Einstein e in particolare alla teoria della gravità. Era interessato a trovare una spiegazione convincente alla capacità della massa e dell’energia di “piegare” lo spazio, un po’ come fa una palla da bowling se viene collocata nel mezzo di un tappeto elastico. Un raggio di luce, attraversando uno di questi campi gravitazionali, tende a cambiare la propria traiettoria e ad assecondare l’avvallamento. Semplificando moltissimo: molta massa ed energia in un solo punto possono portare lo spazio (nel nostro caso il tappeto elastico) a incurvarsi senza fine. Un oggetto sufficientemente denso, come una stella che sta collassando, potrebbe portare lo spazio ad avvolgerla fino a farla sparire, in un punto che tende a essere denso all’infinito e che viene chiamato “singolarità”. E questa singolarità descritta nella teoria della relatività sembra combaciare con il concetto di buco nero (su cui lo stesso Einstein era scettico).
Oggi, grazie alle osservazioni effettuate con telescopi sempre più potenti e sistemi sempre più sensibili, sappiamo che là fuori ci sono centinaia di oggetti talmente massicci e scuri da essere molto probabilmente buchi neri. Si ipotizza che ce ne sia uno gigantesco al centro della Via Lattea, la nostra galassia, e che ce ne siano milioni di altri in giro per l’Universo.A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, Hawking lavorò con altri colleghi per definire meglio i buchi neri, comprenderne le caratteristiche e il loro ruolo nel formare e plasmare l’Universo. Grazie ai suoi studi e alle dispute con alcuni ricercatori, arrivò alla conclusione che qualcosa riesce a sfuggire a questi gorghi apparentemente senza fondo. La radiazione di Hawking offre gli elementi più convincenti per capire il rapporto tra buchi neri e ciò che hanno intorno e il modo in cui sono collegati al resto dell’Universo.La spiegazione di tutto per tuttiIn un’intervista, Hawking raccontò di trovarsi perfettamente a suo agio con lo studio di qualcosa di così astruso e misterioso:Li chiamiamo buchi neri perché sono legati alla paura umana di essere distrutti o ingoiati da qualcosa. Io non ho il timore di finirci dentro. Li comprendo. In un certo senso sento di essere il loro padrone.Per tutta la sua vita, Hawking ha avuto a che fare con concetti complicatissimi, che spesso si incrociano con la filosofia e con la ricerca di un senso e di un’origine per la nostra esperienza. Era però convinto che fosse necessario raccontare a tutti le scoperte di questo tipo, renderle comprensibili a più persone possibile, comunicarle e farle diventare conoscenza condivisa. Anche per questo scrisse numerosi libri di divulgazione, alcuni dei quali divennero best seller nonostante trattassero argomenti così complessi:
Se dovessimo scoprire una teoria completa per tutto, dovrebbe diventare comprensibile per tutti, non solo per un gruppo di scienziati.
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MARIO DI MARTINO, LASTAMPA.IT –
Stephen William Hawking è stato uno dei fisici più originali e creativi degli ultimi decenni, noto soprattutto per i suoi tentativi di unificare la relatività generale con la teoria quantistica e per i contributi alla cosmologia relativistica. La maggior parte del lavoro scientifico di Hawking ha riguardato la natura dei buchi neri e i suoi studi sulla relatività generale avvalorano la teoria che l’Universo ha avuto origine poco meno di 14 miliardi di anni fa da un’immane esplosione, il Big Bang. Grazie alle sue straordinarie capacità divulgative, nelle conferenze e nei suoi numerosi libri è riuscito a spiegare in maniera semplice e comprensibile concetti molto astrusi e di estrema complessità, come i buchi neri, il Big Bang e la curvatura dello spazio, e per questo è anche uno degli scienziati più noti ai «non addetti ai lavori».
Tra i suoi libri più famosi basti ricordare Dal Big Bang ai buchi neri, 1988; Buchi neri e universi neonati, 1993; The Nature of Space and Time, 1996; La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo, 2004; La grande storia del tempo, 2005. I suoi studi universitari si svolsero prima a Oxford e poi a Cambridge, dove, ottenuto il dottorato, vi rimase come ricercatore, diventando nel 1979 Lucasian Professor of Mathematics, posizione occupata nel passato da famosi scienziati che hanno lasciato il loro nome nella storia della scienza, come Isaac Newton e Isaac Barrow.
