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 2018  marzo 14 Mercoledì calendario

Deficit, debito e bassa crescita Ecco cosa rischiamo

ROMA Torna ad accendersi l’attenzione sull’Italia. Per ora lo spread, protetto dall’ombrello anti-speculazioni della Bce, continua a volteggiare tranquillo a quota 137. Ma l’ «incertezza» sulla situazione politica del nostro Paese e sulla costituzione del nuovo governo, rilevata dal Commissario Pierre Moscovici, fanno riemergere il fastidioso appellativo di «osservati speciale».
Nonostante la tregua concessa per la presentazione del Def, il documento triennale di programmazione, e l’assicurazione che il verdetto sulla manovra-bis arriverà soltanto a maggio, una volta costituito il nuovo esecutivo, Bruxelles comincia dare segni di nervosismo.
Sebbene siano state deglutite senza batter ciglio promesse elettorali in grado di scassare ogni bilancio, il vento ora rischia di cambiare di fronte al gioco al rialzo di leghisti e grillini. Non sono passate inosservate le dichiarazioni di ieri di Salvini e Di Maio, uno a Strasburgo e l’altro in un incontro con la stampa estera, che hanno detto che intendono «ignorare» o «superare» il tetto che limita il deficit pubblico al 3 per cento del Pil.
Una professione di scetticismo sulle regole europee che in questa fase non aiuta. Siamo sotto giudizio per una «deviazione significativa» sui conti pubblici che potrebbe costarci nelle prossime settimane una manovra-bis da 3,4 miliardi e viene data per assai probabile la riapertura del rapporto sul debito in base all’articolo 126.3 del Trattato che, tra l’altro, interdice l’accesso alla flessibilità di bilancio.
L’agenda delle urgenze non finisce qui. Sarà necessario fare scelte rapide sull’aumento dell’Iva di un paio di punti percentuali dal 1° gennaio del prossimo anno. L’aliquota ridotta salirebbe dal 10 all’11,5 per cento, quella ordinaria dal 22 al 24,2 per cento. Misura che colpirebbe, come ha notato la Coldiretti, carne, pesce, uova, riso, zucchero e vino. Per evitarla ci vogliono 12,4 miliardi. Una situazione già complessa al netto di flat tax, reddito di cittadinanza e abolizione delle legge Fornero che hanno segnato a colpi di miliardi la campagna elettorale. È quasi superfluo osservare che il quadro dei conti pubblici che viene fuori dalla nota al Def del novembre scorso e che Gentiloni-Padoan riproporranno in semplice veste «tecnica» tra meno di un mese, fissa obiettivi ben più rassicuranti, almeno nelle intenzioni: basta ricordare che il rapporto deficit-Pil del 2019 è previsto scendere sotto l’1 per cento.
Tornare «sorvegliati speciali» ci espone al rischio di una botta speculativa che di solito arriva senza farsi annunciare, «too late and too fast», come dicono sui mercati, e colpisce duro. Non sarebbe il caso, perché l’Ocse proprio ieri ha ricordato che l’Italia continua a non cogliere pienamente i frutti della ripresa europea: mentre le previsioni di Pil della Germania sono state portate al 2,4 per cento e quelle della Francia al 2,2 per cento, l’Italia è rimasta ferma all’1,5 e il prossimo anno andrà peggio.
Tutto ciò mentre per i nostri «soci» del «Club Med», gli, spagnoli si profila un invidiabile recupero della «A» nei cruciali rating di Standard & Poor’s.
L’ormai irreversibile uscita quest’anno dal quantitative easing della Bce di Mario Draghi, la prospettiva di un aumento dei tassi della Fed e il protezionismo dilagante di Trump, non contribuiscono a diradare le nubi sull’economia internazionale e sul nostro futuro. Peraltro non potremmo più godere dei due assi che ci hanno permesso di gestire la politica economica negli ultimi cinque anni: la flessibilità concessa da Juncker per 29,7 miliardi dal 2015 al 2017 e i 20 miliardi di spesa per interessi risparmiati dal 2012 al 2017.