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 2017  dicembre 16 Sabato calendario

Il Natale impossibile di un abete in città

Vecchio, triste, brutto e pure sfortunato: “Spelacchio”, come l’ironia dei romani ha ribattezzato lo spoglio abete di Natale in piazza Venezia, è un po’ l’emblema di questa città. In teoria dovrebbe essere bellissimo, ma nemmeno gli addobbi e le luci che si illuminano quando cala il sole mascherano gli spazi vuoti sui rami di questo gigante di 21 metri che, come i suoi “cugini” in giro per l’Italia, da Milano a Bologna fino al vicino di casa più prossimo, quello un po’ più rigoglioso di piazza San Pietro, in Vaticano, è ormai morto.
Il suo destino è finire tra l’umido dei nostri rifiuti. Forse solo un po’ più rapidamente degli altri.
Perché è vero che “Spelacchio” è un caso esemplare di come non vanno trattati gli alberi. Ma è pur vero che chi ama le piante sa che nessuno degli abeti che compaiono nelle nostre piazze a inizio dicembre e durano lo spazio delle feste ha margini per continuare la sua vita. E chi dice il contrario dice una bugia, la stessa che ogni anno ci si racconta quando si parla degli alberi di Natale che potranno essere ripiantati o, addirittura, riutilizzati.
La causa è nel loro essere così alti, così mastodontici, in una gara tra città che non fa il bene delle piante. Per sopravvivere, un abete dev’essere piccolo o, al massimo, non superare i due metri. E poi dev’essere espiantato a regola d’arte. Il che vuol dire che va individuato almeno con due anni di anticipo. E, da qui, “preparato”: significa che le radici vanno tagliate per tre quarti della zolla, in modo tale che, due anni dopo, la pianta avrà creato un apparato di piccole radici nuove che possono consentire la sopravvivenza dell’abete. È un po’ quello che accade nei vivai. Con un albero di 20 metri e più, invece, non se ne parla proprio. All’espianto possono resistere giusto gli ulivi, non certo gli abeti.
Lo “Spelacchio” di piazza Venezia, poi, per arrivare così oggi, a poco più di una settimana dalla sua inaugurazione, deve aver viaggiato molto male dalla Val di Fiemme, dove è stato prelevato. Con tutta probabilità è stato imballato in maniera sbagliata. Oppure, rispetto alle foto mostrate nel momento dell’espianto in cui si vede un abete non certo così spoglio, ci deve essere stato un caso di “scambio in culla”.
Comunque sia, quell’abete rosso è già finito su un binario morto e, probabilmente, a Natale sarà ridotto anche peggio. Magari le piogge di questi giorni possono aiutarlo a resistere un altro po’. Ma se arrivasse una giornata di tramontana che dissecca pianta e aghi, persino una troppo assolata, allora quello potrebbe essere il colpo di grazia. Per resistere avrebbe dovuto essere portato giusto pochi giorni prima, tenuto umido, curato. E invece, in genere, questi abeti vengono trasportati senza radici, appoggiati in un vaso per far finta che siano vivi per poi attendere la fine delle feste per la rimozione. Meglio, molto meglio quelli di plastica: non avranno lo charme di quelli veri, ma certamente non finirebbero nell’umido come gli alberi delle nostre piazze. Che, belli o brutti che siano, vanno amati e curati. Proprio per questo, alla fine, voglio bene a “Spelacchio”, vecchio e malandato e pure sfortunato.