Hawking dall’età di 17 anni era affetto da un gravissimo handicap della parola e dei movimenti, dovuto a una malattia incurabile del sistema nervoso, la sclerosi amiotrofica laterale, una rara malattia che distrugge le cellule nervose e che provoca la paralisi progressiva dei muscoli motori volontari. Una patologia che costringeva un cervello fuori dal comune in un corpo che gli impediva di comunicare in maniera efficace con il mondo esterno. Ha infatti trascorso buona parte della sua vita su una sedia a rotelle e riusciva a parlare con un sofisticatissimo sintetizzatore vocale, che gli permetteva di comunicare con il mondo esterno, sia pure con notevole lentezza. Stephen Hawking, come accennato, ha concentrato i suoi studi principalmente sulla natura della gravità e sul tentativo di unificare questa forza con le altre tre forze fondamentali dell’Universo (la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole), uno sforzo in cui anche Einstein fallì. Una teoria originale, e forse la più famosa, che Hawking propose nel 1974, riguarda la cosiddetta «evaporazione dei buchi neri», che rappresenta la prima e completa teoria che cerca di integrare la meccanica quantistica con la relatività. In sintesi, Hawking ha ipotizzato che i buchi neri, diversamente da quanto si pensasse sino ad allora, emettono energia la cui temperatura è inversamente proporzionale alla loro massa.
Questa teoria si basa sulla meccanica quantistica, secondo cui lo spazio non è mai completamente vuoto, bensì interessato da «fluttuazioni quantistiche». Da queste fluttuazioni del vuoto, per frazioni infinitesimali di secondo, emergono delle coppie formate da una particella e dalla relativa antiparticella che «prendono a prestito» dell’energia per poi incontrarsi e annichilirsi, restituendo l’energia assorbita in precedenza. Nelle vicinanze «dell’orizzonte degli eventi» di un buco nero, cioè la superficie che circonda questi oggetti collassati dove la velocità di fuga è uguale a quella della luce, può accadere che, a causa della intensissima forza di gravità, una delle particelle venga risucchiata dal buco nero prima di annichilirsi, mentre l’altra particella potrebbe incontrarsi con una particella esterna all’orizzonte degli eventi, dando luogo a un’emissione di energia sotto forma di raggi X o raggi gamma, la cosiddetta «radiazione di Hawking». Tale emissione, secondo Hawking, sarebbe responsabile di una perdita di massa continua da parte del buco nero, per cui questo si ridurrebbe molto lentamente fino a scomparire del tutto. L’originalità di questa concezione potrebbe essere definita rivoluzionaria, si pensi infatti che, in precedenza, si pensava che i buchi neri fossero come dei pozzi senza fondo, che fagocitavano materia senza lasciar sfuggire nulla dalla loro superficie, neppure la luce. Per i suoi contributi nel campo dell’astrofisica Stephen Hawking ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui i principali sono la Medaglia Eddington (1975), la Medaglia Albert Einstein (1979), la Medaglia d’oro della Royal Astronomical Society (1985), la Medaglia Pio XI dell’Accademia Pontificia delle Scienze (1975) e la Medaglia Paul Dirac (1987), ma non il premio Nobel per la Fisica.
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EMILIO SANTORO, AGI.IT –
Da oggi, l’universo è un luogo più buio. Perché è venuto a mancare l’uomo che più di ogni altro lo ha illuminato con la forza del proprio pensiero. Che ha dato luce anche al mistero oscuro dei buchi neri perché ne ha prevista l’evaporazione tramite una radiazione che porta il suo nome.
Stephen Hawking ci ha lasciati. E ha lasciato un vuoto nel mondo e nel mondo delle scienze che sembra somigliare a quello che permea l’universo da lui studiato. L’universo che egli ci ha portato nelle case, che ci ha fatto comprendere, perché è stato grande anche nella divulgazione scientifica. Come non ricordare, infatti, l’enorme successo di pubblico del suo libro più famoso, “Dal Big Bang ai buchi neri ‒ Breve storia del tempo” nella sua prima edizione del 1988 (Rizzoli) che è ancora ai giorni nostri oggetto di ristampa?
Einstein ci ha spiegato che materia ed energia sono equivalenti. E questo è certamente vero: la fisica si fonda su quella relazione famosa. Ma per Hawking non è stato così. L’energia della sua mente è stata superiore alla materia del suo corpo, che l’ha tradito fin da quando era giovane.
