Il Messaggero, 18 dicembre 2017
Il diario di Vittorio Emanuele III
ROMA Sono gli ultimi due anni di una vita che ne è durata 78, di cui ben 46 come re; nel 1944, Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia ha ceduto la luogotenenza al figlio Umberto; due anni dopo, abdica e va a Alessandria d’Egitto, portandosi parte del proprio archivio e delle sue ricerche numismatiche. E qui, lo decideranno gli storici, vive forse un tardivo pentimento: vede con occhi diversi la Penisola su cui aveva regnato mezzo secolo. Cinque giorni prima di morire, dice al suo aiutante: «Viviamo proprio in un bel porco mondo». E, per alcuni, al suo medico domanda: «Quanto durerà ancora? Avrei cose importanti da sbrigare»; le ultime parole prima di andarsene per sempre.
IL DIARIO Tra le «cose importanti», c’era anche una sorta di Storia d’Italia: aveva con sé, e aggiornava di continuo, le schede biografiche di parecchie personalità comparse sulla scena politica, dal 1848 al 1940. Tre quadernoni a righe, da lui riempiti con un largo pennino, grafia rotonda, svolazzante, vasta e spessa. Ora, sono all’Archivio di Stato di Torino.
Dei personaggi annota il cognome (sottolineato), il nome e, a capo, le date di nascita ed eventualmente di morte, e la professione. A qualcuno di questi scarni dati biografici è aggiunta la dizione «ebreo», o quella di «figlio di madre ebrea». La scheda del duce occupa ben tre pagine: nessuna è così ampia. Le cariche e onorificenze; le vicende storiche, ma anche qualche perfida annotazione: nel 1938, gli viene conferita la «medaglia d’oro benemeriti salute pubblica»; però – scrive l’ex re con un punto esclamativo – era stata «autoproposta».
Vittorio Emanuele registra che nel 1944, è «radiato dall’Accademia di San Luca»; e in quell’anno, pure il «sequestro sostanze di tutti i Mussolini e delle sorelle Petacci», disposto dal II Governo Bonomi. Le annotazioni si fermano con la morte del duce, e un singolare errore: prima scrive «fucilato a Milano»; poi, lo sostituisce con un «ucciso presso Dongo»; infine corregge: «Presso il molino di Mezzegra, nel comune di Tremezzina».
Ma il luogo esatto non è il «mulino», bensì Giulino di Mezzegra. Come se qualcuno lo avesse riferito a voce, e lui ascoltato male. In quei quaderni, l’ex monarca che che consegnò il Paese a Mussolini, controfirmò le infami leggi razziste, e nel 1944 abbandonò Roma indifesa, di un influente ex ministro del fascismo scrive anche che fu «arrestato per contrabbando d’oro» e quindi, «fatto scarcerare dal partito fascista repubblicano»; di un altro, pure famoso, che dopo la morte, agli eredi «sequestrati 114 appartamenti a Roma».
Giulio Alessio, ministro della Giustizia con Giolitti ed «ebreo», nel 1935 è «dimesso dall’insegnamento perché non presta giuramento al fascismo», «perché non fascista, perde la pensione dell’Istituto Veneto di Lettere e arti». Ettore Muti è «ucciso in conflitto con la Forza».
NITTI TESTIMONE Nel ’29, Saverio Nitti «testimonia contro Mussolini». Stando ad alcuni, l’ex re, almeno in parte, avrebbe perfino scritto questo diario; ma alla sua morte, sarebbe stato forse bruciato. Le note contengono pure palesi rancori: per fortuna con un punto interrogativo, una dice: Cesare Maria De Vecchi, celebre quadrumviro nella marcia su Roma, «primavera del ’44, capo dei partigiani in Piemonte».
Due note sottolineate: Achille Starace, per otto anni segretario del partito fascista, «fucilato a Milano dai patrioti»; proprio così: l’ex re scrive patrioti. E la biografia di Enrico De Nicola si chiude con un «eletto Presidente della Repubblica»: con la lettera maiuscola. All’ex re mancavano solo pochi mesi.