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 2018  marzo 14 Mercoledì calendario

Riserve idriche a rischio. Crescono i consumi occulti

«La gestione della risorsa acqua nel nostro sistema di vita può essere definita con una parola: folle». Non trova altri termini Pietro Laureano, architetto, consulente Unesco per le zone aride e presidente di Icomos Italia (International Council on Monuments and Sites). «È il modello stesso a essere sbagliato: dipendiamo da grandi reti di canalizzazione per depurare l’acqua e renderla potabile, poi la sprechiamo usandola negli sciacquoni. Infine la depuriamo di nuovo e la buttiamo nei fiumi che scaricano in mare. Costi altissimi: poi paghiamo 2 euro per una bottiglietta da mezzo litro. Se non è follia questa...».
Laureano, tra i relatori a Labirinto d’acque, summit internazionale per la Giornata mondiale dell’acqua, che si svolge dal 21 al 24 marzo presso il Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci a Fontanellato (Parma), è tra i massimi esperti mondiali di architettura delle zone desertiche, dove si sono sviluppate tecniche che hanno permesso la sopravvivenza nelle oasi e lo sviluppo di culture specifiche in aree dove l’acqua è la risorsa più preziosa. In una fase in cui i cambiamenti climatici mettono a rischio le riserve idriche, recuperare le conoscenze tradizionali delle civiltà basate sull’impiego di ogni rivolo d’acqua disponibile è una strada che non dobbiamo trascurare. Anche perché la quantità di acqua che consumiamo, in realtà, è molto maggiore di quella che usiamo per cucinare e per lavarci. 
«Noi italiani consumiamo 6 mila litri di acqua al giorno», assicura Marta Antonelli, responsabile del programma di ricerca del Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn) e nell’elenco dei relatori di Labirinto d’acque. Una quantità strabiliante e quasi incredibile. «Il 90% dei nostri consumi idrici, la cosiddetta impronta idrica individuale, è riconducibile all’agricoltura e agli oggetti che utilizziamo. Si tratta di acqua occulta, impiegata nel ciclo di crescita dei vegetali e degli animali di cui ci cibiamo e nei processi industriali, per esempio degli abiti che indossiamo». 
Oltre alle cifre del consumo idrico primario (l’acqua che esce dai nostri rubinetti) va considerata «l’acqua virtuale», un concetto lanciato negli anni Novanta dal britannico Tony Allan che ha rivoluzionato il dibattito scientifico internazionale sull’acqua. 
«Il tema dell’acqua virtuale è entrato solo di recente nel mondo accademico italiano», aggiunge Antonelli, «ma si sta diffondendo rapidamente anche grazie alla doppia piramide alimentare e ambientale messa a punto dal Bcfn, basata sulla dieta mediterranea, che lega il valore nutrizionale e l’impatto ambientale degli alimenti, in cui risulta che i cibi a minore impatto ambientale sono anche quelli più consigliati dai nutrizionisti». Per affrontare il discorso sulla risorsa acqua occorre una considerazione complessiva. 
«L’acqua dolce non è scarsa, ma è distribuita in modo non omogeneo», chiarisce Laurano, che fa dell’approccio olistico al tema il punto focale della sua opera di architetto e urbanista. «Dobbiamo ricreare l’equilibrio tra noi e il mondo naturale partendo dalla comprensione profonda del ciclo dell’acqua. Per prima cosa dobbiamo evitare lo spreco e favorire il riciclo, non solo dell’acqua. Io sono nato a Matera e ho studiato il sistema di gestione idrica dei Sassi, capace di sfruttare, senza sprecarla, ogni goccia che cadeva dal cielo. Era una cultura, come quella delle oasi, dove l’acqua aveva una valenza anche sacra. Se la nostra civiltà vuole avere un futuro, penso che dobbiamo recuperare il concetto di sacralità dell’acqua», ammonisce Laureano. 
«E porlo come fondamento, insieme al riciclo e al riutilizzo, di un modo diverso di progettare le nostre abitazioni e le nostre città». Forse anche di un modo diverso di ripensare noi stessi.