Un corpo che sembrerebbe aver scelto di annullarsi come sacrificio estremo per cedere tutto alla mente. Un corpo che lo avrebbe condotto alla morte in tempi brevi e che invece, straordinariamente, gli ha concesso la possibilità di far vivere quella mente fino ai giorni nostri per regalare all’umanità altre conquiste del sapere. Come se il tempo stesso, per quell’uomo colpito così duramente dalla vita, si fosse comportato da galantuomo, si fosse dilatato un po’ come accade per gli effetti relativistici che avvengono sull’involucro dei buchi neri, l’orizzonte degli eventi. E per noi è stato un dono, pur comprensivi per il suo stato di sofferenza fisica.
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Oggi è l’orizzonte di un evento triste. Che la coincidenza fa cadere nel giorno che celebra pi greco (Pi Day, perché nella notazione americana il 14 marzo viene scritto come 3/14) ma anche nell’anniversario della nascita di Albert Einstein. Il pi greco che potrebbe definire la geometria dello spaziotempo della relatività generale del grande genio, agitata dai parossismi dei buchi neri studiati da Hawking.
C’è uno strano insieme di simboli, in questo giorno. Il giorno che purtroppo ci priva di una mente prodigiosa a caccia di una “Teoria del tutto” che per Einstein poteva corrispondere alla sua caccia alla “Teoria del campo.
La grande “incompiuta” della Fisica, l’unificazione tra la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica. Due fisiche che trovano molto probabilmente il loro “compromesso” proprio oltre l’orizzonte degli eventi dei buchi neri che però, per loro stessa natura, sono estremamente restii a mostrarci la loro struttura più intima.
Per trent’anni, è stato titolare della cattedra lucasiana di matematica, la stessa che fu di Newton. Ed entrambi hanno potuto vedere lontano perché entrambi hanno camminato “sulle spalle di Giganti”. Egli ci ha spiegato che nel grumo primordiale che rappresenta la mappa della radiazione cosmica di fondo dell’universo trecentottantamila anni dopo il big bang ‒ così come hanno mostrato le sonde nelle collaborazioni WMAP e Planck ‒ le minuscole fluttuazioni di densità presenti raffigurano i semi dai quali si sarebbero poi evolute stelle e galassie, fino a produrre anche noi esseri umani.
Mi piace pensare che in quell’indistinto patchwork di colori, a rappresentare i grumi di densità, di differenze di temperatura, ci sia anche l’idea di noi, l’idea di un Hawking che avrebbe permesso che comprendessimo un po’ più delle nostre origini “assolute”, miliardi di anni dopo quell’istante.
Con la testa piegata, come facciamo un po’ tutti, sui nostri smartphone, ormai il cielo non lo osserviamo più. Eppure, proprio lui ci ha invitati a “guardare le stelle, non i nostri piedi”. Ci ha messo in allarme sottolineando il rischi nell’inviare messaggi o sonde nello spazio interplanetario (e adesso anche interstellare) con informazioni sulla nostra esistenza perché una eventuale civiltà extraterrestre più avanzata di noi potrebbe trattarci come i nativi americani quando arrivarono gli europei nel XV secolo.
Ho un sogno. Per tutti. Soprattutto per bambini e per ragazzi. Per onorare la sua memoria. Per una sera, ascoltiamo il suo invito. Lasciamo a casa smartphone e playstation, usciamo all’aperto, magari quando il clima sarà più tiepido, e alziamo tutti gli occhi al cielo in una zona dove non sia presente estinzione notturna dovuta alle luci artificiali e... torniamo a guardare le stelle. È davvero una preghiera. E sarebbe bellissimo farlo tutti insieme.
Torniamo ad ascoltare il silenzio, il canto dei grilli che ci faranno compagnia. L’esperienza del cielo è una delle più travolgenti, per lo spirito. “Si sa, nell’attimo in cui ti scende dentro, l’universo può occuparti soltanto l’anima, diventando la misura con cui giudicare poi tutto il resto. E quando l’universo decide, per l’uomo tutto il resto è solo Fato”, se mi è consentita un’autocitazione.
Lo stesso Oscar Wilde lo sottolinea: “Siamo tutti nati nel fango ma alcuni di noi guardano alle stelle”.
Adesso sappiamo chi.
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FRASI CELEBRI –
«Uno, ricordatevi sempre di guardare le stelle, non i piedi. Due, non rinunciate al lavoro: il lavoro dà significato e scopo alla vita, che diventa vuota senza di esso. Tre, se siete abbastanza fortunati a trovare l’amore, ricordatevi che è lì e non buttatelo via».
«Cerca di dare un senso a quello che vedi e chiediti quello che fa vivere l’universo. Sii curioso».
