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 2018  marzo 14 Mercoledì calendario

Martina il ricucitore Pd: «Ascolteremo il Colle». Capigruppo prima grana

Roma A Roma Maurizio Martina vive in un appartamento vicino alla Camera con due amici parlamentari. «Il mio grande rimpianto è non aver fatto l’Erasmus». Perciò rivive il clima cameratesco da politico, anche se ha quasi 40 anni, è sposato con Mara e ha due figli. I coinquilini sono Matteo Mauri e Roberto Rampi, lombardi come lui. La sera mangiano pizza Margherita o pasta, i loro piatti preferiti.
Il reggente del Pd è un uomo di partito. Ha fatto tutta la gavetta del funzionario-dirigente: segretario regionale della Sinistra giovanile (la primavera dei Ds), poi la stessa carica tra i grandi, poi segretario regionale del Pd. È stato consigliere comunale nel paese dove è nato, Mornico al Serio nel bergamasco. Ma prima, agli inizi dell’eta adulta, ha lavorato in fabbrica diventando subito delegato della Fiom.
I genitori, ora in pensione, erano operai. Ha due fratelli più grandi. Sono cresciuti in una cascina, la San Carlo. Lì Ermanno Olmi ha girato L’albero degli zoccoli. È noioso, dicono. Ma i bergamaschi capita che appaiano così: sgobboni, dormono poco, non fanno tante battute. Ai compagni che lo conoscono da quando era un ragazzino piace. «Vecchia scuola. Avete sentito il discorso in direzione? Si parte dalla situazione internazionale, si cerca di tenere tutti dentro, si indica una strada. Ci hanno insegnato a fare in questo modo, al partito», racconta Vinicio Peluffo, ex deputato di Rho.
Il partito sarebbe quel corpaccione del Pci, evoluto in varie forme. Nel caso di Martina è condito in salsa lombarda: riformista, vicino alla classe operaia ma anche agli imprenditori. Senza di loro il lavoro non c’è. Martina è amico di Alberto Bombassei, il titolare della Brembo. L’idea del Kilometro rosso, un parco scientifico che corre lungo l’autostrada, l’hanno studiata assieme. Martina ha ottimi rapporti con Antonio Percassi, industriale e proprietario dell’Atalanta, la squadra della quale Martina è tifosissimo. Si dice che abbia un legame di lunga data con la Compagnia delle Opere, il braccio finanziario di Cl, perché il sindaco di Mornico era un loro associato.
In effetti, Pier Luigi Bersani, quando fu eletto eurodeputato, chiese aiuto a Martina per trovare i voti in quel bacino. E i voti arrivarono. Durante la campagna elettorale, Bersani, che si vanta di essere un talent scout, osservò le qualità del reggente: poche parole, cura del territorio e connessione con il tessuto produttivo. Le valli sono piene dei capannoni tanto cari all’ex segretario. «È un ricucitore», dice di lui Filippo Penati, che lo ha portato a Roma, è stato il suo mentore e col quale il dialogo è continuato anche negli anni bui della vicenda giudiziaria (conclusa con l’assoluzione) che ha coinvolto l’ex presidente della Provincia di Milano.
Sì, è un ricucitore raccontano un po’ tutti. Ha gestito la sconfitta del Pd alle primarie milanesi e guidato la vittoria di Giuliano Pisapia. Da sottosegretario del governo Letta non ha mollato sull’Expo ( con la spinta decisiva di Renzi) e da ministro ha tenuto viva quell’esperienza sistemando le liti sulla destinazione dell’area una volta finita l’Expo. Beppe Sala è il suo punto di riferimento come Martina lo è per il sindaco di Milano nella politica romana. Con Bersani invece ha rotto definitivamente. Non condivise il voto contrario dei bersaniani, costruì una sua corrente e la fedeltà alla linea lo ha portato alla vicesegreteria del Pd con Renzi. «Ne ho viste di persone cambiare ma come Martina nessuno mai», scrisse su Facebook il dirigente di Liberi e uguali Davide Zoggia.
Da ministro dell’Agricoltura – si è dimesso ieri – ha avuto il gradimento del settore. Studia i dossier, c’è sempre e soprattutto è durato a lungo, 4 anni, abbastanza per imparare la materia. Le associazioni di categoria gli rimproverano solo di aver avuto un rapporto privilegiato con la Coldiretti e di aver snobbato la Confagricoltura e le Coop. Ma è difficile resistere alla potenza dell’ala cattolica del mondo agricolo.
Adesso ha altri problemi: le correnti, i caminetti, il fantasma di Renzi, la sconfitta elettorale, la sfida del governo o dell’opposizione. La prima grana è l’elezione dei capigruppo. Andrea Orlando ha aperto la prima crepa: «Se la prospettiva è eleggere Rosato e Marcucci capigruppo la missione di Martina è già fallita. Non metto veti, ma è importante la condivisione». Martina deve giocare sul filo del renzismo condiviso fino a lunedì e del nuovo capitolo. Parte da qui: «Ascolteremo il presidente Mattarella con rispetto». Invece di rimanere ancorato al no, con i 5 stelle sceglie un’altra strada: «Vogliono parlare con noi? Faremo una nostra proposta». La sofferenza del Pd al Sud la spiega così: «Abbiamo sottovalutato il disagio del Sud. Siamo stati percepiti come un corpo troppo legato al potere. Senza spocchia e con umiltà, bisogna interrogarsi sul motivo che spinge i cittadini di quelle zone a fare la fila per il reddito di cittadinanza». Il reggente, dunque, fa persino autocritica.