«È quando le aspettative sono ridotte a zero che si apprezza veramente ciò che si ha».
«Servirsi di Dio come di una risposta alla domanda sull’origine delle leggi equivale semplicemente a sostituire un mistero con un altro».
«La più rimarchevole proprietà dell’universo è di aver generato creature in grado di porre domande».
«Siamo solo una specie evoluta di scimmie su un pianeta minore di una stella media. Ma siamo in grado di capire l’universo. Questo ci rende qualcosa di molto speciale».
«C’è una fondamentale differenza tra la religione, che è basata sull’autorità, e la scienza, che è basata su osservazione e ragionamento. E la scienza vincerà perché funziona».
«Le persone silenziose sono quelle che hanno le menti più rumorose».
«La vita sarebbe tragica se non fosse divertente».
«Considero il cervello come un computer che smetterà di funzionare quando i suoi componenti si guastano. Non c’è paradiso né aldilà per i computer rotti. L’aldilà una favola per le persone che hanno paura del buio».
«Non ho idea del mio quoziente. Le persone che si vantano del proprio quoziente intellettivo sono dei perdenti».
«Le mie aspettative sono state ridotte a zero quando avevo 21 anni. Tutto da allora è stato un bonus».
«Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza».
«Se gli alieni dovessero venire a farci visita, il risultato sarebbe come quando Colombo sbarcò in America: in quell’occasione non andò bene ai nativi americani».
«L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento».
«Una delle regole fondamentali dell’universo è che nulla è perfetto. La perfezione semplicemente non esiste… Senza imperfezione, né tu né io esisteremmo».
«Non ho paura della morte, ma non ho fretta di morire».
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L’OSSERVATORE ROMANO –
È morto il 13 marzo, nella sua abitazione a Cambridge, il noto astrofisico Stephen Hawking. Aveva 76 anni. Era nato l’8 gennaio 1942 a Oxford, dove sua madre aveva trovato riparo per sfuggire ai bombardamenti dei nazisti su Londra. Giovanissimo — nonostante fosse affetto da Sla, grave e invalidante malattia che avrebbe marcato tutta la sua vita — si era affermato in ambito accademico e scientifico. A soli 32 anni era già membro della Royal Society. E dal 1979, titolare della cattedra di matematica all’università di Cambridge, la stessa tenuta da Isaac Newton. Ha mantenuto l’incarico fino al 2009. Si proclamava ateo, sostenendo che la più semplice spiegazione all’esistenza dell’universo fosse nella negazione di un Dio creatore.Particolarmente noti i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo. Nel 1974 Hawking dimostrò come i buchi neri possono essere descritti dalle leggi della termodinamica con emissione di radiazioni che portano all’evaporazione del buco nero stesso secondo le leggi della meccanica quantistica: tale effetto (in seguito denominato “radiazione di Hawking”) ha trovato conferma sperimentale nel 2010. Si tratta di uno studio che armonizza brillantemente i dati della meccanica quantistica con quelli della teoria della relatività di Einstein. Il suo lavoro è poi proseguito fino a dimostrare (con la collaborazione di altri matematici) che i buchi neri sono caratterizzati da tre proprietà: massa, momento angolare e carica elettrica.Nel 1986 fu nominato membro della Pontificia accademia delle scienze. La sua opera più conosciuta in campo divulgativo è Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo scritta nel 1988. Tra i riconoscimenti conferitigli, l’Albert Einstein Award e il Wolf Prize.
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IL FOGLIO.IT –
E’ morto a 76 anni il fisico Stephen Hawking, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri. Ad annunciarlo è stata l’Università di Cambridge. La sclerosi laterale amiotrofica, con la quale ha convissuto per gran parte della sua esistenza, non gli ha impedito di lavorare come docente e di svolgere i suoi studi su relatività, quantistica e cosmologia. Il fisico è morto nella sua casa a Cambridge nelle prime ore della mattina. "Siamo profondamente addolorati per la scomparsa oggi del nostro amato padre", hanno dichiarato in un comunicato i figli Lucy, Robert e Tim. "Era un grande scienziato e un uomo straordinario il cui lavoro e il cui lascito resteranno per molto tempo". I figli hanno lodato "il coraggio e la perseveranza", del padre il cui "acume e umorismo" hanno ispirato la gente nel mondo, hanno sottolineato. "Una volta disse che ’un universo non sarebbe molto, se non fosse la casa delle persone che ami. Ci mancherà per sempre’", hanno concluso. Ripubblichiamo un ritratto di Hawking pubblicato nel Foglio nel giugno del 2009, scritto da Erica Scroppo.
Anno 1979, Cambridge University Library. Mi imbatto in una carrozzella con sopra una figura piccola e contorta, ma che emana forza e carisma. “È Stephen Hawking – dice mio marito – un genio dell’astrofisica che non può ottenere il Nobel perché i buchi neri non sono visibili né dimostrabili. Ha una malattia incurabile che porta alla tomba in poco tempo, ma lui sopravvive da 15 anni”. Più di vent’anni sono passati, Stephen Hawking non ha ancora avuto il Nobel, ma è sempre qui a Cambridge, ed è divenuto anche una celebrità. Ha perso l’uso della parola, comunica solo grazie a un computer-robot che dà voce ai suoi pensieri: per anni con accento americano (“Salve, scusate l’accento” era il saluto abituale) e timbro metallico da androide; da poco con baritonale voce inglese. I suoi movimenti sono ridotti a zero ma la sua mente è sempre all’opera: è appena uscito in Inghilterra “L’universo in un guscio di noce”, che eguaglierà il successo del suo primo libro divulgativo, “Breve storia del Tempo”, che ha venduto oltre 10 milioni di copie.
È salito sulla cattedra di Newton a soli 37 anni, come professore di Matematica a Cambridge, e da questa università non si è più spostato, anche se qui guadagna molto meno di quanto gli offrirebbero altrove, specie in America. Amore duraturo. Fisicamente Stephen Hawking è una sfida alla scienza. Fino al 1962, però, era un ragazzo normalissimo, proveniente da una famiglia in cui capacità intellettuali e impegno politico andavano a braccetto. Cresciuto a St. Albans, tra Londra e Cambridge, ma nato a Oxford l’8 gennaio 1942, anniversario della morte di Galileo. Gli Hawking avevano fama di eccentrici. Il padre, medico e ricercatore di malattie tropicali, lungo e taciturno, veniva visto spesso inseguire sciami di api che allevava e dal cui miele traeva strani liquori. Giravano su un vecchio taxi londinese. La madre negli anni 30 era stata comunista e portava i figli alle marce antinucleari, la casa era disordinata e a tavola ognuno sedeva con un libro aperto davanti. Mangiavano minestre di ortiche, la stanza di Stephen sembrava la grotta di un mago. Come altri geni, da Leonardo a Einstein, Stephen era dislessico e ci mise molto a imparare a leggere. Il che non gli impedì di ottenere giovanissimo una borsa per studiare Fisica a Oxford. Si distinse soprattutto per l’allegria goliardica e l’attivismo antinucleare. Bertrand Russell era il suo eroe. Gran ciuffo di capelli e occhiali, acutissimi e beffardi occhi grigio-azzurri, sorriso disarmante e sense of humour, era un ragazzo popolare. La carriera accademica fu meno brillante, ma Stephen riuscì comunque a laurearsi con un First, un 110 e lode. “Se mi date di meno resterò qui a far ricerca” pare che abbia detto alla commissione, “se invece mi date un First andrò a Cambridge e avrete il vantaggio di una spia in campo nemico”.
Forse volevano liberarsi di uno studente geniale ma imprevedibile e piantagrane, fatto sta che Stephen prima del suo 21esimo compleanno si ritrovò ricercatore nel dipartimento di Cosmologia di Cambridge. Si indirizzò però verso la Fisica teorica. Poco dopo gli venne diagnosticata una forma atipica di una malattia a tutt’oggi incurabile, l’atrofia progressiva dei neuroni delle cellule motorie che colpisce la spina dorsale e la parte del cervello che dirige i muscoli volontari. Per un po’ Wagner e l’alcol sono i soli compagni della sua cupa depressione. Ma poi decide di combattere la malattia: da quel momento la ignorerà. Lo aiuta l’incontro con una timida liceale dai capelli rossi. Jane diverrà sua moglie nel 1965, l’anno in cui lui ottiene il Phd a Cambridge e giunge alla conclusione che la morte non è imminente. Ammette: “Prima della malattia ero molto annoiato dalla vita; bevevo un po’ troppo e non credo di aver studiato niente. Quando invece le aspettative sono ridotte a zero, si apprezza tutto quel che si ha”.
Perduto l’uso della scrittura sviluppa la già prodigiosa memoria; è capace di dettare dal nulla 50 pagine di equazioni e il giorno dopo rettificare un piccolo errore di calcolo. Per essere un uomo che non riesce a muoversi ha viaggiato più di tanti suoi colleghi; per uno che non può parlare, ha tenuto più conferenze di chiunque altro. Non può scrivere, ma ha pubblicato decine di trattati, saggi, documenti. Col passare degli anni il computer è divenuto la sua voce, la carrozzella il suo corpo. La guida a velocità folle, la fa volteggiare, la usa per schiacciare i piedi di chi gli sta antipatico. La nascita del primo figlio, Robert, nel 1967, gli dà un’ulteriore carica di energia. Stephen è presente al parto e quando torna a casa è così sconvolto dall’emozione che i vicini credono che la moglie sia morta. L’arrivo di Lucy, nel 1970, suggella la vittoria sul male. La famiglia modello, con il genio in carrozzella, la bella moglie e gli splendidi pargoli biondi diventa l’icona pop del mondo scientifico. Nel 1979 arriva anche Tim, il bebè miracoloso. Gli assomiglia più di tutti, nonostante sia altissimo, motivo per cui non potrà fare il pilota di Formula Uno, come avrebbe sognato.
La passione per la guida spericolata è ereditaria: Jane ricorda un terrificante viaggio da St. Albans a Cambridge e ritorno, da fidanzati: lui guardava tutto tranne la strada e non rispettava nessun divieto, proprio come faceva suo padre. Nulla lo turba, nulla lo spaventa, ogni avventura lo tenta e resta nell’animo lo scanzonato ribelle che ancora oggi scherza con gli studenti e non vuole essere una figura autoritaria e lontana. Partecipa alle loro feste e balla pure, turbinando sulla carrozzella fino alle ore piccole, spericolato e irruente come a vent’anni. Nel suo studio campeggia un poster di Marilyn Monroe, “A qualcuno piace caldo” è il suo film preferito. Quando, nel consegnargli l’ennesima medaglia, un collega americano notò che, avendo un figlio con la metà degli anni della malattia, “ovviamente non tutto in Stephen è paralizzato”, il pubblico si raggelò, ma a lui la battuta piacque moltissimo.
Niente lo diverte quanto la possibilità a un ricevimento importante di essere irriverente o provocatorio, anche con il presidente degli Stati Uniti o il premier israeliano. È stato premiato dal Vaticano e ricevuto due volte dal Papa, nonostante le sue proteste per l’amato Galileo. Quando ottenne la prestigiosa onorificenza di Companion of Honour della regina e fu ricevuto da Elisabetta privatamente, si buttò con tanto entusiasmo nel salone da rischiare di travolgerla e rimase intrappolato in uno dei pesanti tappeti. Perfino la compostissima sovrana per qualche secondo sembrò agitata. Rimpiange di non esser mai riuscito a pestare i piedi della Thatcher, non la poteva soffrire. Fu attendendo Tim nei giardini della scuola, che Hawking conobbe un tecnico di computer. Fu lui a creare una versione portatile del sintetizzatore della sua voce, adattandolo alla carrozzella. A poco a poco la fama portò soldi e il male peggiorò; accanto alla moglie arrivò un esercito di infermiere per accudirlo 24 ore su 24. Tra queste fu assunta la moglie dell’amico informatico, Elaine Mason.
Arriviamo al 1991. Jane ormai è costretta a ricordare al mondo che “Steve non è Dio”, e pare che lui non sia sempre d’accordo. Finché apprende con costernazione che “Dio” sta per lasciarla, preferisce l’infermiera, che invece è pronta a genuflettersi in adorazione davanti al genio. Jane insegna Letteratura spagnola, canta, è una devota anglicana; sostiene che la celebrità può dare alla testa anche a un genio, specie se adulato. Il professor Hawking si definisce un socialista di destra. È favorevole all’aborto nel caso di malattie ereditarie diagnosticabili (la sua non lo è) e pensa che la più grande minaccia per il genere umano sia la possibilità di un virus geneticamente manipolato. Mette come seconda minaccia dell’umanità il surriscaldamento globale, perciò ha preso posizione a favore del trattato di Kyoto. Anni fa dichiarò: “Siamo creature così insignificanti in un pianeta minore di una stella mediocre ai margini di una tra centomila milioni di galassie. Quindi è difficile credere in un Dio che possa preoccuparsi per noi o perfino accorgersi della nostra esistenza”. Più che ateismo, è forse un concetto troppo alto e rigoroso della Divinità. Forse un’estremizzazione di quello che i nonni paterni, metodisti dello Yorkshire, e materni, presbiteriani scozzesi, hanno insegnato ai loro figli.
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